Avezzano. Trentacinquesimo appuntamento con Psicotime, la rubrica in collaborazione con la psicologa Giulia D’Ascanio.
È impossibile non costatare come, con la nascita di Internet, siano cambiate nettamente le forme di comunicazione tra le persone.
Concentriamoci sull’applicazione Whatsapp che consente, oltre che a uno scambio messaggistico e vocale, anche di controllare l’uso che gli altri utenti fanno del programma: vedere se sono online, quando si sono connessi per l’ultima volta, se hanno letto i nostri messaggi e se ci stanno scrivendo. Queste caratteristiche fanno di questa applicazione lo strumento più utilizzato negli scambi interpersonali a distanza e anche la risorsa smartphone più abusata in ambito sentimentale.
L’immediatezza nella risposta e la vicinanza offerte rinforzano le relazioni che si trovano nella fase iniziale: l’innamoramento. Tuttavia, il discorso sembra complicarsi nel periodo successivo, quando ormai il legame ha raggiunto una fase di consolidamento. Per quanto riguarda il ruolo di WhatsApp nella coppia, la dipendenza dalla doppia spunta blu può a volte portare a situazioni estreme: dinamiche di controllo assoluto e argomentazioni basate su equivoci che possono persino causare la rottura.
I messaggi di testo possono essere intimi, ma distanti allo stesso tempo; rafforzano la relazione, danno un impulso affettuoso in quei momenti della giornata in cui se ne ha più bisogno e arricchiscono anche il legame con la persona che si ama. Per quanto riguarda questi aspetti, è impossibile criticarne le funzionalità. Tuttavia, l’uso di WhatsApp nella coppia è spesso un’arma a doppio taglio.
Molte difficoltà, disaccordi e problemi sono il risultato diretto di quell’iperconnettività in cui si è ormai immersi. I canali digitali sono uno specchio in cui si riflette la nostra autentica personalità: qui vengono incanalate le nostre paure e le nostre ossessioni, la nostra capacità di rispettare o meno e anche la nostra maturità emotiva.
Soprattutto nella coppia, si dimostrano le nostre insicurezze, i nostri vuoti più immateriali, quelli che ci portano a diffidare del partner e a rendere la gelosia un’arma di distruzione. Si sta parlando in particolar modo della cosiddetta “sindrome del doppio controllo”, che riguarda le spunte e la possibilità di sapere quando un messaggio e stato inviato e letto. Quante discussioni si sarebbero potute evitare se questa opzione non fosse mai esistita? Non a caso, dopo qualche tempo dalla sua introduzione, WhatsApp consente agli utenti di disattivare il doppio controllo, anche se non su tutti i dispositivi.
Facciamo un esempio: “Io invio un messaggio; la prima spunta grigia mi dice che il messaggio è stato consegnato al server di Whatsapp, la seconda spunta grigia mi dice che è stato consegnato al destinatario. Questi due aspetti tutto sommato potrebbero rivelarsi utili in quanto mi tranquillizzano sul funzionamento del processo di avvenuta ricezione, ma perché mi serve anche sapere se il mio messaggio è stato effettivamente letto? Se devo dare un’informazione importante e ho la necessità che il mio interlocutore lo sappia forse è meglio chiamarlo, oppure posso chiedergli espressamente di confermarmi che l’ha ricevuto. Ma se scrivo “ti voglio bene”, perché ho necessità di sapere se e a che ora ha letto il messaggio? E se mi appare la doppia spunta blu e non mi risponde cosa significa? Potrebbe innescarsi il vissuto di sospetto: “non sa cosa rispondere!”. Ma perché di fronte ad un semplice desiderio di esprimere un sentimento, si attivano contemporaneamente la paura e il sospetto? È qui che carichiamo lo scambio comunicativo delle nostre paure.
Ma prima ancora del vissuto di sospetto, quando noi inviamo un messaggio, attiviamo anche un altro vissuto, ovvero quello della “pretesa”, che può essere riassunto così: “se io compio un’azione, non sono solo mosso dal fatto che mi piace fare qualcosa per l’altro e basta, ma sono spinto dall’idea che l’altro mi debba ricambiare, pretendo una risposta precisa dall’altro e se non arriva vado in ansia”.
Quindi la doppia spunta blu facilita questa cultura della pretesa e del sospetto: quando invio un messaggio, se fossi spinto dal solo desiderio di esprimere un sentimento non avrei la necessità di sapere se e quando lo legge il mio interlocutore, se invece sono spinto dalla pretesa e dal sospetto allora sì, devo sapere, perché dalla sua risposta dipende il mio umore.
Mettiamoci nei panni di chi riceve il messaggio: arriva un messaggio con scritto “ti voglio bene”, “che faccio? Potrei semplicemente rallegrarmi e invece no, mi sento obbligato a rispondere, ormai l’altro sa che l’ho letto e se non rispondo alimento una sua insicurezza o paura.” Quindi nella maggior parte delle volte si risponde e quasi mai è una risposta spontanea, libera, dato che è semplicemente la risposta alla implicita pretesa dell’altro.
Il fatto di poter essere a conoscenza della ricezione e lettura di un messaggio, implica che il ricevente se non risponde “istantaneamente”, diventa spesso oggetto di polemiche. Poco importa che stesse facendo sport, ricevendo una telefonata o fosse in riunione: la risposta deve essere immediata, pena litigio quasi assicurato. Immedesimiamoci in una serata in cui il tuo fidanzato ti accompagna a casa presto perché è stanco e vuole andare a dormire e poi vedi sulla diabolica applicazione che è rimasto connesso fino alle due del mattino. Oppure, mandi un messaggio a qualcuno e vedi che non risponde nonostante continui ad aprire WhatsApp. Che succede? Perché ti sta ignorando? Sta parlando con altre persone e non con te? Per non parlare delle disastrose conseguenze di quando ci si lascia! A meno che non si “blocchino” a vicenda e di comune accordo, il traffico sull’applicazione può ostacolare significativamente l’elaborazione del distacco; si ha la consapevolezza che l’altro è sempre a portata di smartphone, coi suoi “stati” e le sue foto, le sue presenze e le sue assenze a ogni ora del giorno e della notte. Per molti, la tentazione di perlustrare, a volte ossessivamente, il profilo dell’ex diventa motivo di ruminazione e occasione costante per mantenere un contatto.
Non dobbiamo mai dimenticarci però che siamo esseri umani, non robot. E che i sentimenti vanno espressi a parole e a gesti. Cerchiamo di prediligere la comunicazione verbale vis a vis, anche per sfatare i nostri dubbi e le nostre paure, altrimenti non si farà altro che alimentarli.
Giulia D’Ascanio, psicologa clinica.