Ciavolich
65014 Loreto Aprutino (Pescara)
C.da Salmacina, 11
Tel. 0858289002
www.ciavolich.com
Ettari vitati: 30.00
Produzione annua: 200.000
Biologico: no
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: camere si, ristorante no
Una storia affascinante, degna del miglior romanzo storico, quella della cantina Ciavolich. Fondata da una famiglia di mercanti bulgari arrivati in Abruzzo nel 1500, è tra le più antiche aziende vinicole presenti sul territorio. La cantina, edificata a Miglianico nel 1853 e, in parte, tutt’ora attiva, fu il primo tassello di un ambizioso percorso produttivo, nonostante i due conflitti bellici che ne hanno minato sviluppo e diffusione. Lutti e peripezie varie hanno rallentato l’attività della casata che, nel corso dei decenni, si era affermata nell’alta società. Negli anni ’60 la tradizione si rinnova e riparte dalla tenuta di Loreto Aprutino dove Giuseppe Ciavolich piantò i vigneti che tutt’oggi sono destinati alla produzione di Montepulciano, Trebbiano, Cococciola, Cabernet, Pecorino, Chardonnay, Moscato e Passerina. Nel 2004 l’impresa è stata rilevata dalla figlia Chiara che, coadiuvata dal marito, gestisce 24 ettari di cui 10 trattati con il tradizionale sistema a pergola e 12 a spalliera (impiantati nel 2004 e nel 2011). Una storia affascinante, degna del miglior romanzo storico o film d’autore, quella che ha per protagonista la cantina Ciavolich. Fondata da una famiglia di mercanti bulgari arrivati in Abruzzo nel 1500, è tra le più antiche aziende vinicole presenti in regione. La cantina, edificata a Miglianico nel 1853 e, in parte, tutt’ora attiva, fu il primo tassello di un ambizioso percorso produttivo, nonostante i due conflitti bellici che ne hanno minato sviluppo e diffusione. Ma, grazie a un carattere indomito e una volontà ferrea nel guardare al futuro con positività, ha saputo rinnovarsi senza perdere i tratti distintivi originari. Come ci spiega Chiara Ciavolich, ultima erede della famiglia ed energica donna del vino, attualmente il focus è concentrato su una nuova linea di vini a fermentazione spontanea chiamata Fosso Cancelli. La sua particolarità, come anticipato, è quella della fermentazione spontanea con lieviti naturali in materiali diversi come cemento, legno grande e anfore in terracotta. E’ un progetto da poco avviato, infatti le prime annate sono state messe in commercio lo scorso anno. Numerosi i premi e riconoscimenti ottenuti dall’azienda negli ultimi tempi: al Fosso Cancelli cerasuolo è andato il premio del Merano Wine Festival, mentre all’Antrum annata 2006 sono stati assegnati 91 punti al Wine Spectator; sia all’Aries che al Fosso Cancelli (pecorino e trebbiano) sono andati la Corona dei vini buoni d’Italia. Medaglia d’oro al Mundus Vini per il Vivus Montepulciano d’Abruzzo 2014.
