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Per aiutare gli orsi bisogna mettere loro da mangiare! Il Pnalm: “Ne siamo proprio sicuri?”

Magda Tirabassi di Magda Tirabassi
29 Ottobre 2021
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Roccaraso. Continuano le “puntate” del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che raccontano sui social, la storia di Juan Carrito, uno dei cuccioli di Amarena, che si è fatto rivedere qualche sera fa a Roccaraso mentre beveva da una fontanella.
Una fontanella che però è stata “spenta” dal Comune, perché a quanto pare, proprio in quel punto, l’orso andava di frequente, perché qualcuno imprudentemente gli lasciava del cibo.

 

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Prima di raccontarvi le ultime “scorribande” di Juan Carrito, concludiamo il discorso sulle fonti alimentari iniziato con il post di qualche settimana fahttps://www.facebook.com/parcoabruzzo/posts/4400803753290055) dove abbiamo cercato di sfatare il mito – molto diffuso – degli “orsi che hanno fame”. L’associazione causa-effetto, e conseguente, problema-soluzione, porta molte persone a credere che per tenere lontani gli orsi dai paesi sia necessario alimentarli artificialmente posizionando carcasse di animali (domestici e/o selvatici) o di cumuli di frutta in natura, lontano dai paesi.

Questa pratica, che prende il nome di “alimentazione artificiale” o supplemental feeding, è controversa e molto dibattuta. Con il post di oggi cerchiamo di spiegare perché tale pratica non è presa in considerazione dalla attuale politica di gestione del Parco per gli orsi confidenti.

In alcuni paesi europei (Slovenia e Croazia ad esempio) l’alimentazione artificiale per gli orsi è molto utilizzata, soprattutto per scopi turistici e venatori. Quando abbiamo redatto il Patom e il protocollo per gli orsi confideniti ovviamente abbiamo interpellato esperti di orsi provenienti da tutto il mondo. L’alimentazione artificiale è stata sempre sconsigliata da tutti gli scienziati interpellati in merito. Nonché dai risultati di esperienze fatte con l’orsa Yoga (fine anni ’90) e, in tempi più recenti, con l’orso Mario.

Perché? Abbiamo riassunto le principali risposte ricevute negli anni dagli studiosi e gli elementi principali sostenuti in letteratura.

1. L’orso bruno marsicano è ad alto rischio di estinzione: ogni evento negativo su di un singolo individuo può avere effetti diretti sul futuro della specie

2. L’alimentazione artificiale altera il comportamento dell’orso: e di tutta la fauna selvatica in generale. Spostamenti, abitudini, uso del territorio. Il comportamento di molti animali ne risulterebbe stravolto.

3. L’Alimentazione artificiale attira più orsi nello stesso punto: di conseguenza si alterano le interazioni tra gli individui della stessa specie. Aumenta il rischio di uccisione di cuccioli o maschi giovani ad opera di maschi adulti e dominanti. Per evitare questo le femmine con cuccioli e gli orsi giovani potrebbero spostarsi in aree ecologicamente meno idonee, anche vicino a centri abitati.

4. Il cibo dei siti artificiali non attira solo gli orsi: un cinghiale o un branco di lupi sono perfettamente in grado di uccidere un giovane orso.

5. Aumenta il rischio di trasmissione delle malattie: i siti di alimentazione favoriscono incontri sempre più frequenti fra più animali. Una “promiscuità” favorevole solo a veicolare malattie. In passato, selvatici e domestici sono stati attirati da cumuli di carote ai margini del bosco, messi per alimentare il bestiame domestico. Questo ha comportato la trasmissione della tubercolosi bovina ad alcuni esemplari di orso. L’orso, a causa della ridotta variabilità genetica è molto più vulnerabile a determinate malattie rispetto ad altri animali.

6. Gli orsi si abituano al cibo dell’uomo: In molte ricerche è emerso come gli orsi si abituano a trovare cibo facile senza necessità di cercare e/o predare

7. Alto costo, scarsa efficacia: il supplemental feeding costa. Molto. Al tempo stesso sono molte le evidenze che attestano una scarsa efficacia nel ridurre il conflitto tra uomo e orso, ovvero come deterrente per un orso a frequentare centri abitati. Uno studio in Slovenia (https://www.jstor.org/stable/24643806) ha dimostrato come a fronte di un programma di alimentazione artificiale, le predazioni sui capi di bestiame non sono mai diminute. Allo stesso modo, per esperienza diretta, lo abbiamo visto con l’orso Mario (M19) che avendo a disposizione tutti gli scarti delle produzioni agricole del Fucino ( in contesti seminaturali e lontani dai paesi) ha mangiato per tutto l’inverno, non è andato in letargo, ma questo non gli ha impedito minimamente di continuare a frequentare i paesi e a fare danni a pollai e bestiame.

8. Una questione di etica: in ultimo, ma non certo in ordine di importanza, l’alimentazione artificiale per molti versi riflette un approccio errato alla conservazione e all’ecologia. Conservare la natura significa lavorare affinché uomini e donne comprendano il ruolo ecologico di ognuno di noi per vivere in equilibrio e armonia con gli ecosistemi naturali. Trattare gli animali selvatici alla stregua di quelli domestici, sicuramente non va in questa direzione.
Al contrario è ristretto, oltre che poco robusto, il numero di evidenze scientifiche che sostiene l’efficienza dell’alimentazione artificiale applicata in alcuni contesti Nord Americani dove, in forte siccità, si è ottenuta una diminuzione delle incursioni di orsi nella stagione presa a riferimento. Queste evidenze fanno poi riferimento principalmente a popolazioni di orso nero americano che non sono a rischio di estinzione. In questi casi il danno procurato agli animali e all’ecosistema – che in ogni caso è innegabile da un punto di vista etologico – è quindi “accettato” a fronte dei benefici derivanti da tali pratiche. Benefici che sono esclusivamente a favore degli esseri umani.

Forse, la domanda giusta da porre non è “Perché il Parco non lo fa?”.

Ma piuttosto: “Perchè il Parco dovrebbe mai farlo?”.

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