Avezzano. In arrivo questa domenica alla libreria Ubik di Avezzano per presentare il suo nuovo libro, Paolo Romano, giornalista che presta la sua firma all’Espresso e all’Huffinghton Post, ci ha svelato cosa si cela dietro le pagine di questa fatica letteraria. Ne è uscito un incontro ricco di spunti, di argomenti che rimandano alle pagine nelle quali Paolo si è esposto per raccontare anche aspetti intimi e profondi della sua vita.
“Se dovessi descrivere ‘La Formica sghemba’ con tre aggettivi? Beh, nel titolo uno è già presente” afferma nel mentre ci presenta il libro “ed è sufficiente per dare un’idea di quello che si troverà. E’ un racconto ‘sghembo’, sia nel contenuto sia nella forma. Non segue, quindi, alcuna linea tracciata il protagonista di queste avventure, che si trova a capire la propria attualità, il presente quando ormai è troppo tardi e dunque non ha altra strategia che provare a ricostruirsi, dopo una separazione traumatica, ripercorrendo fatti e protagonisti del tutto collaterali, vinti dalla vita, che hanno costellato la sua vita”.
“Ed è sghembo nella forma, perché ho provato a variare molto i registri linguistici, dall’alto al basso, dal vernacolo al formale, in base ai colori delle scene, per così dire. Il linguaggio è comunicazione e quindi espressività, saperci giocare può essere una strategia utile per raccontare. E così anche ho scomposto una cronologia ordinata delle vicende, disperdendole in note a pie’ di pagina, facendole successivamente rifluire, proprio come un fiume che ha un letto principale e i suoi molti affluenti. Provando a dissezionare quindi l’aggettivo “sghembo” lo direi un romanzo ironico, popolare e sperimentale”.
Questo lavoro si discosta non poco dal tipo di giornalismo che quotidianamente Romano esercita, essendo lui prevalentemente focalizzato sul mondo della musica e della cultura più in generale. Viene spontaneo, quindi, chiedere se la scelta di realizzare un libro così diverso dal suo mondo fosse realmente voluta e se, con riguardo alla forma in esso contenuta, questa possa essere considerata frutto di una precisa scelta linguistica.
“E’ stata una faticaccia, in effetti, uscire dal modo di raccontare utilizzato nel giornalismo. Lì, naturalmente, ci sono delle regole che rispondono in primo luogo alla chiarezza e subito a seguire all’imparzialità del racconto, attraverso fatti e dichiarazioni. Ci hanno insegnato gli anglosassoni a utilizzare le famose “W” (who, what, when, why) per attaccare i nostri pezzi ed è un metodo ancora valido. Il romanzo, al contrario, deve poter rompere ogni schema, essere libero, poter in base al contesto esprimere un giudizio, anche violento o provocatorio, o rimandarlo all’azione dei suoi personaggi. Non ci sono parole escluse dal circuito linguistico, anzi, se utilizzato con buon senso, diventa un magnifico pretesto per rimodulare parole, ricorrere ad arcaismi, latinismi, neologismi … tutte cose, se non vietate, altamente sconsigliate in un articolo di giornale”.
E quindi, se fosse un genere musicale, quale potrebbe essere? “Non ho dubbi: il jazz! Ora, per semplificare, caratteri essenziali di quella musica sono l’uso delle sincopi, cioè usare i cosiddetti tempi “deboli”, che creano una tensione e un senso di mancata risoluzione e l’improvvisazione, cioè l’estemporaneità costruita però su una forma definita, un contenitore con delle regole lasche che possono esser percorse in un’infinità di soluzioni possibili. Ho provato a fare lo stesso raccontando le vicende di questa ‘formica’, tirando la corda delle storie laddove sembravano più deboli e variando moltissimo sul tema principale (quello del padre separato) fin quasi a farlo scomparire, quasi”.
L’arte della scrittura è da molti considerata come terapeutica. Considerando che vi è anche un’intimità piuttosto pronunciata all’interno di queste pagine, in che modo il tuo stato d’animo ha inciso sul tono del libro? “Io sono cresciuto a pane e Svevo, quindi la figura di Zeno e della sua coscienza ricostruita dallo psicologo per smettere di fumare sono, lo dico con l’ovvia umiltà, il faro di queste mie pagine. Per me, però, non è la scrittura a esser terapeutica, ma la terapia a far la scrittura, nel senso che la psicanalisi regala a chi racconta un modo di approfondire, scavare, entrare dentro i recessi e l’intimità dei personaggi fondamentale. Un romanzo non può esser uno ‘sfogatoio’ del proprio stato d’animo, altrimenti sarebbe un diario privato. Bisogna, invece, che un’emozione sia stata vissuta integralmente e lasciata un po’ a ‘sbollire’, per così dire, per veder che forma prende con il tempo. Poi la sfida è raccontarla con vividezza, come se fosse in corso, ma in realtà l’hai già dominata, è già parte di un romanzo ideale che aspetta solo di essere scritto. Questa è, a mio parere, l’ironia, che letteralmente vuol dire dissimulazione, allontanamento del fuoco perché quel distacco consenta di descriverlo meglio, temperatura compresa”.
Prima di chiudere, la parentesi e il rimando alla sua passione principale – cioè la musica – è d’obbligo. Il 2020 sarà un anno ricco di concerti e grandi ritorni in Italia, da Paul McCartney a Cat Stevens, passando per Nick Cave, Iron Maiden, Lenny Kravitz, Foo Fighters e decine di altri nomi di svariati generi musicali. Quanto è importante, all’interno della società attuale e degni anni che stiamo vivendo, l’impatto della musica, dei suoi valori e della sua capacità di aprire cuori e menti delle persone? Anche su questo, Paolo, non ha dubbi.
“La musica, come ogni altra espressione artistica, è linfa delle idee, fa crescere un popolo e lo rende libero, perché accende una miccia che mette in comunicazione chi la musica la fa con chi la ascolta, quindi innesca un dialogo, cioè appunto democrazia e confronto. Tu hai citato dei “padri nobili” che verranno da noi e, ognuno nel suo genere, pop, rock, metal, folk hanno saputo inventare un linguaggio nuovo, ancora oggi punto di riferimento per chi scrive e fa musica (e tanto s’è diffuso che spesso manco se ne accorge!). Poi il discorso è complesso, perché nei grandi eventi la fruizione è legata alla possibilità economica di potersi pagare biglietti piuttosto costosi. Ma in Italia c’è un’offerta musicale, ma più in genere culturale, molto più estesa di quanto non si pensi, si rischia il ribaltamento di domanda e offerta. Il tema, a mio giudizio, riguarda molto più chi fa le scelte, parlo di televisioni e radio commerciali che ancora ad oggi hanno la fetta maggiore di ascolti, e magari non passa Nick Cave, ma Young Signorino nell’idea che “tiri” di più; ma è una follia! Chiunque vive e gira per eventi li vede affollati. Manca il coraggio di proporre prodotti alternativi, indipendenti e di grande qualità, anche per il cortocircuito che si crea con le major … ma qui si finisce per sentieri ‘sghembi’ impossibili da liquidare in poche parole”.