Civitella Roveto. È stato Valerio Montaldi, studente del liceo classico Alessandro Torlonia di Avezzano, a raccontare durante il cammino dell’accoglienza la storia dei fratelli Durante. Una vita spesa per il prossimo e per la patria che dovrebbe essere da esempio per molti giovani.
“Questo è un racconto di coraggio, amore, dolore e solidarietà: la tragica storia dei tre fratelli partigiani Durante, Mario, Bruno e Faustino, vissuti in questo piccolo paesino a più di mille metri di altitudine, che grazie alla sua posizione strategica sulle montagne, giocò un ruolo fondamentale nel corso della Seconda guerra mondiale”, ha raccontato Montaldi,
“qui infatti furono ospitate decine di fuggiaschi provenienti dal campo di concentramento di Avezzano, molti di loro di nazionalità straniera, e che vennero aiutati dall’intera popolazione metese. I fratelli Durante non si limitarono solo ad ospitare i prigionieri, ma furono anche molto attivi nella protezione della città: aiutarono gli alleati a seguire i movimenti dei tedeschi, insegnarono come posizionare le mine e come disinnescarle, e si procurarono una radiotrasmittente per carpire le informazioni nemiche.
Ma il primo maggio del 1944 i tedeschi giunsero nel paese travestiti da soldati inglesi. “Auccia, auccia”, ovvero “attenzione, occhio ai piedi” disse la cugina dei fratelli parlando in ‘nciamprico, un gergo inventato dalla popolazione per comunicare in maniera segreta. Infatti i soldati, che indossavano stivali tedeschi, tirarono fuori le armi e arrestarono i Mario e Bruno, e li portarono a Tagliacozzo per torturarli e scoprire dove si trovasse il terzo fratello, Faustino, che nel frattempo si era rifugiato a Filettino. Le ultime parole dei fratelli alla madre furono: Tranquilla mamma, staremo via solo per un confronto. Ma i fratelli non tornarono mai, né vivi né morti, e i loro corpi non furono mai più trovati.
Non è difficile immaginare una madre di quel paesino che si prendeva cura di un uomo serbo, o inglese o russo, trattandolo come se fosse suo figlio, e negli occhi dello straniero vedeva la stessa luce di riconoscenza e paura della morte che le parole non riuscivano ad esprimere. Quelle stesse emozioni, a più di settant’anni di distanza, oggi accumunano madri palestinesi e israeliane, russe e ucraine, che nonostante tutto riescono ancora ad amare ogni soldato come se fosse parte delle loro famiglie. E a tutte quelle mamme in guerra vogliamo dedicare queste parole:
“Le donne sono tutte un po’ mamme,
anche se non sono mamme:
qualcuna lo è per un fratello,
qualcuna per un padre ormai stanco,
qualcuna per un’amica,
qualcuna per chi purtroppo
non ha mai avuto la sua.
Di mamma ce n’è una sola,
ma ognuna ha milioni di figli”
Questo Cammino serve a insegnarci l’importanza di valori come l’accoglienza, la solidarietà e la pace, a ricordarci gli errori commessi nel passato così che, forse, non siano ripetuti. Siamo stati davvero contenti di poter partecipare a questo percorso lungo le strade battute da uomini gloriosi che hanno fatto riecheggiare questa parola nell’aria: Libertà”.