Massa d’Albe. Il vento. Una viola. Il silenzio. La musica. Il rumore dei passi. Il Monte Velino. Il colore del cielo e della terra. Che è lì, tanto nuda quanto senza tempo, immortale. Un video di pochi minuti: omaggio alla memoria dei quattro escursionisti che un anno fa furono ritrovati senza vita sul Monte Velino, in Valle Majelama. Il 24 gennaio erano stati travolti da una valanga, violenta, immensa. Che non ha lasciato loro via di uscita. Li ha travolti, li ha uccisi.
Gettando nell’angoscia, nella disperazione e nel dolore quattro famiglie.
Erano Valeria Mella, Gianmarco Degni, Gian Mauro Frabotta e Tonino Durante.
Dopo un anno il dolore è ancora tutto qui. Ma non credo che passerà mai. Però ci sono loro: i familiari, che sono esempio di amore, vita e coraggio. Ogni giorno, per tutti. Perché è vero, i quattro escursionisti del Velino sono morti in circostanze drammatiche ma quella montagna, che ancora oggi, custodisce il loro animo e il loro respiro. Ma quella montagna non può e non potrà mai essere odiata da nessuno.
Perché la montagna è il simbolo della vita e Valeria, Gianmarco, Gian Mauro e Tonino lo sapevano. E possiamo continuare a scrivere fiumi di parole, a pubblicare video e foto per mesi, anni. Ma mai si potrà spiegare a chi non ha mai vissuto, amato, pianto, toccato una montagna, vissuto con i propri limiti su una vetta, potrà mai capire cosa sono quei passi, quelle luci, quei silenzi.
La morte di quelli che oggi chiamiamo “Angeli del Velino” non è solo un monito per spronare alla sicurezza in montagna. Quelle morti oggi grazie agli abbracci di questi genitori, dei fratelli e delle sorelle, continuano a insegnare la vita. Quella che Veronica, dopo qualche mese ha portato di nuovo salendo su quella Vetta. Quella dei genitori di Degni che sono tornati ad abbracciarsi nella Grotta di San Benedetto. Quella di Mauro Frabotta che il Monte Velino lo conosce ancora poco ma che promette di andarci presto a camminare.
“Mi piacerebbe che i ragazzi sapessero perché Valeria andava in montagna”… Mi ha confidato un giorno il suo papà.
Un giorno magari con le loro parole riusciremo a raccontarlo davvero chi erano i quattro amanti della montagna, che amavano le sfide, la neve e il Velino.
Alla fine è stata la forza della natura a riportarli alla luce e a restituirli. Dopo giorni di intrepide e incessanti ricerche, il 19 febbraio, la natura li ha riconsegnati alla luce. E ha portato il silenzio dopo giorni e giorni di tante e a volte davvero troppe parole.
Questo è un video realizzato da un giovane regista originario di Massa d’Albe. Si chiama Paolo Santamaria. Su quelle montagne ci è cresciuto, gliele hanno raccontate le mani rugose dei nonni. Le conosce. E le conosce anche Adriana Marinucci. Anche lei giovane. Vive da tanti anni a Roma, è una musicista, un’insegnante di musica. È originaria di Celano.
I due professionisti si sono conosciuti sul palco di Sanremo qualche anno fa. Lo scorso anno si sono incontrati dopo un mese da quella tragedia, sono saliti in montagna e hanno realizzato un video che raccontasse la tristezza, la mancanza, la consapevolezza, gli errori. La morte e la vita.
Lo hanno presentato così.
Paolo Santamaria
Può un essere inanimato, ancor oggi, soggiogare paure e speranze di un’intera comunità?
Un anno fa lo scoprivamo in maniera lapalissiana.
Il Velino, gigante che tutti culla, d’improvviso precetto inospitale, trasformato in famelico orco da un accoramento condiviso. Speranza e fede, diffuse e palpabili, a scontrarsi con cinismo e pragmatismo di una società obbligata a proferire opinioni, sempre, per non restare indietro.
Un momento in cui si è detto molto, sfociando nel troppo, in quel vortice social dove la spinta emotiva appare quale perfetta giustificazione di qualsiasi silenzio mancato.
