Avezzano. Quarantatreesimo appuntamento con Psicotime, la rubrica in collaborazione con la psicologa Giulia D’Ascanio.
Prima o poi, capiterà a tutti di vivere un dolore o di imbatterci in situazioni che generano sofferenza: il lutto di una persona cara, una malattia, la perdita di un lavoro, la fine di una relazione e tutto ciò che, a prescindere dall’intensità o la gravità, può provocarci anche solo soggettivamente un malessere.
Concentriamoci sull’avvenimento di situazioni traumatiche, che come tali minano la nostra percezione di sicurezza e stabilità emotiva. In questo caso specifico, la sofferenza psicologica si sprigiona quando non accettiamo tali eventi e il dolore che questi inducono, proprio perché l’individuo si scontra con la propria impotenza nel cambiare ciò che è immodificabile.
Nella maggior parte dei casi, l’atteggiamento immediato consiste nel fuggire dal dolore, dissociandosi emotivamente dall’accaduto, minimizzandolo a livello razionale. In questo modo intraprendiamo una vera e propria battaglia contro le nostre emozioni per non accettare la realtà, entrando in una sorta di apatia, o meglio, di appiattimento emozionale.
Tentativi che si rivelano inutili, dato che vanno a bloccare il naturale processo di elaborazione dell’evento negativo che conduce all’accettazione e al superamento dell’evento traumatico. È importante sottolineare che non c’è una modalità prestabilita per elaborare un trauma: c’è chi impiega meno tempo e chi invece ne necessita di più: i tempi di recupero non sono uguali per tutti; questo perché ognuno attribuisce un significato emotivo alle situazioni in modo soggettivo. Tuttavia, dobbiamo assicurarci di non rimanere bloccati nella sofferenza.
Perché a volte restiamo bloccati nella sofferenza?
- Uno dei motivi principali per cui restiamo bloccati nella sofferenza è che rifiutiamo di accettare l’accaduto:razionalmente, sappiamo che quando ci lasceremo alle spalle quel dolore potremo voltare pagina. E a volte, inconsciamente non vogliamo farlo perché pensiamo che significherebbe dimenticare la persona che non c’è più, o fare i conti con il fatto che non possiamo fare niente di più per rimediare a una situazione nella quale non ci sentiamo comodi.
- La sofferenza diventa un modo per espiare la colpa: capita molto spesso che, non vogliamo sentirci male ma non vogliamo neppure sentirci bene, perché nella nostra mente significherebbe lasciarci alle spalle una parte della vita con la quale ci identifichiamo ancora. In alcuni casi questo paradosso può essere causato dalla colpa: non riusciamo a perdonarci ciò che abbiamo fatto o smesso di fare e ci puniamo attraverso quel dolore. In questo modo, la sofferenza diventa un modo per espiare la colpa che percepiamo di avere.
Tre concetti che devi accettare per superare una sofferenza.
Se vuoi lasciarti alle spalle la sofferenza, devi capire cosa accade dentro di te. Sappi che il tuo inconscio è molto protettivo nei tuoi confronti; vuole a tutti i costi aiutarti a combattere il dolore ma non sempre lo fa in modo funzionale.; attua dei meccanismi di difesa per lenire le tue sofferenze che però si rivelano controproducenti. Cosa fare allora?
- Primo concetto: se neghi ciò che è accaduto non potrà mai sparire il problema; il primo passo per elaborare una perdita consiste nel riconoscere di soffrire e di concedersi tale sofferenza, in modo da poterla superare. Per accettare l’inaccettabile bisogna passare nel mezzo alle emozioni negative che questo produce. Mantenerti nella fase di negazione, sperando che ciò che è accaduto sia stato solo un brutto sogno, non risolverà il tuo dolore e tanto meno ti renderà meno infelice, al contrario, servirà solo ad aggravare la sofferenza. Ci vuole accettazione!
- Secondo concetto: se volti pagina non significa che hai elaborato. Continuare con la tua vita non significa che dimenticherai, o che hai elaborato l’accaduto, significa semplicemente che ti sei adattata alle nuove circostanze. Il dolore, se non elaborato, resta intatto dentro te, continuando il suo processo di avvelenamento psichico e successivamente anche fisico. Anche se fai finta di nulla il dolore esiste e il suo decorso non può essere né deviato, né spezzato. Esso deve essere sostituito tramite l’elaborazione dalla consapevolezza che dentro di te vi è una forza nuova. E te ne accorgi quando inizi ad amarti, a prenderti cura di te.
- Terzo concetto: la sofferenza non elimina la colpa. La sofferenza non elimina il senso di colpa e non ti assicura il perdono. Ciò che veramente ti permette di andare avanti è imparare dall’accaduto e crescere grazie ad esso. Significa continuare ad andare avanti con la consapevolezza che qualcosa è cambiato, che non si può tornare indietro e che ciò che è successo ci ha insegnato qualcosa; quando smetterai di guardare dietro ma ti concentrerai sul presente, vuol dire che sei pronto al cambiamento.
La sofferenza che segue l’esperienza di una perdita non deve spaventarci o scoraggiarci. Anzi, è necessaria in quanto segnala che tutta la nostra persona sta reagendo alla mancanza della persona cara o di una stabilità che ora non c’è più. Ecco perché non bisogna sopprimere o soffocare ciò che è naturale, cioè l’espressione del dolore.
Esso, anzi, ha un senso e va riconosciuto: “è successo qualcosa di molto brutto e piano piano posso rendermene conto” “Cosa può insegnarmi di me questo evento? Cosa posso fare io, alla luce di quello che è successo? Cosa ho appreso, che mi permette di gestire meglio una situazione analoga in futuro?”. Solo così possiamo dare il senso dell’esistenza e vivere il presente capace. Ricorda che c’è un punto in cui, dopo le lacrime e la tristezza, è indispensabile ricomporsi e andare avanti.
Se è passato molto tempo dall’ultima volta in cui hai fatto qualcosa di piacevole, è ora di ricominciare.
Giulia D’Ascanio, psicologa clinica