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Ricorrenza del 150° dell’Unità: il discorso integrale del presidente della Regione Gianni Chiodi

Redazione Cronaca di Redazione Cronaca
17 Marzo 2011
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Civitella del Tronto. «Siamo qui, a Civitella del Tronto, con la sua splendida fortezza preziosa testimone della storia unitaria del nostro Paese, per dare come Regione Abruzzo il nostro contributo di idee e di riflessioni su una ricorrenza importante quanto doverosa. L’Unità d’Italia credo vada ricordata innanzitutto senza retorica, senza false enfasi o eccessivi spunti polemici, vissuta comunque come evento miliare nella storia individuale di un popolo e politica di un territorio. In un’epoca, quella risorgimentale, caratterizzata da nuovi humus culturali e da profonde spinte nazionaliste, l’Italia non poteva rimanere fuori dal progetto evolutivo degli Stati europei. In presenza di illustri storici, qui riuniti in occasione di questa seduta solenne dell’Assemblea regionale, non spetta certo a me ripercorre le tappe che hanno preceduto la nostra unificazione. Di certo, giungeva in un momento che, temporalmente trasposto, può essere paragonato a quello attuale della globalizzazione. Almeno quanto a desiderio di spingersi oltre, di aprirsi all’altro, di cercare nuove opportunità di lavoro e di vita. Anche se poi furono i regnanti del tempo, attraverso giochi di potere, a decidere i confini di uno dei più giovani Stati nazione. In questi 150 anni, l’Italia ha affrontato periodi esaltanti, di intensa aggregazione umana e sociale, e periodi di profonda crisi, di dolore e sofferenza. Ma mai è mancato quello spirito di solidale condivisione proprio di un popolo unito, tale non perché lo aveva detto Mazzini o Garibaldi o Cavour, o perché sancito da trattati internazionali, ma in virtù di un convinto comune sentire. C’è chi ha visto in questi 150 anni di Italia, e non più di regni, ducati e granducati, una fragilità di fondo che credo invece di poter escludere. Anche se spetterà alla storia ufficiale confermare la forza identitaria di quegli uomini e quelle donne che seppero lottare ed anche morire per affermare un’idea. Una forza identitaria alimentata da secoli di profonde radici culturali, religiose, linguistiche. Due gli eventi pregnanti che hanno segnato questo secolo e mezzo di storia dell’Italia unita: la proclamazione del nuovo status politico quel 17 marzo 1861; l’avvento della Repubblica e l’elezione dell’Assemblea costituente 85 anni dopo. Nella carta adottata il 22 dicembre 1947, i padri costituenti usarono l’espressione ‘una e indivisibile’. Una formula rituale o di convenzione? Un semplice auspicio per il futuro del Paese? Un’esortazione politica e morale? Di certo nei padri costituenti c’era la consapevolezza che l’Italia era ‘una ed indivisibile’ perché come membra di un corpo solo aveva affrontato prove durissime e così sarebbe stata chiamata a superarne altre ancor più difficili. Al di là di giudizi sommari, pregiudiziali o di parte, sul processo di unificazione, l’Italia sistema, l’Italia Paese, non si è mai omologata, mai appiattita. Ha sempre rispettato le singole particolarità territoriali, esaltandole e valorizzandole. Oggi c’è un grande dibattito sull’opportunità di celebrare la ricorrenza. Ma indubbiamente c’è una grande voglia di ritrovarci insieme sotto il vessillo del tricolore. Anche chi non riconosce i suoi valori politici, di certo non potrà negare quanto quella bandiera unisca, nelle cerimonie sportive, come in quelle commemorative, o in quelle istituzionali. Noi in Abruzzo, al di là delle disquisizioni meramente filosofiche, abbiamo avuto una grande testimonianza dell’Italia ‘una e indivisibile’ perché, in occasione del terremoto dell’Aquila di due anni fa, unico è stato il cuore e indivisibile la solidarietà dell’Italia intera. Il Paese si è stretto a