C’era una volta un paese lontano, che però, a misurare da qui, non è lontano poi così tanto.
In questo paese c’era tutto quello che serve a poter dire che là non mancava proprio niente.
C’erano le case abbracciate l’una a l’altra come tante amiche che non vogliono lasciarsi andare, c’erano tetti di coppi rossi con i camini, d’inverno fumanti come ciminiere di statiche navi che non hanno mai salpato l’ancora, protesi verso l’azzurro sconvolgente di quel cielo quando questo è incredibilmente terso. C’era una piazza, sempre piena di persone impegnate in discussioni che, pacate o accese a seconda del minore o maggiore interesse per l’argomento trattato, vertevano sui temi che allora erano i più sentiti e che anche oggi continuerebbero, se solo ci fossero ancora delle persone su quella piazza.
Si parlava, in quel paese lontano lontano: il raccolto, le mele, il grano e le patate, la politica, il governo di Roma e che si stava meglio quando si stava peggio, i prezzi alle stelle e le tasse che così non si può più andare avanti. E poi il sindaco e il prete, il maresciallo e il farmacista, il medico e la levatrice. C’era, affacciata sulla stessa piazza, la chiesa con il rosone tipico di quelle terre, e la fontana che generosamente dissetava tutti e che tutti, con grande affetto, chiamavano amichevolmente Clelia. C’era una matassa di vicoli, a volte così stretti da lasciar passare una sola persona alla volta, che conducevano fino agli angoli più nascosti del paese e profumavano, a mezzogiorno, dei sughi e delle cose buone preparate nei giorni di festa.
C’erano pure cinque amici che non ci è dato di sapere se fossero seduti al bar. Però anche loro volevano cambiare il mondo e, invece, è già tanto che il mondo non abbia eccessivamente cambiato loro. Nel silenzio di quel paese puoi ancora captare le voci di quei cinque amici, le loro vitali discussioni, la loro allegria contagiosa, l’eco forse un poco sbiadita delle loro infinite avventure.
E forse il bello della vita, il senso profondo della sua essenza, sta proprio in tutta la memoria che, strato su strato, pagina dopo pagina, puoi ancora avere la fortuna di trovare nel reticolo di vicoli di un paese lontano che poi così tanto lontano non è.
Vincenzo Buccella
Era il 2009 e per la prima volta scrissi dell’orso. Della sua natura selvaggia, occulta, del suo “urlo interiore” sempre più lontano e inascoltato. Era il 2009 e per la prima volta salii le scale che portano alla chiesa parrocchiale trecentesca di Ortona dei Marsi, in provincia dell’Aquila. Una compagnia teatrale molisana portava in scena uno spettacolo in cui si raccontava della convivenza con l’orso. Sul posto anche Pierluigi Giorgio, documentarista.
Ortona dei Marsi, circa 400 residenti, in realtà 200 abitanti effettivi, è il paese delle mele e del miele. E come non può dunque essere anche il paese dell’orso bruno marsicano. Uno dei tanti piccoli centri abitati del Parco nazionale, d’Abruzzo, Lazio e Molise dove la vita sembra essere rimasta sospesa, in attesa o di una vera rinascita o dell’irreversibile silenzio della morte.
Qualche tempo fa lessi un articolo, il titolo era più o meno così: “Il diritto di morire dei piccoli borghi montani”.
Sono giorni che provo a comporre un pezzo su quello che è stato Ortona dei Marsi, per me, naturalmente. Penso a quell’articolo, al dibattito che ne è nato sui social.
Poi una sera, mentre componevo il video con le foto della mia ultima visita ad Ortona è uscito lo scritto di Vincenco Buccella. Ortonese di origine, ha la passione per la poesia. E quando Vincenzo compone i suoi versi, che siano in rima o in prosa, sembra di camminare sulle sue parole: Vincenzo Buccella regala occhi e ricordi a chi non li ha.
Ho pensato: “È già tutto qui, che mi metto a scrivere io…”.