Perché in fondo è di ciò che ha bisogno l’alta montagna, di offrire e ricevere silenzio, così come in momenti duri meritano rispetto e silenzio coloro che soffrono, nell’attesa di un segno, di una consapevolezza dura quanto necessaria.
Ricordo ancora lo sguardo di mia nonna, terrorizzata dal frastuono degli elicotteri che ogni 5 minuti la sorvolavano, atterrando e decollando dal campo sportivo dietro casa sua. Mai così tanti soccorsi erano stati attivati per un soccorso in quota, e nei suoi 90 anni di vita di tragedie ne aveva udite molte, precetto per cui non aveva mai affrontato quell’altitudine, eterno timore.
In quei giorni guardai Gravity, per l’ennesima volta, in quegli istanti tanto lontano quanto propizio, poiché il nostro vagare su questa Terra è sancito da un costante contrasto di sentimenti e difficoltà, cruento teorema della vita.
Gravità che ci tiene coi piedi a terra,
gravità che ci opprime,
gravità che ci rende liberi di osare e nel nostro delicato equilibrio,
ci rende liberi di sbagliare.
Proprio l’epilogo della colonna sonora di Steven Price mi rimbalzava nel cervello; archi malinconici e speranzosi, capaci di sintetizzare perfettamente la meraviglia della nostra transitorietà.
Un’ode che Adriana ha saputo rileggere in maniera originale, con estrema misura e classe, un sommesso lamento alla nostra montagna.
Un’ode mantenuta nel cassetto per mesi, ma che vogliamo condividere quale elegia delle tante energie profuse, del tanto cuore condiviso, di tutti coloro che si sono battuti ma anche di tutti coloro che son rimasti in silenzio, rispettosamente ad attendere, sommessi, come le vibrazioni di una viola in una friabile sera di Marzo.
Adriana Marinucci
Quando ho conosciuto Paolo Santamaria e The Factory sapevo degli escursionisti travolti dalla valanga sul monte Velino. Avevo seguito la febbrile e instancabile ricerca, durata quasi un mese, fino al suo tragico epilogo. La vicenda dei 4 dispersi ha scosso tutto l’Abruzzo e in particolare noi marsicani, divisi perennemente tra l’amore incondizionato e il timore riverente verso le nostre maestose montagne, imprevedibili come gli eventi atmosferici che le caratterizzano.
Il turbamento di Paolo mentre mi parlava era tangibile, ma la sua percezione della vicenda si era dimostrata da subito discreta e rispettosa. Ho accettato di far parte del progetto che aveva in mente, perché provavo lo stesso turbamento. Sentivo che con il suono malinconico della mia viola avrei potuto esprimere quelle stesse sensazioni.
L’idea era di creare uno sfondo musicale ispirato alle note del film “Gravity”, ma sarei riuscita ad reinterpretare quel denso manto sonoro col mio strumento? Avevo un’idea musicale molto simile a quella visiva di Paolo e il tutto è fluito con grande naturalezza.
Siamo stati più volte su quella montagna, tanto imponente quanto inesorabile. Volevamo capirla senza disturbarne il silenzio, apprezzarne la bellezza senza tempo.
Sono salita su tanti palchi fino ad oggi, ma niente è stato emozionante come suonare in quel luogo solenne che è la mia terra, la nostra terra e anche quella di chi non c’è più.
È stato un onore dare una voce senza parole a questo video, girato con l’intimità e il rispetto sincero che questa tragica vicenda merita.
Mentre ero lì su con la mia viola non c’era che il vento ad accompagnarmi. Spero di essere riuscita ad interpretarne il messaggio.
L’ultima foto
Di quel 24 gennaio 2021 rimane una foto, l’ultima. Un selfie scattato con uno dei cellulari ritrovati dai soccorritori quel 19 febbraio dello scorso anno.
È l’immagine degli occhi pieni di luce, di amore, di passione e di montagna. Quella luce che continuerà a scaldare per sempre chiunque abbia conosciuto Valeria, Gianmarco, Gian Mauro e Tonino.
IL VIDEO
Leggi anche:
Un anno senza i “Cercatori di meraviglie”, tutto l’Abruzzo oggi ricorda i quattro Angeli del Velino