Avezzano. Sono stati rinviati a giudizio davanti alla corte d’assise con l’accusa di abbandono di incapace con l’aggravante di averne causato la morte. Lo ha deciso ieri pomeriggio dopo l’udienza preliminare il gup del tribunale di Avezzano nei confronti dei due giovani di San Benedetto dei Marsi accusati della morte di Collinzio D’Orazio, il 51enne trovato senza vita nel fiume Giovenco, a pochi chilometri da casa, dopo un mese dalla sua scomparsa.
Si tratta di Fabio Sante Mostacci, 31 anni, e Mirko Caniglia (30) che secondo l’accusa avrebbero abbandonato la vittima in evidente stato confusionale vicino a un fiume, in una zona fangosa e durante una notte dalle pessime condizioni climatiche.
L’UDIENZA. Si è tenuta ieri mattina davanti al giudice per le indagini preliminari, Daria Lombardi e al pubblico ministero, Maurizio Maria Cerrato. Erano state affidate a un perito le trascrizioni delle intercettazioni su richiesta presentata dai legali degli imputati e il gup, che aveva accolto la richiesta, ha dichiarato ammissibile il materiale emerso dalle intercettazioni a cui erano stati sottoposti i protagonisti della vicenda, in particolare i due accusati. Sempre nel corso dell’udienza, la difesa ha avanzato delle eccezioni di invalidità sostenendo che gli imputati erano stati ascoltati come persone informati di fatti nel momento in cui erano già imputati. L’istanza, a cui si sono opposti la parte civile e l’accusa non è stata accolta. La decisione è arrivata nel pomeriggio, alle 16.30 e i due imputati sono così stati rinviati a giudizio davanti alla corte d’assise dell’Aquila in virtù dell’aggravante della morte conseguita dall’abbandono della vittima.
LA MAMMA. All’udienza di ieri mattina era presente anche la mamma della vittima, la signora Teresa Di Nicola che più volte è intervenuta pubblicamente per chiedere che venga fatta giustizie su quanto accaduto al figlio e che emerga la verità su quella notte. La donna, che insieme all’altro figlio Ghery D’Orazio, fratello minore di Collinzio, si è costituita parte civile, ricorda Collinzio come “un ragazzo d’oro, riservato, sensibile” sottolineando che “quella sera aveva solo bisogno d’aiuto, ma nessuno gli ha teso una mano”. Chiede certezza sui tempi della giustizia sperando in un processo celere e aggiungendo che “Collinzio non meritava quello che gli è successo”.
I FATTI. Collinzio D’Orazio scompare la notte del 2 febbraio. Di lui non si hanno più tracce. L’ultima volta era stato visto consumare alcolici al bar del paese nonostante l’incompatibilità con i medicinali che assumeva. C’è anche un filmato fatto con un cellulare che lo riprende davanti al locale. Poi le sue tracce diventano vaghe, fino a quando i due giovani indagati, secondo il loro racconto, lo avrebbero trovato per strada ubriaco decidendo di riaccompagnarlo a casa. Sbagliano però abitazione e a quel punto, secondo l’accusa, avrebbero deciso di lasciarlo in una strada più isolata dove si perdono le sue tracce. Bisogna arrivare al 23 febbraio. I sommozzatori dei vigili del foco trovano il suo corpo nelle acque del fiume Giovenco, incagliato a un ramo.
LA RICOSTRUZIONE. I due giovani, secondo la procura di Avezzano, sapevano dove poteva essere e avrebbero però continuato in quei giorni a non dire nulla e a non fornire neppure dati utili per il rinvenimento della vittima che veniva cercato ovunque da volontari e da una task forze di vigili del fuoco, carabinieri e polizia. Anzi, secondo la procura, avrebbero addirittura depistato le indagini. Nelle indagini è stato necessario il coinvolgimento dei carabinieri del Ris di Roma (Reparto investigazione scientifica) che hanno eseguito accertamenti tecnici sull’auto di Mostacci e accertamenti informatici su cellulari e computer sequestrati. Nella seconda fase delle indagini l’accusa era diventata quella di omicidio volontario. Successivamente il capo d’accusa è tornato quello originario, cioè abbandono di incapace ma con l’aggravante di aver provocato la morte.
L’udienza si terrà il 19 ottobre prossimo davanti alla corte d’assise dell’Aquila. Il collegio difensivo, che preferisce per ora non commentare la decisione del gup, è composto dagli avvocati Mario Flammini, Franco Colucci e Antonio Milo, i primi difensori di Mostacci, il terzo di Caniglia. Le parti civili, la mamma e il fratello della vittima, sono difesi dall’avvocato Stefano Mario Guanciale.