Poi però ho capito che se non avessi scritto una cosa mia, non sarei riuscita a raccontarvi della postina del paese, che davanti al bar, che porta ancora sul portone una scritta del fine dell’Ottocento, mi disse: “Qui la mattina mi aspettano tutti. Oggi una vecchietta mi ha detto: ‘Io aspetto solo te così posso fare due chiacchiere'”. E nemmeno di Franco, lui lavora in una multinazionale ma da Ortona non ha alcuna intenzione di andarsene. Mi ha portato a vedere un piccolo b&b nel centro storico del paese. Mi ha regalato due mele. Erano così profumate che la mia auto, il giorno dopo, ancora odorava di Ortona dei Marsi.
Questo è un altro articolo realizzato in collaborazione con il nostro partner MyZona, l’app dedicata ai luoghi del cuore (download qui per Ios – download qui per Android). Ortona dei Marsi ci entra “di diritto” in My Zona, per crederci dovete visitarla, capirete facilmente da soli di cosa parlo.
Nel bar che anticipa la sala del ristorante che si trova al paese, Lucia Bassi sta già organizzando la cena. A prendere il caffè c’è Salvatore Campisi. Salvatore è di Roma. Tanti anni fa visitò Ortona e da qui non se ne è andato più. La sua di passione è la fotografia. E nei suoi scatti si trova la natura, quella che regala emozioni solo pochi secondi, inafferrabile, indomita.
Le sue sono cartoline che fanno rimanere senza fiato. Perché Ortona vive del respiro degli orgogliosi animali d’Abruzzo, quelli le cui anime regalano serenità, silenzio, pace.
Gianfranco Silvagni è un consigliere comunale della nuova amministrazione a guida del sindaco Giuseppe Buccella. È lui che mi spiega che ormai i figli della gente d’Ortona sono i primi turisti del paese, sono quelli che ormai cresciuti a Roma tornano sempre “a casa” e sono in primis i “visitatori di fuori”, soprattutto in estate naturalemente. Con lui abbiamo fatto un giro nel borgo e tracciato una nuova MyZona da raccontare su Marsicalive e Abruzzolive.
Il primo cittadino ha le idee chiare: “No, Ortona non morirà. Riporteremo gli eventi, la pro loco, riporteremo le persone a investire nel paese, ad prire qualche attività commerciale”. Per farlo ora è il momento di provare davvero ad ottenere l’uscita autostradale. Perché sarebbe qui la vera porta di accesso al Parco nazionale d’Abruzzo. E se tutto il turismo che arriva a Pescasseroli, passase di qui, allora sì che il paese si riaccenderebbe e non sarebbe più solo un passaggio casuale.
A Ortona c’è il genere alimentari, con Dina Buccella sorridente e felice che dice: “Io amo questo posto e amo il mio lavoro”.
Mentre giriamo il paese incontriamo Gino Di Cristofaro. È in pensione, ora sta ristrutturando la sua casa lontano dalla frenesia della città dove per lavoro è stato costretto a vivere per tanti anni.
Ci sono i bar, i ristoranti, i b&b, una sede di poste italiane e c’è la farmacia. I bambini che frequentano la scuola sono solo due. Vanno nell’istituto di Pescina.
Nello stesso palazzo del Municipio c’è anche la sede del Pnalm. Qui c’è Amalia Taglieri. In paese la conoscono tutti, anni fa è stata anche nell’amministrazione comunale.
Amalia conosce passo passo la vita del paese e della sua gente, Amalia è una dipendente del Pnalm ed è assegnata al Servizio Educazione e Didattica.
“È indiscutibile la qualità della vita che si conduce in un piccolo borgo come il nostro, infatti chiunque venga a Ortona per motivi turistici o per caso ne rimane incantato”, ci racconta quando le chiediamo di come si vive in questo borgo, “soprattutto durante il periodo estivo. Quest’anno infatti c’è stato un certo movimento di compravendita di case, complice questo virus che ha fatto ri/scoprire luoghi molto belli e vicini a grandi città, come ad esempio Roma. Poi se pensiamo che in un’ora e mezza dalla grande metropoli, siamo nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Certamente per la popolazione locale non è stato e non è facile convivere con la presenza assidua di cervi, cinghiali, orsi che distruggono orti e varie coltivazioni, a livello familiare e non solo. Pensiamo al miele, ai prodotti come patate, legumi, zafferano. I pochi allevatori risentono di questa convivenza forzata. Nel mio ufficio durante il mese di maggio e giugno 2021 era diventato lo “sfogatoio” di tutti… Il Parco adotta tutte le misure possibili sia di prevenzione che di risarcimento danni. Ma Juan Carrito e la sua famiglia non hanno reso questi rapporti particolarmente idilliaci… Sicuramente il paese ha forti potenzialità che andrebbero messe a frutto. Pensiamo a tutte le case del centro storico che danni non vengono aperte. I proprietari potrebbero venderle e se ci fosse un gruppo di giovani si potrebbe creare un albergo diffuso. Quei pochi giovani, come biasimarli, hanno preferito la certezza del “posto fisso”. C’è qualcuno che resiste ma ha già un lavoro che gli consente di mantenersi e le attività agricole e di allevamento sono a livello hobbistico. O si tratta di pensionati che coltivano la terra dei loro nonni”.
