Avezzano. E’ l’immagine del degrado, della povertà, il disegno della sofferenza che diventa rassegnazione. I profughi ammassati tra resti organici, vecchi abiti e cibo avariato rappresentano lo spaccato di una società che non sa più distinguere l’indifferenza dalla solidarietà, l’egoismo dalla fratellanza. Ed è così che possono accadere certe cose, come quello scandalo a pochi passi dal centro, non distante dal quartiere dei ricchi e dalla passeggiata col gelato e i vestiti di marca.
E così la villetta di via Garibaldi 348, che doveva diventare un centro di accoglienza per persone in difficoltà dopo la confisca alla malavita, si trasforma periodicamente in un ricovero di stranieri disperati e prostitute, ammassati tra l’immondizia e l’aria irrespirabile, dove le norme igienico-sanitarie sono inesistenti e quelle della convivenza civile sconosciute.
Il Comune ha ripulito lo scandalo con operatori e acqua a pressione, una volta ancora, una delle tante, ma lo spettacolo raggelante rimane. Ci sono altre case, altre ville, altri profughi e altre prostitute che non smettono di ricordare quanto sia triste questo mondo, non a causa della loro situazione, ma per quella di chi potrebbe cambiare le cose e non lo fa. E non possiamo prendercela con le istituzioni se poi noi, per primi, ce ne freghiamo, se poi noi guardiamo ma facciamo finta di non vedere, nascondendoci dietro luoghi comuni che ci fanno imprecare contro gli sporchi stranieri che vengono solo a rubare e che dovrebbero essere rimandati a calci nei loro Paesi.
E’ per questo che per ogni casa che si ripulisce ce ne sono due che si ripopolano di miseria. Basta guardare dalla parte opposta di via Garibaldi, ci sono vecchie case abbandonate dove il pavimento della cucina è un bagno, la camera è un porcile e i bagni, più piccoli e caldi, sono l’orgia notturna del sonno e della disperazione.
E così per ogni casa ripulita, resta la macchia di un altro edificio occupato, per ogni capannone recintato un altro squarcio sulla rete, per ricominciare.
Se poi si pensa che quella è la loro vita, ci si chiede come mai non se ne sono rimasti a casa, dove quel porcile, a quel modo, avvolto dall’umiliazione, non c’è. Perché se ne sono venuti a battere qui in Italia, o a spacciare nel Fucino piuttosto che rimanersene a casa loro?
C’è solo una risposta.
Noi non conosciamo ogni singola e incredibile storia di soprusi e privazioni, che costringe a vivere al limite della sopravvivenza. Non sappiamo cosa c’è dietro ogni singolo sguardo disperato. Sono gli occhi dell’abbandono, dell’amore tradito, delle speranze spezzate, dei sogni infranti contro l’orrore dell’egoismo e la delusione dell’indifferenza. Non conosciamo ogni singola storia di immigrati che assaporano la delusione delle false illusioni, nate dai cartelloni pubblicitari giganti che in Marocco parlano dell’Italia come fosse il Paese dei balocchi, storie di ragazzotti impauriti che spesso provano a reprimere le frustrazioni tentando il guadagno facile e lo spaccio.
Questa è la risposta.
Storie tutte uguali eppure tutte diverse, nascoste negli angoli delle case abbandonate e asfissianti, silenziose tanto che sembrano disabitate, ma se ci guardi dentro resti sconvolto. Silenziose come il sole al tramonto, ma che gridano tutta la disperazione davanti a cuori duri che non vogliono sentire.