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Milano, la prima parola da dire ai rifugiati che arrivano in Marsica è: Benvenuti

Redazione Attualità di Redazione Attualità
17 Luglio 2015
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Avezzano. Gino Milano, dell’associazione Rindertimi, illustra con una sua riflessione il concetto di accoglienza. “Tenere insieme solidarietà e responsabilità (ovvero emozioni e ragione, sentimenti e razionalità, valori etici e decisioni pratiche e coerenti) non è stato mai facile per nessuno”, ha spiegato Milano, “nei momenti in cui le cose della vita si fanno più dure, quando – come oggi – si attraversano tempi di crisi e di difficoltà, l’equilibrio tra le due voci si incrina, si fa dissonante. Può accadere, allora, di “ragionare con la pancia” o “mangiarsi il cervello”, alterando pericolosamente le dimensioni che caratterizzano e misurano l’umano, l’umanità.
E quando anche le informazioni e le comunicazioni tendono a sublimare, a stilizzare, talvolta a mistificare la realtà e gli eventi, allora la confusione rischia di dilagare innescando contraddizioni, alimentando conflittualità, generando fantasmi e mostri che sembrano attualmente sempre più abitare il cuore delle persone e della società. Succede, ad esempio, che in occasione dei mondiali di calcio ciascuno di noi liberi la sua tifosità gino milanoe diventi allenatore della Nazionale; quando si è genitori con figli a scuola ognuno mostri il suo orgoglio e si senta esperto docente di discipline scolastiche; così pure capita di assumere la veste di difensore della fede e si faccia teologo di fronte alle scelte della Chiesa, quando questa si apre alla pratica dell’accoglienza e organizzi la solidarietà, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, valendosi delle risorse allo scopo rese disponibili dalle Istituzioni e dagli Ordinamenti, rispondendo a quel comandamento evangelico che – ricordo bene – Suor Cecilia mi insegnò da ragazzino: “ama il tuo prossimo”. E mi diceva anche: “stai attento; il prossimo non è quello dei tuoi sogni, o quello che ti scegli, ma sono le persone in difficoltà che incontri concretamente nella tua storia, nei luoghi della tua vita!”. Sono parole che col tempo ho riascoltato nella Chiesa, come evangelizzazione e promozione umana, evangelizzazione e testimonianza della carità, evangelizzazione come misericordia. Di fronte all’emergenza umana di quei volti di disperati che hanno subìto già violenze inaudite, sfidato il destino fino a mettere in gioco la loro vita, e pur con i timori e la ritrosia verso lo straniero – come sconosciuto e diverso (è il mal di pancia istintivo!) – ci si può rivolgere loro tentando di coniugare solidarietà e responsabilità?? Penso che si debba farlo, e lo si possa fare guardando anzitutto loro, ponendosi davanti ai loro sguardi, alle loro storie, ascoltando le loro attese, soffermandosi sui loro sogni … forse riscoprendo i sogni di speranza di tutti, anche i nostri. E’ a quelle donne, a quei bambini, a quei giovani accolti dalla Caritas parrocchiale di Sante Marie – “soggetti” e non oggetti di riflessione – che vorrei volgere l’attenzione, chiedendo in prestito le parole di Enzo Bianchi della comunità di Bose: parole semplici, dirette, essenziali, il cui spirito io non ho. Ma vorrei imparare: “Ai Rifugiati che giungono in mezzo a noi La prima parola che vorrei rivolgervi è “ Benvenuti!”. Purtroppo però so che, mentre tanti uomini e donne di questo Paese si sono prodigati e si impegnano quotidianamente per accogliervi e riconoscere la vostra dignità, tanti altri non vi fanno sentire “benvenuti” in questa terra, disprezzando le vostre speranze e infangando i valori fondanti della nostra società. Allora la prima parola che vi dico è: “ Perdonateci”. Perdonateci per non aver saputo impedire le tragedie che vi hanno spinto fin qui. Perdonate la nostra indifferenza verso quanti nutrivano il vostro stesso sogno e non ce l’hanno fatta a raggiungere il nostro Paese. Perdonate la nostra durezza di cuore, la nostra incapacità di riconoscere e onorare l’essere umano che è in ciascuno di voi, la nostra mancanza di memoria che cancella quel passato in cui molti nostri progenitori si sono trovati nelle vostre condizioni. E infine, e soprattutto, “grazie!”. Grazie perché vi siete fatti prossimo a noi, feriti e prigionieri del nostro egoismo, e ci state curando, infondendoci il coraggio della misericordia. Grazie per non averci lasciati soli nella nostra autosufficienza, per averci dato la possibilità di diventare a nostra volta “ prossimo “, non di chi è come noi ma di chi, in virtù della sua differenza e della sua sofferenza, risveglia il bene che giace addormentato in noi. Che questa terra, che questo Paese possa diventare il vostro e nostro Paese, un Paese migliore perché ci accogliamo a vicenda. Coraggio, insieme possiamo farcela!”

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