Filomusi Guelfi
65028, Tocco da Casauria (Pescara)
Via Francesco Filomusi Guelfi, 11
Tel. 085986908
www.filomusiguelfi.it
Ettari vitati: 10.00
Produzione annua: 32.000 bottiglie
Biologico: no
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: no
Il rapporto tra il vino e la famiglia Filomusi Guelfi ha origini secolari, settecentesche per la precisione. Già a partire dai primi anni dell’800 l’azienda Filomusi (cognome che solo a partire da inizio ‘900 verrà affiancato da Guelfi) si dedica a pieno ritmo alla lavorazione delle vigne, dimostrando una spiccata capacità imprenditoriale che un secolo e mezzo dopo verrà ulteriormente rinverdita da Lorenzo. Per molti, quest’ultimo, uomo tenace e gran lavoratore, prototipo del carattere abruzzese, è considerato tra i padri del montepulciano d’Abruzzo. Dopo la sua morte, avvenuta nel luglio del 2019, l’azienda è stata rilevata dai figli Alessandro e Giovanni e dalla moglie Amelia. cui spetta il compito di proseguire un’attività il cui percorso storico è ben più di un notevole biglietto da visita. Il primo documento contabile, in merito a carichi e scarichi di produzione di uva montepulciano, risale al 1821. Come ci spiega Alessandro, figlio di Lorenzo, che ha ereditato l’azienda assieme al fratello Giovanni, il vino veniva da sempre prodotto e venduto anche fuori dall’Italia, come, ad esempio, in Svizzera e Austria. Indice di come l’attività imprenditoriale fosse concreta e lungimirante, ben gestita e organizzata dalle sale del palazzo Scamolla che, tutt’ora, è fulcro centrale del progetto nel centro storico di Tocco Casauria. “Attualmente siamo concentrati su vini fermi e soprattutto sul montepulciano, di cui facciamo tre tipi: una linea classica, una riserva di questa e poi un cru chiamato FonteDei (il nome è preso in prestito dalla strada che costeggia il vigneto) di cui realizziamo pochissime bottiglie dalla sottozona Casauria, che consideriamo essere tra le terre più vocate per vinificare”, ci informa Alessandro. “Siamo al lavoro con una nuova associazione composta da produttori operanti in quel territorio. L’obiettivo è quello di farlo diventare denominazione di origine controllare e garantita. Siamo al lavoro da molti anni e grazie all’unione delle nostre forze stiamo progredendo molto nel lavoro. Anche per far crescere, a livello di immagine nel mondo, la sottozona della Casauria”. In ultimo ci svela un piccolo sogno nel cassetto, quello di contribuire all’affermazione del cerasuolo. “Bisognerebbe dargli più popolarità e farlo conoscere meglio, essendo il vero vessillo della tradizione abruzzese. E’ un vino che invece di dividere dovrebbe unire, ed è uno dei pochi che si può accompagnare con tutto”.
Agriverde
via Stortini 32/a
66020, loc. Caldari, Ortona (Chieti)
tel. 085 9032101
www.agriverde.it
Ettari vitati: 350.00
Produzione annua: 1.200.000 bottiglie
Biologico: si
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: si
Avanguardia e senso di appartenenza. Sono questi gli imperativi attorno cui ruota il modus operandi della cantina Agriverde di Giannicola Di Carlo. Non solo con riguardo ai vini sapientemente prodotti che rivendicano il sapore e il carattere delle armoniose colline abruzzesi, ma, altresì, con riferimento al modo di lavorare e intendere l’antica arte vinicola. Questa cantina, infatti, fa dal rispetto dell’ambiente all’interno del quale opera il suo credo principale. Le vigne, infatti, riscaldate e cullate dalla brezza marina che da Ortona si solleva, vengono trattate con amore e dedizione. Una produzione ecosostenibile e biologica è sempre più richiesta nel mercato moderno, aspetto che Agriverde, però, ha preso in considerazione già dal 1991, anno in cui ha ricevuto la certificazione bio per i suoi vini. C’è chi si proietta nel futuro e chi, invece, lo anticipa. Come in questo caso. Con quasi un milione e duecentomila bottiglie prodotte di solo vino biologico, l’azienda Agriverde da Ortona è tra le più importanti realtà ed esempi di produzione bio in Abruzzo. “La nostra è una filosofia di vino, non solo imprenditoriale”, dichiara Giannicola Di Carlo. “Siamo stati tra i primi in Italia a realizzare vino biologico perché crediamo nella sostenibilità concreta, che non è un solo slogan di vita. Tutto ciò che quotidianamente facciamo è rivolto al rispetto degli ambienti, degli animali e in particolar modo nel rispetto delle future generazioni. Penso che tutte le coltivazioni dovrebbero andare verso questa direzione”. Obiettivo che, però, non può prescindere da una maggiore attenzione al modus operandi e, principalmente, alle tutele cui i vini abruzzesi dovrebbe essere soggetti. E Di Carlo, su questo, ha le idee molte chiare: “serve assolutamente una maggiore sorveglianza e responsabilità nei controlli. Auspichiamo, si, uno snellimento della burocrazia in generale ma anche ulteriori e fondamentali verifiche su tutta la filiera produttiva. Monitorare, dal vigneto ai trasferimenti alle lavorazioni ma, soprattutto, alla commercializzazione, i prodotti che finiscono sulle tavole e che portano il nome della regione Abruzzo. Il 70% di questi, infatti, viene imbottigliato fuori dai nostri confini. Questo mette una serie di limiti alle nostre potenzialità, che sono enormi, perché il vino abruzzese non teme confronti. Solo che poi, ad avvantaggiarsene, sono altri che con l’Abruzzo c’entrano poco o niente…”.