noi, ha sofferto con noi, ha mostrato un altruismo ed un senso di fratellanza e comunità davvero encomiabili. Il nostro dolore, pur immenso, ci è parso più sopportabile perché tanti fratelli italiani stavano pensando a noi e, con più razionalità perché non direttamente coinvolti, gestendo per noi la tragedia. Dal Trentino alla Sicilia, dal Veneto alle Marche c’è stata un’impressionante gara di solidarietà che ha mostrato in tutta la sua passione un popolo di volontari, di associazioni, di persone dedite agli altri. Abbiamo scoperto e capito, in quella occasione, che essere Stato, essere nazione, era tutt’altro che una vuota affermazione concettuale. In questo importante anniversario, il Paese deve avere un ulteriore scatto di reni, ridando attualità a quella identità nazionale che l’europeismo ha un po? affievolito. Oggi, al di là di meriti e demeriti dei singoli statisti, validità o meno di strategie politiche, è necessario pensare un nuovo modello di Italia. Un modello innovativo che coraggiosamente si apra e governi (non subisca) il futuro, in libertà, democrazia, giustizia, partecipazione. Signori, possiamo anche dire che l’Italia è una bella Italia. Ma non c’è dubbio che per trasmettere quell’amore, quell’attaccamento alla propria terra alle giovani generazioni, è necessario impegnarci per costruire un domani migliore. Dobbiamo in primis garantire ai nostri figli un’istruzione adeguata, percorsi formativi all’altezza, un lavoro stabile e duraturo che consenta anche di fare progetti di vita, progressi di carriera solo a valere sulle capacità, sul talento e sul merito. Ed è partendo dai giovani che l’Italia del futuro deve avere una precisa mission: con acume e lungimiranza deve creare le basi per un patto nazionale e federale in grado di preparare alle prossime sfide. Lo stesso desiderio delle autonomie locali di governarsi autonomamente non va interpretato come un freno. Bensì come aspirazione ad un nuovo modus di amministrare la cosa pubblica che, se debitamente assecondata, potrà solo contribuire a rilanciare, in Europa, un grande progetto unitario d’Italia. Il che significa però colmare, in anticipo, quel gap economico che ancora, purtroppo, drammaticamente, sussiste tra nord e sud. Ma questo non deve essere un alibi, sciocco e fuorviante, per asserire che l’Italia non è unita. Anzi, la questione meridionale, l”unificazione economica’, dopo quella politica e culturale, deve essere il collante per la collettività tutta. Crescere insieme per crescere tutti e per far sì che il Paese acquisti credibilità, competitività e peso in Europa. Già, l’Europa. Un’altra grande partita per lo Stivale, anche se, come dice l’intellettuale polacco Geremek, citato anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ‘la diversità delle culture nazionali resta la più grande risorsa per l’Europa’. Rafforzare la propria identità nazionale per contribuire al formarsi di una coscienza unitaria europea. C’è molto da lavorare ed io come vicepresidente dell’Aer (Assemblea delle Regioni d’Europa) ed il presidente del Consiglio regionale, Nazario Pagano, come presidente della Calre (Conferenza delle Assemblee legislative regionali europee), c’impegneremo affinchè la nostra Regione, la nostra nazione, possano avere il ruolo decisionale, le chance finanziarie, il prestigio, l’integrazione che meritano. Dunque, celebriamo il passato dell’Italia ma guardiamo al suo domani e regaliamo un Paese migliore alle generazioni che verranno. E ripartiamo da qui. Da questa Fortezza, ultimo baluardo borbonico, che lottò strenuamente contro l’esercito piemontese per difendere valori e convinzioni, anche quando la monarchia sabauda aveva già proclamato l’Italia unita. Ed è uniti, intelligentemente, facendo delle nostre differenze la nostra forza che diciamo buon compleanno signora Italia! Auguri a te ed a tutti noi».

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