Pescasseroli. Si alzerà il sipario del Teatro Umberto Giordano di Foggia, giovedì 23 febbraio, alle ore 20,30, sulla terza stagione dell’ Orchestra Suoni del Sud, firmata dal direttore artistico, il violinista Ettore Pellegrino, e che schiera quale konzertmeister, il violinista salernitano Sergio Martinoli.
Il concerto inaugurale sarà dedicato a Giacomo Puccini, nell’anno celebrativo del centenario della sua morte, ed Ettore Pellegrino ha affidato la direzione di questo gala, che saluterà protagonisti il soprano Francesca Patanè, figlia e nipote d’arte dei maestri Giuseppe e Francesco, e il tenore Antonello Palombi, al M° Jacopo Sipari di Pescasseroli, apprezzata bacchetta pucciniana. “Sono doppiamente felice – ha commentato il M° Jacopo Sipari – di inaugurare in primis la terza stagione di questa giovane Ico e di aprirla con un concerto dedicato a Giacomo Puccini, compositore per il quale ho consacrato la mia vita alla musica e che quest’anno mi vedrà in giro per il mondo con il festival Puccini, per di più con due grandi interpetri per un programma che attraverserà le arie più amate del genio toscano. “È con orgoglio che apriamo la terza stagione, organizzata in collaborazione con il Teatro “Umberto Giordano” e il Conservatorio di musica Giordano, con il contributo del Ministero della Cultura, della Regione Puglia e del Comune di Foggia, con quindici eventi in cartellone di altissimo pregio, celebrando – ha commentato la presidente di Suoni del Sud Libera Granatiero – un illustre compositore italiano, uno dei più grandi della storia della musica, e ospitando un’artista acclamata, Francesca Patanè, che ha un forte legame con i melodrammi pucciniani poiché ne ha interpretato molte delle eroine. Siamo certi che il pubblico rimarrà affascinato dalla nostra proposta artistica che si inserisce nel filone delle prestigiose iniziative che quest’anno vogliono preservare e tramandare alle nuove generazioni il preziosissimo patrimonio musicale di Puccini”.
La serata principierà con la pagina sinfonica “La Tregenda” dalla cantata scenica-narrativa Le Villi, seconda parte dell’intermezzo, dopo l’Abbandono, attraversata da stupore, spossatezza, nevrastenia, dall’invenzione introiettiva, in cui ogni dato esterno, come in ogni opera giovanile, si ingloba assimila e distrugge, all’interno del vortice lirico. Aria di sortita del tenore Palombi “Ch’ella mi creda libero e lontano” da La Fanciulla del West. Ramerrez prima di morire, dichiarando di essere stato «ladro, ma assassino mai», rivolge un saluto a Minnie, chiedendo ai minatori di risparmiare alla ragazza il dolore della sua morte. La Patanè in vece darà voce alla Lauretta del Gianni Schicchi, nella smancerosa oasi di commozione di “O mio babbino caro”, parodia gaglioffa del lamento. Ancora orchestra protagonista con l’intermezzo di Suor Angelica, in cui darà vita alla tavolozza immaginata in partitura, fatta di limpide armonie, tramate di luci e di ombre, ove si rischia di piangere, magari senza lacrime, ma proprio col cuore. Uno dei momenti più attesi della serata sarà “Nessun dorma!”. La partitura esce allo scoperto grondante di suoni, splendente di impasti ferrigni e luci diamantine: Calaf, con ardimenti vocali poche volte sentiti in teatro, scavalcherà ogni ostacolo, raggiungendo il cuore della mortifera Turandot. Il soprano vestirà il kimono di Cio-Cio-San per l’aria principe del secondo atto, “Un bel dì vedremo”, in cui si tocca con mano l’ attesa spasmodica a denti stretti di Butterfly, il viso alzato al sorriso, tra ansie, languori dubbiosi e soffocanti, esaltazioni superbe e quel endecasillabo “un po’ per celia, un po’ per non morire” in cui Puccini abituale anticipatore nelle armonie, cela il tragico annullamento. Jacopo Sipari, poi, donerà la sua interpretazione dell’Intermezzo della Manon Lescaut, che tristaneggia senza rossore e che nell’ultima pagina contiene una citazione quasi letterale del celebre “Isolde, Liebe”, nonché nel gusto delle armonie e nell’impasto dei suoni e dei timbri, segno che il Tristan und Isolde e il Die Meistersinger von Nürnberg non erano stati studiati superficialmente dall’allievo di Bazzini.
Ed eccola Manon “Sola perduta e abbandonata”, alla ricerca di una verità non più esterna, come nei primi due atti, ma del tutto interiore, un ripensamento personale, una sintesi rapida e coraggiosa di sentimenti, più che azioni, che si fondono mirabilmente in un’atmosfera spirituale irreale. Finale nel segno di Tosca, l’unica donna ammessa nell’opera, capricciosa e gelosa, ma prima di tutto amorosa eroina. Con il Signor tenore, il cavalier Mario Cavaradossi, attaccato alla vita e al piacere con ingenuità poetica, attraverseranno i tre atti dell’opera, quel conflitto fra la voluttà e la carne martoriata, fra la sete vitale e l’oppressione, la bellezza e gli amori che celebrano un forzato trionfo dinanzi al plotone di esecuzione. S’inizierà da “Recondita armonia”, pagina che nell’intro rispecchia i movimenti del pittore sulla tela, quindi il “Vissi d’arte”, aria in sé molto efficace, musicalmente ben tornita , in cui Tosca tramuta la sua sostanza grossolanamente teatrale in un ritratto della più squisita finezza. Quindi, l’ addio alla vita e all’amore di Mario Cavaradossi con “E lucevan le stelle”, la sua compiuta e appassionata confessione, racchiusa nell’ancia nostalgica del clarinetto, che tocca i vertici dell’allucinazione, per ritornare all’entrata di Tosca in Sant’Andrea della Valle, con “Mario! Mario!Mario!”, in cui si rivela nel suo gioco degli opposti, teatro e chiesa, fede e gelosia, cattolicesimo e sensuale erotismo, dolcezza e furore, corpo e spirito, alcova dell’amante e grata del confessore, cui nulla tacere per esplicita ammissione del suo pittore, che così intimamente conosce la sua donna.