Feuduccio di Santa Maria d’Orni
66036, Orsogna (Chieti)
Loc. Feuduccio, 1
Tel. 0871891646
www.ilfeuduccio.it
Ettari vitati: 54,00
Produzione annua: 150.000 bottiglie
Biologico: no, ma c’è certificazione europea di sostenibilità
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: no
In quel di Orsogna, borgo teatino alle falde della Majella, sorge l’azienda Il Feuduccio di Santa Maria d’Orni. Era il 1995 e Gaetano Lamaletto, dopo aver tentato la fortuna in Venezuela, scelse di tornare in Abruzzo per dedicarsi alla produzione del vino. Immerso nella natura del parco territoriale dell’Annunziata, con spirito di sacrificio e volontà ferrea iniziò a costruire la sua cantina che, dagli iniziali 100 metri quadrati, oggi ne vanta circa 5000. La particolarità di questa struttura risiede nell’essere completamente ricavata nella roccia. Il che le attribuisce particolare fascino. Si sviluppa, infatti su cinque livelli, di cui tre interrati. Altra curiosità: la lavorazione delle vigne avviene quattordici metri sotto il livello dei vigneti e i tunnel che conducono ai piani sono contornati da pietra arenaria del luogo con mattoni fatti a mano. Una tradizione artigiana che si riflette anche sui vini prodotti, lavorati con le più sofisticate tecniche di ecosostenibilità. A partire dal 2015 l’impresa è guidata dal figlio Camillo e dal nipote Gaetano assieme a Rocco Cipollone che ne gestisce l’amministrazione. L’azienda Il Feuduccio di Santa Maria d’Orni, nei pressi di Orsogna, sorge in un angolo di Abruzzo che, per bellezza e varietà paesaggistica, è tra i più affascinanti della regione. Qui, a due passi dal parco territoriale dell’Annunziata e con alle spalle la Majella, l’attività che dal 2015 è guidata da Camillo, figlio del fondatore Gaetano Lamberto, e da Gaetano, nipote di quest’ultimo, vanta una produzione annuale di circa centocinquantamila bottiglie. Abbiamo parlato con Angela Acquaviva, commerciale estero e portavoce de Il Feuduccio circa le recenti mosse sul mercato che l’impresa sta valutando. “Oltre a occuparsi dei vini che ci hanno consentito di ritagliarci uno spazio all’interno della realtà vinicola abruzzese, siamo al lavoro sul biologico”, spiega Angela. “Stiamo lavorando in direzione di una maggiore ecosostenibilità, bandendo al minimo l’utilizzo della chimica e portando avanti la coltura di difesa integrata”. Inevitabile il riferimento all’ambiente circostante l’azienda, assolutamente un valore aggiunto per la qualità presente nei vini offerti al consumatore. “Abbiamo ottenuto una certificazione europea SQNPI, recepita anche in Italia, che attesta le nostre attenzioni nel confronti del biologico e del basso impatto ambientale. Siamo a 450 metri tra Adriatico e la Majella e venti e brezze del mare aiutano. L’escursione termica notturna aiuta la freschezza, punto comune ai nostri vini. Sia i rossi che i bianchi che facciamo sono molto varietali, riflettono la freschezza e l’acidità che dà equilibrio alle parti più strutturate, rendendoli più longevi nel tempo. Questo vale sia per il Montepulciano, ma anche per il Pecorino, che sui nostri terreni attecchisce molto bene”. In conclusione c’è spazio anche per una considerazione circa il vino abruzzese del quale l’Italia intera si accorge sempre più. “Si sta facendo molto e molto si continua a fare. Il Montepulciano si esprime sempre più in varietà complesse in grado di soddisfare tutte le esigenze, dal pronto consumo all’invecchiamento. La qualità media si alza. C’è sempre da lavorare per migliorare, ed è ciò che consiglio ai giovani: studio e passione”, conclude Angela. Un monito da tenere bene a mente…
