Aielli. “Allorchè sempre più murales vengono dipinti, con colori in genere vivaci, sulle pareti esterne delle case, anche nella zona centrale e persino in quella per così dire sacra, e quindi di per sé intoccabile, dell’acropoli medievale di un piccolo borgo montano, non si può evitare l’effetto “arlecchino” (che travalica l’eventuale valore intrinseco di ciascun murale), nel senso che quelle pareti finiscono con l‘alludere alle losanghe multicolori del vestito di Arlecchino: si verificherà insomma che il paese tutto, agli occhi di chi lo guarda, indossi in permanenza l’abito della nota maschera bergamasca, il quale però va a sovrapporsi, guastandola e svalutandola, alla precedente sua veste, intessutasi lentamente attraverso lo scorrere dei secoli. Una veste certamente modesta, logora, rude, né sgargiante né chiassosa, ma più o meno antica, e con la caratteristica impagabile di essere propria del paese, né artefatta né d’accatto”.
Inizia così la nota inviata alla stampa da un cittadino di Aielli, Pietro Maccallini, che si definisce “una voce fuori dal coro”, parlando dei famosi murales che colorano il centro di Aielli.
“Ora, a mio modesto avviso, l’arlecchinata andrebbe non bene, ma benissimo, per il periodo di Carnevale, ma, se è destinata a rimanere fissa per gli anni a venire, provoca irrimediabilmente un forte squilibrio cromatico e uno sfibrarsi del compatto tessuto di base del piccolo centro montano, con la sua storia fatta di sudore, rinunce e povertà dei mezzi espressivi e costruttivi, centro che ora è costretto a sdilinquirsi, spappolarsi e sciogliersi in macchie moderne di colori squillanti, simili a smancerie civettuole che non avrebbe mai pensato di dover sopportare nella sua austera e parca esistenza.
Termino col seguente paragone: è come se, insomma, una persona che si sente intimamente maschio, ed ha il comportamento di un maschio, fosse costretta a sentirsi un transgender, il quale prova a sua volta giustamente disagio a sentirsi trattare come maschio quando non si sente tale.
Un paese è quello che è, bello o brutto che sia; può sì ricevere una cosmesi delicata e congruente alla sua faccia, ma non può venire costretto, mai e poi mai, ad assumere un aspetto che non gli appartiene, pena la perdita appunto della sua identità più profonda e della sua tranquillità psichica. Almeno gli edifici medievali e quelli risalenti al periodo del Fascismo, quasi tutti entro lo spazio delimitato dai resti di quella che fu la Cinta muraria del paese (talora anche fuori di essa), dovevano rimanere a mio avviso lontani dai pennelli degli invadenti artisti di strada, che ne cancellano o vilipendono la Storia a cuor leggero in favore di una modernità livellatrice, chiassosa e confusionaria.
Spero con tutto il cuore, per l’amore che porto al mio paese, che la mia breve analisi estetico-storica sia errata”.