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L’inferno nel fronte russo, diario di guerra di un alpino marsicano: addio mia patria

Redazione Avezzano 2 di Redazione Avezzano 2
24 Agosto 2017
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“Egregio Signor Comandante, volentieri rispondo al vostro appello che mi avete lanciato e mi sento orgoglioso di partecipare a questa chiamata per rendere l’onore ai nostri comandanti caduti e alpini”. Recita così la prima pagina del diario di guerra del soldato alpino Rosato De Blasis, originario di Castelnuovo, chiamato alle armi appena diciottenne. Correva l’anno 1942 e il mondo intero si trovava nel mezzo del più grande conflitto armato della storia. Già reduce dal combattimento in Grecia costato all’Italia migliaia di vittime, Rosato fu chiamato a combattere sul fronte Russo. L’esercito tedesco era ormai al massimo della sua efficienza e pronto al grande attacco contro l’Unione Sovietica. “Ancora il dovere mi chiama a completare il mio eroismo di gloria e risolutezza, le quali nelle divisioni alpine non mancano mai le rispettive forze di coraggio e di spirito.

 

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Il giorno 17 agosto alle ore 9:30 mi sono recato nella stazione di Gorizia per essere trasportato oltre e mentre il treno partiva davo il mio saluto alla nostra bella Italia augurandomi di tornare ancora”, prosegue il racconto dell’alpino carico di orgoglio e patriottismo non tralasciando rammarico e nostalgia per la sua terra che silenti trapelavano dietro ogni suo pensiero. “Giunto nei confini d’Austria ho rivolto l’ultimo mio sguardo, come se io riconoscevo di non tornare più nelle terre native, dando l’addio a tutte le cose terrene e spirituali e, infine, mi rivolgo alla nostra patria dicendo che il mio ritorno sarà dopo la vittoria. Intanto il treno si è internato nell’altre terre di altri regni finché tutto mi è scomparso dinanzi al mio sguardo, tra il fosco delle montagne e della nebbia, e così l’ultimo saluto: addio mia patria”. Poi l’arrivo in Russia, dopo dieci giorni di viaggio trascorsi col pensiero costante alla propria terra, alla famiglia e alla campagna, come se fossero già un lontano ricordo. “Quando ho messo i piedi sopra quelle terre sabbiose e polverose, abbiamo fatto quindici chilometri per andare in un posto dove potevamo accamparci. La mia bocca è piena di polvere, la mia sete è insuperabile ma l’acqua non si trova. Dopo fatti quindici giorni di cammino a piedi con lo zaino affardellato abbiamo sofferto molto un po’ tutte le sorti del male. Eppure io dicevo sempre, ancora è poco, non ci possiamo lamentare che viene il peggio, che già immaginavo quello che sarebbe potuto succedere. E così ogni sacrificio sarà per noi una grande gioia di eroismo e volontà di alpini che nulla ci sarà impossibile”. I giorni non conoscevano tramonti, i corpi vuoti di cibo erano sazi solo di freddo e stanchezza mentre rabbia e rassegnazione alla morte scalfivano l’anima. Giunti a poche miglia dal nemico, nell’aria si udivano solo colpi d’armi e ogni attimo era come se fosse l’ultimo. “Dopo tre mesi di questa vita ne è giunta un’altra molto più pericolosa e più sacrificata. Una chiamata è giunta che dovevamo raggiungere la prima linea per impedire il passaggio notturno ai carrarmati russi. Un sacrificio contro l’altro ma si faceva tutto quanto era comandato. In una notte del primo dicembre del 1942 eravamo in cinque alpini che andavamo di pattuglia lungo il Don. A pochi metri si udì una voce mai intesa, era un’appostazione russa che ci scoprì mentre eravamo fermi udendo quel mormorio. Una raffica di un fucile mitragliatore ne sfiora le nostre teste. Noi tutti a terra coprendoci di neve per non farci scoprire dal nemico. Il freddo era insopportabile, le mie gambe erano stanche di calpestare la neve. Oh quante volte mi venivano dei pensamenti di finire la mia esistenza, ma poi mi rassegnavo dicendo sia fatta la volontà di Dio. A volte pregavo, a volte cantavo e infine più spesso me la passavo pensando alla mia casa, e poi era l’angelo custode che mi diceva non pensare dei pensamenti che potresti farti male, ma una voce di aspirazione mi indicava: ricordati della preghiera che basterà a salvarti”. Nell’estate del ’43 Rosato fece ritorno a casa. Il freddo e la stessa neve che saziò la sua sete in quei lunghi mesi gli causò il congelamento di una gamba che, fortunatamente, gli impedì la permanenza al fronte. Ma in cuor suo ha sempre saputo che la sua unica salvezza è stata la preghiera che, nonostante tutto, non ha mai spento la sua speranza e immensa forza d’animo. Con orgoglio, sua nipote. @noemideblasis 

 

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