Avezzano. Ridotta in stato di schiavitù, costretta alla prostituzione e a vivere in condizioni estreme e di povertà. Con questa accusa sono finiti davanti alla Corte d’assise dell’Aquila due romeni che avevano avviato, secondo la tesi della procura, un’attività di prostituzione. Solo il coraggio di ribellarsi della ragazza sottomessa ha permesso di avviare il procedimento a loro carico. Riduzione in schiavitù, lesioni gravi e sfruttamento della prostituzione.
L’accusa è nei confronti di Ramona Lacramioara Paun, 30 anni, residente a Celano, e del fratello Sorinel Tani Paun, 32 anni, residente a Scurcola Marsicana. Il procedimento nei confronti di un’altra persona, una donna di 30 anni, residente a Paterno, anche lei romena, è stato stralciato e proseguirà con un altro processo. Secondo l’accusa, la ragazza veniva messa in strada costretta a prostituirsi. Se si ribellava veniva malmenata e punita con uno stato di privazione.
I due accusati, difesi dagli avvocati Massimo Costantini e Danilo Iannarelli, avrebbero indotto e mantenuto la giovane, di 35 anni, in uno stato di soggezione durato diversi mesi con atti di violenza e minacce, costringendola a prestazioni sessuali con clienti di ogni gnere, sfruttandola e procurandole delle ferite a causa delle botte. I due fratelli accusati, secondo quanto emerso dalle indagini, riuscivano a costringere ogni volta la ragazza ad andare in strada per prostituirsi grazie a delle minacce. Affermavano che, se non l’avesse fatto, l’avrebbero uccisa. Più di una volta le avrebbero mostrato una pistola automatica nascosta in un armadio e spesso la picchiavano con una mazza di metallo. Ma le richieste erano ancora più pressanti e non bastava prostituirsi, doveva raggiungere anche dei risultati che per loro fossero soddisfacenti. Se non guadagnava abbastanza, non poteva uscire e soprattutto veniva picchiata e minacciata.