Villavallelonga. In una nota, alcune artiste del gruppo “In faggeta”, colpite dai meravigliosi e variegati colori di Villavallelonga e dalle storie raccontate dalle anziane del paese, hanno descritto la loro esperienza e le sensazioni provate: “Il color cannella del tappeto di foglie che ricopre la valle, i fitti raggi del sole filtrati tra le fronde semispoglie, l’addensarsi delle nuvole, il rosso delle bacche, le variazioni dei verdi, dei gialli, dell’arancio, del viola. Sono i colori dell’autunno catturati da un gruppo di artiste nel cuore della faggeta di Villavallelonga. Una tavolozza naturale che da millenni segna il volgere delle stagioni, i mutamenti di luce, il cambio di sfumature nel bosco. La pittura come espressione della vita che si trasforma.
Accanto alle pennellate delle pittrici, risuona la voce delle anziane del paese. Agnese, Lucia, Francesca, Franca, Pasquarella e Urbana raccontano le vite di frontiera in un villaggio di montagna che nulla aveva fuorché natura: alberi e animali, valli e monti, pietre e terra. Una vita di fatica, fatta di lunghe transumanze per uomini e greggi e faticose marce a piedi o in sella agli asini per le donne. Dal paese alla piana del Fucino per coltivare la terra, da casa agli stazzi nei pascoli tra i boschi per portare da mangiare a padri e mariti. Questo per chi possedeva terreni e armenti, ma per chi non aveva nulla c’era solo il bosco, con la sua inesauribile “miniera” di legno da scambiare per sopravvivere. Si viveva solo di baratto: formaggio in cambio di frutta, legumi in cambio di stoffa, e legna in cambio di tutto quel che serve. Gli alberi hanno sfamato i più poveri, hanno accolto cavalli e pecore, hanno dato riparo agli animali selvatici. Quasi come una fiaba, Franca racconta il suo incontro con il lupo che aveva puntato una pecora. Sono state le sue urla a mandarlo via. Così come in un romanzo epistolare ricorda le lettere degli uomini in transumanza: “Per grazia di Sant’Antonio stiamo bene, noi e gli animali”.
Era una vita grama, c’era poco, ma era bello stare in paese, si parlava con tutti, chi poteva aiutava i meno fortunati, si festeggiavano insieme le panarde (festa tradizionale di Sant’Antonio Abbate). Ma i balli no, quelli non erano consentiti: vita ruvida, senza frivolezze. Vestiti fatti in casa, cibo autoprodotto, parsimonia e rigore. E istruzione per tutti: bambine e bambini andavano a scuola, imparavano a leggere e scrivere e ancora oggi ripetono i versi in rima imparati a memoria 70 anni fa.
Con questa iniziativa rendiamo omaggio a un paese che vive ai margini, ma che già 100 anni fa aveva fatto tesoro del suo patrimonio naturale. E’ del 1921, infatti, la cessione dei boschi ad un’associazione di tutela e conservazione, un anno prima del regio decreto istitutivo del parco”.