Cantina del Fucino
67051, Avezzano (L’Aquila)
Via Milano, 85
Tel. 086359148
Ettari vitati:
Produzione annua:
Biologico: no
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: no
Una storia lunga sessanta anni, fatta di tradizione e coesione, senso di appartenenza, ambizione e voglia di diventare un punto di riferimento per la Marsica e l’Abruzzo intero. Era il 1958 quando veniva costituita la Cantina Cooperativa del Fucino. A farlo, una stretta cerchia di amici, agricoltori e viticoltori accomunati da un’unica, grande, passione: il vino. Chissà se coloro che contribuirono a gettare le bassi per quella che poi, a tutti gli effetti, sarebbe diventata l’azienda vinicola più importante della Marsica, avrebbero mai immaginato di tagliare il traguardo dei sei decenni di attività.Numerose, inoltre, le partecipazioni al Vinitaly di Verona o alle fiere espositive di tutta Italia. Una realtà che, quindi, ha saputo andare oltre i confini della propria terra, alla costante ricerca di un’affermazione nazionale che, alla fine, è arrivata. La Cantina del Fucino, anno di fondazione 1958, è attualmente la più antica cooperativa sociale ancora attiva in Abruzzo. A inizio carriera potevano contare su un impianto da 16 mila ettolitri che, sposato alle competenze tecniche dell’allora Ente Fucino, diede da subito una dimensione importante e prestigiosa alla cantina di Paterno. Ma, a fare la differenza, fin dai primi istanti di vita, furono principalmente la passione e la dedizione di quei viticoltori – soci fondatori. L’amore per la propria terra, l’attaccamento alla famiglia e il senso di comunità risultarono, infatti, gli strumenti principali per realizzare quello che fino a non molto tempo prima era un sogno e un’aspirazione. Da quei giorni di acqua sotto ai ponti ne è passata parecchia. Oggi il nome della Cantina del Fucino, grazie all’aumento della qualità dei propri prodotti e dei processi (l’azienda ha la Certificazione del Sistema Qualità aziendale secondo la normativa internazionale Uni En Iso 9001), sta raccogliendo belle soddisfazioni, con bei riconoscimenti ricevuti. Tra i tanti vale ricordare quello del Cerasuolo d’ABruzzo. “E’ il vino della tradizione abruzzese, che alla Cantina del Fucino abbiamo reinterpretato in chiave contemporanea, rendendolo un po’ meno carico e un po’ più morbido, ma sempre con quel piglio di acidità e di scorrevolezza che ti conquista e ti fa finire la bottiglia in un batter d’occhio”, dichiara il presidente Lorenzo Savina che, dopo tutti questi anni preserva ancora l’entusiasmo di una volta. Infaticabile lavoratore, alla costante ricerca di nuove idee da sviluppare per promuovere non solo la propria attività, ma anche quei vini che in Abruzzo, nonostante la grande competizione, ricevono con sempre maggiore frequenza apprezzamenti e attestati di stima.
