Avezzano. Si è tenuta ieri pomeriggio nella Chiesa Cattedrale di Avezzano, la Messa Crismale, presieduta dal vescovo Giovanni Massaro e concelebrata dai sacerdoti della diocesi, durante la quale sono stati benedetti gli oli e consacrato il Sacro Crisma.
Durante la Messa Crismale i presbiteri hanno rinnovato le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale. Questa Messa è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del vescovo e un segno della stretta unione dei sacerdoti con lui. Infatti con il Crisma consacrato dal vescovo vengono unti i neo-battezzati e segnati sulla fronte i candidati alla confermazione. A sua volta, l’unzione con l’olio dei catecumeni prepara e predispone i catecumeni stessi al Battesimo. E infine l’olio degli infermi che reca ai malati sostegno e conforto nelle loro infermità.
È stata la prima Messa Crismale presieduta dal vescovo Giovanni Massaro ed è anche stata alla presenza del vescovo emerito Pietro Santoro.
“Puntare gli occhi su Cristo significa ritrovare la fonte della missione”, ha detto Massaro nell’omelia, “i tratta di mettere in discussione la nostra mentalità tante volte rassegnata, priva di coraggio, senza fantasia. Si, è vero le comunità cristiane sono oggi più povere rispetto al passato, facciamo fatica a ritrovare i giovani e anche a raggiungere gli adulti ma non perdiamo il coraggio. Guardiamo a Lui, fonte della nostra missione nel mondo e saremo illuminati. Siamo tutti chiamati come il Messia a predicare un anno di grazia non con le parole ma con l’esemplarità della vita e con la gioia di servire il Signore e i fratelli”.
L’omelia del vescovo Giovanni Massaro
A Nazaret, nella sinagoga, Gesù esce allo scoperto e dichiara apertamente di essere lui l’atteso delle genti, il Salvatore del mondo. E l’evangelista Luca aggiunge che «nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui».
Carissimi miei fratelli, voglio sedermi accanto a voi, immergermi nel flusso del sacerdozio del popolo di Dio e in forza del mio sacerdozio ministeriale e del mio servizio episcopale aiutarvi a puntare gli occhi su di lui. Puntare lo sguardo su Cristo significa in primo luogo trovare la radice della comunione tra noi. Il cammino sinodale ci sta consentendo di ritrovarci all’interno delle nostre parrocchie, foranie, aggregazioni laicali, uffici pastorali e poi anche con persone che non sono solite frequentare i nostri ambienti, per confrontarci, dialogare, discutere. Quanta voglia di camminare insieme ho piacevolmente riscontrato. E poi anche tra presbiteri abbiamo avviato gli incontri di formazione permanente del clero proprio sul tema delle relazioni, ci siamo incontrati mensilmente per il ritiro spirituale, mi sono messo in ascolto di voi presbiteri, religiosi e diaconi all’interno delle diverse foranie. Momenti molto interessanti, ben partecipati e da voi molto apprezzati.
Ma non dobbiamo dimenticare che la comunione non è solo il risultato dei nostri sforzi, non è semplicemente la logica conseguenza dei nostri incontri, bensì è dono di Dio. Se non teniamo gli occhi fissi su di lui non riusciamo a costruire comunione. Tradotto in termini concreti, tutto questo significa riscoprire il valore dell’intimità con Gesù Cristo.
Carissimi confratelli presbiteri, sono rimasto edificato dal vostro esempio e dalla vostra bontà. Per crescere però ulteriormente nella comunione tra noi dobbiamo riscoprire sempre più il valore del silenzio e il gusto della preghiera prolungata. Manteniamo ferma la fedeltà alla recita del breviario e lasciamoci rinnovare interiormente attraverso la preziosa esperienza annuale degli esercizi spirituali, magari tralasciata in questi anni di pandemia. La preghiera è il nostro impegno primario al quale non ci è consentito abdicare perché ci consente di custodire il nostro sacerdozio.
