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Prevenzione: Io non ho paura. La storia di Benedetta e la sua lotta al tumore ovarico

Federico Falcone di Federico Falcone
4 Gennaio 2018
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Avezzano. “Prevenire è meglio che curare”. Questo modo di dire, divenuto di uso comune e adattato a ogni genere di situazione lancia, però, un messaggio la cui importanza è sconfinata: quello di investire nella prevenzione. Affrontare i problemi prima che sorgano e che, come spesso accade, diventino insormontabili. Promuovere iniziative, sensibilizzare l’opinione pubblica, sposare cause e, infine, attraverso le parole di chi ha vissuto esperienze meritevoli di essere menzionate, divulgare quante più informazioni possibili. Perché l’importanza della prevenzione non è solo da rimettere a un atto di amore verso se stessi, ma anche a una responsabilità dovuta nei confronti di chi si ha al proprio fianco. Oggi raccontiamo la storia di Benedetta Cerasani, presidente dell’associazione “I Girasoli” di Avezzano, e ferma sostenitrice di tutto ciò che a che fare con la prevenzione. Benedetta si è sottoposto a un intervento chirurgico preventivo e ha deciso di raccontarlo perché “ho visto con i miei occhi quello che il cancro all’ovaio combina.Voglio convincere le donne a fare prevenzione, vista la silenziosità del cancro all’ovaio che, proprio per questa ragione, viene anche definito “tumore silenzioso”. Non da sintomi e troppe donne marsicane si avvicinano tardi ai controlli con il ginecologo o, addirittura, dopo il parto smettono di farli come se non ci fosse più nessun altro motivo per andare dal medico”.

Facciamo un salto indietro e torniamo al 10 marzo del 2016. Con quale motivazione ti sei sottoposta a questa visita?

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E’ accaduto dopo essere venuta a conoscenza del test genetico brca1 e brca2 per le persone che avevano avuto un tumore al seno o all’ovaio. Parlando con l’oncologa di mia mamma – la dottoressa Ida Paris del dipartimento della salute delle donne, diretto dal professor Scambia – le chiesi quali fossero i parametri per accedere al test; mi disse che mamma era nei parametri. Fino a quel momento pensavo che uno dei requisiti fosse quello di avere casi di tumore al seno in famiglia. Mi sbagliavo. La Paris mi spiegò che il test nelle donne con cancro all’ovaio va fatto anche se quello è solo il primo caso. Il 10 marzo ho accompagnato mia madre presso il Policlinico Gemelli per la seduta di chemioterapia e quel giorno l’oncologa  ci ha comunicato che era prevista una consulenza genetica nell’ambito del progetto “Engage”. Al momento della visita erano presenti una psiconcologa , un’oncolga e il genetista. Ci spiegarono l’importanza del test, sia per noi figli che per il genitore, sottolineando l’importanza della prevenzione, essenziale per conoscere la strada da percorrere in caso di positività del test. Per nostra madre, in caso di recidiva del cancro, la cura avrebbe avuto una caratterizzazione a misura poichè negli anni successivi sarebbero arrivati farmaci specifici per i soggetti mutati ai geni brca1 e brca2. Il genetista mi spiegò che noi figli avremmo fatto il test solo dopo il risultato di nostra madre, avendo così un percorso di sorveglianza calibrato sulla base del nostro risultato al test.

Puoi spiegarci, in maniera più dettagliata, a che tipo di visita ti sei sottoposta?

La prima visita fu un semplice colloquio. Abbiamo raccontato la storia delle malattie presenti in famiglia e più andavamo indietro nel tempo, più scoprivamo una storia tumorale familiare rilevante. La psicongologa ci ha sostenuto durante tutta la visita facendo domande specifiche. Nel mio caso, inoltre, si è parlato della possibilità di avere un secondo figlio, assicurandomi il loro sostegno in caso di difficoltà. La visita è stata effettuata in regime convenzionato con il SSN e, così come per il test, abbiamo pagato un ticket di circa 75 euro per il prelievo.

Cosa è emerso da essa?

Mamma fu la prima a fare il prelievo del sangue e il 14 aprile 2016 il risultato fu la positività al test: una brca1 mutata di classe 5. Il 24 ottobre 2016 sia io che mio fratello ci siamo sottoposti al test con prelievo del sangue e il 17 novembre 2016 abbiamo avuto il risultato positivi al brca1.

A quali conseguenze avrebbe potuto portare?

Questo risultato ci ha dato la possibilità di sapere preventivamente la strada da percorrere. Per me, come donna, la mutazione al brca1 avrebbe comportato un rischio di sviluppare un carcinoma ovarico in età giovane, in anticipo rispetto all’età in cui lo ha sviluppato mamma (lei aveva 62 anni al momento dell’insorgenza della malattia ). Avevo una percentuale per la mia storia famigliare di svilupparlo al 90% all’ovaio ed al 50 % al seno. Per l’uomo la mutazione lo porta a fare controlli della prostata e del seno con un rischio del 20%. Mi è stato prospettato l’intervento preventivo di rimozione delle ovaie e un percorso di sorveglianza per il seno. Per l’ovaio non era possibile vista la storia famigliare effettuare solo sorveglianza , il rischio era troppo alto.

Questa soluzione, drastica ma inevitabile, ha scongiurato il peggio. Il problema, però, è stato risolto definitivamente?

Dopo aver programmato l’intervento con l’equipe del prof. Scambia, il 24 agosto 2017, a visita pre-chirurgica in corso, e a seguito di nuove ricerche genetiche, mi veniva consigliata l’asportazione dell’utero. Il tumore all’ovaio si sviluppa con grande aggressività (anche grazie a nuovi, preziosi, studi in materia) e questa scelta dà qualche sicurezza in più. Il 15 settembre 2017 ho effettuato una isterectomia e anessectomia preventiva. L’intervento è stato fatto in laparoscopia con un ricovero breve e, una volta a casa, ho sempre avuto il supporto dello stesso staff medico. Ho abbattuto il rischio di sviluppare un tumore ovarico ma continuo a fare controlli per il seno e, cosa più importante, con la nostra associazione “I Girasoli”, da settembre abbiamo intrapreso un percorso di prevenzione primaria a tavola. In conclusione, anche per sdrammatizzare un pochino, vorrei dire che non sono la Jolie dei poveri, ma sono una donna che ha deciso di essere donna con qualche rischio in meno. Il mio auspicio è che tutte le donne con un caso di cancro all’ovaio venissero sottoposte a test genetico(anche perchè è obbligatorio). Ciò garantirebbe un terapia personalizzata e, grazie al risultato del test genetico, ne beneficerebbe tutta la famiglia grazie all’abbattimento della spesa sanitaria.

Federico Falcone

 

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