Luigi Cataldi Madonna
67025, Ofena (L’Aquila)
Loc. Piano
Tel. 0862954252
www.cataldimadonna.com
Ettari vitati: 30.00
Produzione annua: 230.000 bottiglie
Biologico: si
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: no
Possono le pendici del Gran Sasso, apparentemente impervie per il clima di cui le vigne hanno bisogno, ospitare una tra le aziende vinicole più longeve in Abruzzo? Si, se la risposta risiede nella cantina di Luigi Cataldi Madonna. Fondata nel 1920 a Ofena (L’Aquila), all’interno del territorio che viene definito “Il Forno d’Abruzzo” per via delle sue escursioni termiche, è solo dalla fine degli anni ‘80 che indossa i panni da protagonista nella geografia vinicola della regione, grazie anche all’avvicendamento alla guida tra Antonio e Luigi, professore di filosofia e rappresentante di terza generazione dell’omonima azienda. I vitigni sono tutti autoctoni e curati secondo i metodi contadini più tradizionali atti a preservarne genuinità ed equilibrio. Il Pecorino Frontone ne è l’esempio principale; il primo impianto, derivante da un vigneto con quasi 2000 ceppi, risale al 1990. La volontà di restare fedeli alle caratteristiche del territorio sul quale si opera è tratto distintivo che si riflette nei prodotti di questa cantina, densi di carattere e identità ben definita. La provincia dell’Aquila pesa un misero 4-5% rispetto ai volumi di produzione regionale. E’ naturale allora che quando si pensa al vino abruzzese la mente vada immediatamente alla costa, alle colline che si affacciano sul mare e cha da esso ricevono la brezza marina. Ma non è sempre così, non lo è stato in passato e non lo è ora. Anzi, è dalle zone interne di montagna che il vino d’Abruzzo si è originato. E proprio qui, ad Ofena, in provincia dell’Aquila, risiede una delle aziende vinicole più note e prestigiose della regione: Cataldi Madonna. “Quando riceviamo visite in cantina facciamo vedere dei documenti giornalistici degli anni ’30; la nostra zona e la Valle Peligna erano la più frequentate della regione. Oggi il trend si è spostato sulla costa, perché negli ultimi anni c’è stato lì lo sviluppo maggiore”. E’ quanto ci spiega Pierluigi Menichetti, responsabile amministrativo dell’azienda, il quale, inoltre, afferma che le aree interne hanno subito una depauperazione dei terreni in favore delle zone costiere. “L’Abruzzo interno resta comunque vocato alla produzione vinicola – prosegue – non è un caso che l’area di Ofena ha una tradizione lunghissima, fin dal Regno delle due Sicilie. Qui le genti toscane trovarono condizioni ideali per coltivare la vite. Non è un caso che il nostro cerasuolo nasca come rosso mancato (l’uva non maturava per le basse temperature) per cui si è trovato questo “escamotage” per evitare perdere le uve lavorate. La nostra zona viene chiamata il “forno d’Abruzzo”, area particolare perché le escursioni termiche presenti caratterizzano i nostri vini. Rispetto all’Aquila città, ad esempio, ci sono cinque, sei gradi in più. Queste sono controbilanciate dal Calderone del Gran Sasso con i suoi venti freddi. Il che la rende un unicum nel panorama enologico abruzzese. I nostri prodotti sono molto caratterizzati, sono ben riconoscibili e con tratti ben definiti, che rispecchiano questo territorio di montagna”. In chiusura, Menichetti ci ricorda gli ultimi progetti che l’azienda sta portando avanti, entrambi presentati al Vinitaly dello scorso anno: “il primo è una rivisitazione del Cataldino ed è interessante perché è un esperimento sul mondo del rosa, un montepulciano d’Abruzzo vinificato in bianco. Il secondo è il Super Giulia, selezione di pecorino sui vigneti e sui grappoli”.
Fattoria Nicodemi
64024, Notaresco (Teramo)
C.da Veniglio
Tel. 085 895493
www.nicodemi.com
Ettari vitati: 30.00
Produzione annua: 200.000 bottiglie
Biologico: si
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: no
Era il 1970 quando Bruno Nicodemi decise di trasferirsi da Roma in Abruzzo per dar vita al proprio sogno di diventare viticoltore. Gettò le basi della sua impresa a Notaresco, in contrada Veniglio, nel cuore delle colline teramane, territorio storicamente abitato da contadini e aziende vinicole. Sono 38 gli ettari a disposizione della famiglia Nicodemi, giunta alla seconda gestione generazionale con i figli Elena e Alessandro. 