Proprio ad Amalia ho chiesto di portarmi alla frazione di Carrito ed è stata lei che mi ha fatto conoscere Martina Cipriani e Daniele Paradiso. Sono loro che gestiscono lo Chalet, un ristorantino tipico nella frazione che ha dato il nome all’orso Juan Carrito. Il terribile orsetto, figlio di mamma Amarena. Orsetto solo di nome perché pesa oltre cento chili, nonostante abbia solo due anni. È l’orso “star dei social” che ha portato il nome dell’Abruzzo in giro per tutta l’Italia, con una comunicazione veloce, rimbalzata da una bacheca a un’altra, da un sito all’altro. Orso problematico, confidente, condizionato ormai dal cibo facile, spesso quello dei rifiuti. Di andare in letargo non ne vuole proprio sapere. Perché lui, come ho già scritto in altri articoli, è un vero simbolo di abruzzesità: resistente, resiliente, cocciuto ma gentile. È così che lo vedo e lo vedono in molti.
Per essere munito di radiocollare è stato catturato dal personale specializzato del Pnalm proprio a Ortona dei Marsi, nella frazione di Carrito.
Era qui che Juan (si chiama così per rendere omaggio al presidente del Parco, Giovanni Cannata) amava mangiare mele e frutta sin dalla prima “infanzia”… “E chiamalo scemo”, direbbe qualcuno sorridendo…
“Sì, l’abbiamo visto JC. Dalle riprese delle telecamere, di notte. Si vede che passa qui davanti, sicuramente richiamato dall’odore della cucina”, racconta con il sorriso Martina. “Ci siamo sempre sentiti al sicuro, qui è sempre stato pieno di guardiaparco e carabinieri del reparto Parchi, li conosciamo bene”.
Ora JC pare proprio che abbia cambiato abitudini. Dopo essere cresciuto nel paese delle mele e del miele si è trasferito a Roccaraso, il paese degli impianti da sci.
Ho realizzato un video con le immagini che ho scattato nella mia veloce visita alla frazione di Carrito e a Ortona dei Marsi, di qualche settimana fa. Ho fatto conoscere il paese che ha cresciuto il suo orso JC a mia figlia. Qualche sera dopo nel suo “Diario di bordo” ho visto che aveva scritto che quella “tappa” l’avrebbe aggiunta ai suoi giorni più belli della vita. Perché per la prima volta aveva guardato con i suoi occhi dove viveva quell’orso di cui sente parlare spesso la mamma.
“Chissà se la gente si domanda e poi chiede
come si viva con una palla al piede;
al posto invece di annullare le pene
senza quel vincolo delle catene.
Conservare il selvatico dentro di sé,
essere in fondo quel che si è;
mantenere il contatto con l’ingenuità
respiro primario d’ identità.
Forse è più comoda senza domande
una vita da schiavo sotto badante;
soffocare l’istinto con la ragione
e danzare a comando: “Balla buffone!”
(dalla “Ballata dell’Uomo-Orso” di Pierluigi Giorgio)
Non fatelo morire quel selvaggio che ancora sentite dentro di voi, non ingabbiatelo, respiratelo e custoditelo. Andate a visitare Ortona dei Marsi e capirete come fare.
Ma cos’è MyZona? È un’applicazione con cui tracciare i posti del cuore, i miei, i vostri! Quelli che avete visitato per la prima volta, scoperti magari per caso. Scaricatela da qui e lasciate la vostra Zona del Cuore, arricchitela con le vostre recensioni e entrate con noi nella grande community di MyZona.
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