Noi tutti, carissimi sacerdoti, sappiamo bene che lo spazio e il tempo dedicato alla preghiera non sono mai sottratti all’azione pastorale. Piuttosto la vivificano e la alimentano quotidianamente. Ricordiamo pure di avere pubblicamente dichiarato l’impegno di implorare la divina misericordia per il popolo a noi affidato, dedicandoci assiduamente alla preghiera. Tra un po’ rinnoveremo questo impegno insieme con tutti gli altri assunti nella nostra ordinazione. È l’intimità con il Signore che ci permette di ritrovare il gusto della comunione. È come presbiterio, con a capo il vescovo, che annunciamo la Parola, che celebriamo la fede, che viviamo la carità; mai come singoli.
Carissimi presbiteri, religiosi e diaconi, se non viviamo in profonda comunione reciproca noi impediamo ai nostri fratelli di tenere fissi gli occhi su Gesù. Li faremo fissare sulle nostre stupide beghe, sui nostri infantili capricci, sulle nostre divisioni, sulle nostre rivalità ma non su di lui. Se c’è un autentico desiderio di convertirci alla comunione diventano allora utili e necessari spazi per correggerci insieme, per pregare insieme, per soffrire insieme e per servire insieme, con il coraggio di posporre tante cose secondarie, fosse anche la gratificazione che ci viene dalle nostre iniziative pur di condividere con gli altri confratelli, gioie, preoccupazioni, speranze, magari anche attorno ad una buona mensa.
Carissimi confratelli, impariamo ad accettarci e ad amarci per quelli che siamo, accogliamoci reciprocamente tutti a braccia aperte senza porre veti a nessuno, cerchiamoci come fratelli e non come rivali nei momenti felici ma anche e soprattutto nei momenti difficili, sosteniamoci nelle difficoltà.
La stessa cosa la dico a voi, religiosi e religiose, che sperimentate ogni giorno quanto sia faticosa e bella la vita di comunione e come essa vada invocata come bene dall’alto ma vissuta con impegno dal basso.
E anche voi, fedeli laici, siete chiamati a fissare lo sguardo su Cristo per essere uomini e donne di comunione. Una comunione da vivere in primo luogo con il presbiterio. State però alla larga dal clericalismo e sentitevi corresponsabili nell’azione pastorale. Non è più il tempo in cui la carretta venga tirata soltanto dal parroco. La vivacità pastorale delle comunità parrocchiali dipenderà sempre di più, carissimi laici, dalla vostra passione per il vangelo. Non serve lamentarsi che i preti siano pochi e devono occuparsi di più parrocchie o che non siano come li desiderate, è tempo di rimboccarsi le maniche e avvertire forte la responsabilità della evangelizzazione.
A noi presbiteri il compito di considerare voi laici come un dono e non come collaboratori a noi subalterni; come corresponsabili nell’azione pastorale in virtù, carissimi fedeli laici, esclusivamente del vostro battesimo e del vostro amore verso Gesù Cristo, e non affatto per la smania di protagonismo. Puntare gli occhi su Cristo significa ritrovare la fonte della missione. Si tratta di mettere in discussione la nostra mentalità, tante volte rassegnata, priva di coraggio, senza fantasia. Si, è vero: le comunità cristiane sono oggi più povere rispetto al passato, facciamo fatica a ritrovare i giovani e anche a raggiungere gli adulti. Ma non perdiamo il coraggio. Guardiamo a lui, fonte della nostra missione nel mondo e saremo illuminati. Siamo tutti chiamati, come il Messia, a predicare un anno di grazia non con le parole ma con l’esemplarità della vita e con la gioia di servire il Signore e i fratelli.
«E vi chiedo di pregare anche per me, perché diventi ogni giorno sempre di più immagine viva e autentica di Cristo sacerdote, buon pastore, maestro e servo di tutti». Questa intenzione di preghiera, suggerita dalla liturgia prima della benedizione degli oli, raccoglie la pienezza di grazia che si sprigiona dalla santità del popolo di Dio.
Mi dispongo a pronunciarla con serena fiducia, nella consapevolezza che non sono solo a portare il pastorale perché sostenuto dalla grazia di Dio e da tutti voi che siete il popolo di Dio a me affidato.
Il Signore ci custodisca tutti nel suo amore.
Amen.