30 di questi, da cui vengono estratte circa 200.000 bottiglie all’anno tra montepulciano e trebbiano, sono vitati a corpo unico. La produzione, derivante da vigne autoctone, consente di avere sapori e aromi propri delle terre sulle quali vengono coltivate, garantendo, così, una certificazione biologica sempre più richiesta sul mercato attuale, non solo italiano ma anche estero. Dei vini confezionati, infatti, circa l’80% viene esportato in tutto il mondo. “Rispettare la terra significa anche non gravare sulle sue risorse, così abbiamo scelto fonti rinnovabili e oggi l’intera azienda funziona con l’energia solare”, queste le parole che animano lo spirito della famiglia Nicodemi. “Rispettare la terra significa anche non gravare sulle sue risorse, così abbiamo scelto fonti rinnovabili e oggi l’intera azienda funziona con l’energia solare”, firmato famiglia Nicodemi. Alessandro e Elena, figli di Bruno, hanno il compito di mandare avanti un’azienda il cui focus è incentrato prevalentemente su una produzione di qualità, lontana da logiche di saturazione del mercato. E’ proprio Elena Nicodemi a presentarsi ai nostri microfoni per una piacevolissima chiacchierata. “In questi anni, specialmente negli ultimi quindici, l’attenzione del consumatore verso il vino abruzzese è cresciuta notevolmente. Ora c’è più consapevolezza di cosa si sta bevendo rispetto a prima. Le nostre denominazioni, fondamentalmente, hanno avuto la possibilità di crescere e di esprimersi. Parallelamente è aumentata anche l’esperienza dei produttori stessi, che sono progrediti come azienda e di conseguenza sono stati capaci di trasmettere al consumatore, aiutati da tutte le forme di comunicazione moderna, ciò che vinificano e lavorano. La conoscenza dei vitigni è molto più approfondita rispetto a prima e si hanno le idee più chiare. Rispetto al panorama nazionale, le nostre denominazioni, tolto ad esempio il pecorino, soffrono ancora un pochino. Noi, come cantina, stando nel teramano, abbiamo cercato di colmare questo fardello del montepulciano inteso come vino economico. E’ un lavoro arduo, quello di farlo conoscere. Si avverte l’esigenza di distaccarsi da una denominazione che, di base, copre tutto e niente. Come cantina siamo concentrati sull’approfondimento, anno per anno, dei vini che produciamo da più tempo. Ora siamo usciti con la prima annata di un trebbiano vinificato nel coccio pesto. Il progetto prosegue anche sul montepulciano, su cui negli ultimi anni abbiamo investito molto per cercare di coniugare le grandi strutture della nostre colline teramane con un profilo di maggior acidità e snellezza che la bevuta contemporanea richiede”, conclude.
F.lli Barba
strada rotabile per Casoli
loc. Scernie di Pineto
64024, Pineto (Teramo)
Tel. 0859461020
www.fratellibarba.it
Ettari vitati: 68.00
Produzione annua: 250.000 bottiglie
Biologico: no
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: agriturismo con camere
La cantina Barba è, a tutti gli effetti, tra le più antiche presenti in Abruzzo. In ognuno dei suoi 684 ettari, di cui ben 68 destinati ai vigneti, i profumi e i colori delle uve si fondono con i ricordi e la tradizione secolare di una famiglia le cui radici affondano nel lontano ‘400. Un’arte, quella vinicola, tramandata e rinnovata col passare del tempo, studiata, amata e, infine, trasmessa avo dopo avo. Sulle colline teramane, tra Colle Morino, Casal Thaulero e Vignafranca, tutti appartenenti all’area delle d.o.c. Montepulciano e Trebbiano d’Abruzzo e della d.o.c.g. Colline Teramane, produrre vino è più di un semplice lavoro, è una tradizione e una responsabilità, la stessa che la famiglia Barba avverte nei confronti degli italiani verso i quali offrire un prodotto di sempre maggiore qualità. Qualità apprezzata anche all’estero, soprattutto negli U.S.A. dove l’azienda abruzzese ha aumentato le proprie vendite grazie alla partnership commerciale con importanti distributori statunitensi di vini. Valorizzare il proprio territorio, i propri confini e l’identità dei vini prodotti con amore, dedizione e fatica. Questo è il credo della cantina dei fratelli Barba, attivi sulle colline teramane da diverse generazioni, ognuna delle quali legate da un profondo e radicato senso di appartenenza. Abbiamo sentito l’enologo Alessandro Pelliccioni che, con entusiasmo e orgoglio, rivendica il lavoro svolto dall’azienda per offrire ai consumatori un vino di qualità e dai tratti distintivi ben riconoscibili. “Cerchiamo di incentivare dei sapori che abbiano un punto d’incontro tra ciò che il territorio offre e ciò che la nostra attività enologica sviluppa. Cerchiamo di produrre vini molto versatili, lavorando in tal senso sia in campagna che in cantina, ma che abbiano tutti, però, un proprio protocollo atto a valorizzare le uve di provenienza, che siano montepulciano o anche lo stesso trebbiano”. Ciò su cui, però, Pelliccioni si sofferma è la necessità di fare un passo in avanti circa la promozione del vino abruzzese, sia a livello di immagine che di qualità. Non considerarlo, quindi, solamente un vino da taglio ma un prodotto in grado di soddisfare anche i palati più esigenti. “Dovremmo pubblicizzarlo e venderlo in proprio, piuttosto che farlo fare ad altre regioni che hanno un interesse ben più ampio rispetto al nostro. La rivalutazione del prodotto passa anche attraverso un prezzo più congruo. Siamo troppo legati alla vendita all’ingrosso”. Un problema sentito e diffuso, che diverse cantine da noi intervistate hanno sollevato. Un problema su cui si deve agire seriamente e subito!
