Ci sono posti che semplicemente rimangono. Dove leghi qualcosa che sai che rimarrà per sempre lì. Posti dove riesci a liberare emozioni, dove riesci a superare limiti, paure. Poi ci sono persone che nella vita incontri, passano. Che non vedi più e nemmeno senti più ma che ci sono state, che ti hanno insegnato qualcosa che porterai comunque con te. A volte mi capita di pensare che forse è proprio per quell’insegnamento che hai conosciuto proprio quella persona lì, in un momento in cui avevi bisogno proprio di sapere come fare.
Sono i posti che ci piace raccontare in collaborazione con il nostro partner MyZona, l’app dedicata ai tuoi luoghi del cuore (download qui per Ios – download qui per Android).
Ho conosciuto il Monte delle Canelle per caso, un giorno, quando ero andata a sciare con un’amica ai Piani di Pezza. Allora c’era la neve e i sentieri erano coperti da un bianco che confondeva distanze e orientamento. Fu lei che mi indicò una strada. “Lì si va in direzione di Ovindoli, si passa in mezzo a un bosco, si sale e poi si arriva su e c’è un bel panorama”.
Quando è arrivata la primavera ci sono tornata. Ed ho trovato la cava dismessa che mi aveva indicato la mia amica, l’ingresso del bosco e la strada che sale su.
Le vertigini e il panico in montagna
Qualche anno fa in montagna ho avuto un attacco di panico. Ho sofferto di vertigini. Quel giorno, le gambe si sono bloccate. Ho avuto la sensazione di non riuscire più a respirare. Ho pensato di non farcela. Era come se stessi in un punto di non ritorno. Ferma. Non riuscivo ad andare avanti, non riuscivo a tornare indietro. Mi guardavo intorno, di certo non ero con la compagnia giusta.
Ho pensato che non sarei più salita in montagna dopo una certa quota.
Ho ripensato spesso a quella sensazione. Avrei voluto superarla, d’altronde quanto mi era accaduto quel giorno mi sembrava più un limite della mente che del corpo.
Da allora sono passati un paio di anni. Fino a quando nella mia vita è passata la persona giusta.
“Quando ti succede una cosa così devi fermarti e respirare. Devi guardare intorno e respirare profondamente. Il tuo corpo è il tuo e lo devi sentire. Respira, piano. Poi ti rialzi e capisci con tutta la calma che ti serve se riesci ad andare avanti. Il vento fa perdere il controllo spesso, forse è meglio che non ci sia”.
In realtà, così, sembrava davvero facile. A quell’amico dissi: “Ci proverò. E ti porterò lì con me, anche se non fisicamente”.
Lu Malepass’ e il superamento dei “limiti”
Piani di Pezza, la cava, l’ingresso nel bosco. Il percorso è tracciato, passo per passo, basta seguirlo. Il bosco è tutto in salita. Poi arrivano delle aree pianeggianti, i cavalli e i colori della natura.
Hai la sensazione di essere spiato dagli abitanti del bosco nascosti dietro ogni cespuglio o arbusto. Poi gli alberi non ci sono più e arriva la montagna scoperta.
Ci sono andata due o tre volte ma mi sono sempre fermata all’inizio della salita. Ho sorriso, sapevo che quei limiti andavano vinti ma non era ancora il momento giusto.
Un giorno però, sempre allo stesso punto, mi sono seduta, ho respirato, mi sono guardata intorno. C’era il vento, lì c’è quasi sempre. E ho ripensato al mio amico che viene dal mare ma che conosce bene la montagna e che mi ha dato quei consigli. Mi sono seduta. Era come se fosse lì con me.
Ho respirato piano, ancora e ancora. Ho guardato in su e ho visto i turisti con le bacchette che scendevano. La guida parlava romano e mi ha chiesto perché ci eravamo fermate… Eh… Vaglielo a spiegare.
A naso in su guardavano i grifoni. Mi sono girata verso Paola, era la prima volta che saliva su un sentiero dell’Altopiano delle Rocche. È bastato uno sguardo. Ho sentito la sua forza. Sapevo che in quel momento lei sì che era la persona giusta per accompagnarmi in quel passaggio.
Ho sentito di nuovo le gambe sicure. Non tremavano e la paura non c’era più. Ho iniziato a camminare di nuovo. Più salivo e più i miei occhi volevano guardare più su.
È arrivata la croce. In direzione di Ovindoli, sulla sinistra Rovere, la frazione di Rocca di Mezzo. D’inverno sembra un presepe. Davanti Ovindoli. Da lì su si vedono le piste, la Pinetina, Val d’Arano. Ovindoli sa sempre di turismo, di sci e di romani che hanno voglia di divertirsi sugli impianti. Pure quando la neve non c’è.
A destra, ci sono i piani di Pezza. Restituiscono sempre un senso di pace e serenità, sarà l’ampiezza, il verde, i boschi.
Un giorno, in un paesino della Marsica, ho incontrato per caso “Cocò”. In realtà si chiama Gabriele Sebastiani ma lo conoscono tutti con quel nomignolo.
È di Ovindoli, fa sculture con il legno, collabora con una fattoria didattica proprio lì “Sulle Rocche”. A lui ho raccontato questa storia. Mi ha spiegato perché quel valico si chiama Lu Malepass’.
Perché quando si riscende, il sentiero è un po’ complicato, scivoloso. Io ho immaginato anche altro. Chissà, magari le persone del posto che leggeranno questo articolo ci racconteranno altre storie.
Sulle sue mani c’è l’Abruzzo, la durezza delle sue rocce e il caldo del suo cuore, la fatica, la resistenza e pure la resilienza. La vita difficile che è sembrata sfuggire ma che poi si è riaccesa. È così che mi piace pensare anche la mia.
Dopo questo nuovo racconto, MyZona per me è anche il Monte delle Canelle, nel Parco naturale regionale Sirente Velino. Lì su, a 1.700 metri ho detto addio alle vertigini, alle paure e ho ritrovato il mio passo.
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