Faraone
64021, Giulianova (Teramo)
Strada Statale, 80, 290
Tel. 0858071804
www.faraonevini.it
Ettari vitati: 9.00
Produzione annua: 50.000
Biologico: no
Cantina visitabile: si
Ristorante o camere: no
Per la cantina Faraone l’imbottigliamento del montepulciano d’Abruzzo è un’attività che va avanti dal 1970. Giovanni Faraone, padre dell’attuale titolare Federico, iniziò producendo e vendendo vino sfuso secondo i retaggi contadini in uso a quei tempi. Solo con il passare del tempo è avvenuta la trasformazione del modus operandi dell’omonima azienda. A partire dal 2000, infatti, grazie all’acquisto di un terreno a Mosciano la produzione si è potuta allargare e, quindi, evolvere. Passaggio fondamentale, questo, che ha consentito alla cantina Faraone di poter ambire a un mercato più vasto ma anche più competitivo. Curiosità: primo spumante realizzato in Abruzzo. E’ da poco venuto a mancare Giovanni Faraone, storico titolare dell’omonima azienda. Faraone era uno di quegli uomini del vino abruzzese che non si sono mai “accodati” alle mode, alle tendenze, ai filoni che “tiravano”, mantenendo sempre una propria identità e una propria filosofia, che potevano piacere o non piacere, ma che erano autentiche. A succedere alla guida della stessa troviamo il figlio Federico che rivendica con orgoglio le origini contadine dell’attività di famiglia. Il nonno, infatti, da contadino avviò quella che ora è l’impresa. “In origine, negli anni ’80, mio padre non voleva un enologo, era molto artigianale nel suo lavoro – spiega Federico – l’unico ad aver messo un tecnico in cantina sono io, che ho studiato enologia in Friuli e da cinque anni sono tornato qui. Negli ultimi anni cerchiamo di far combaciare nozioni tecniche con l’artigianalità. Dovrebbe essere un giusto compromesso per produrre vino. Per noi è fondamentale non perdere di vista questo connubio”. Per chi ha vissuto il vino anche fuori Abruzzo la visione non può che essere privilegiata circa i prodotti offerti dalle nostre quattro provincie. “Nella nostra regione siamo bravi e abbiamo il montepulciano che è il nostro principale cavallo di battaglia e ci fa conoscere quando andiamo fuori. E’ un collegamento ormai inevitabile con la nostra regione, cosa che non sempre accade con i vini di altre provenienze geografiche. Anche il trebbiano si sta facendo largo. Abbiamo una forte famiglia di vitigni autoctoni che non dovremmo perdere ma valorizzare”. Già, valorizzare, ma come? “Bisogna aumentare la qualità e cercare di incentivare l’imbottigliamento nei nostri confini, cosa che per ora non accade al 70%-80%”. Prima di chiudere c’è spazio anche per una frecciatina alla Regione, intesa come ente istituzionale: “Anche questa deve fare la sua parte, così come i produttori che devono pensare non a un guadagno immediato ma a una crescita lenta e costante. Bisogna guardare cosa hanno fatto le regioni vinicole più “anziane” di noi e imitarle nel nostro percorso di crescita”.