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Licenziamenti Micron, l’azienda non torna sui suoi passi. La preoccupazione dei lavoratori

Redazione Attualità di Redazione Attualità
10 Febbraio 2014
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Avezzano. Il futuro della Micron è appeso al sottile filo delle micro-elettronica. Non sono bastate le rassicurazioni dei vertici del ministero dello Sviluppo economico durante gli incontri a Roma, non sono bastate le proposte avanzate dalle parti sociali per gestire gli esuberi e non sono bastate neanche le manifestazioni di protesta degli oltre 500 lavoratori degli stabilimenti di tutta Italia che lamentano il licenziamento. La Micron ha deciso di andare avanti per la sua strada e mettere alla porta metà dei suoi lavoratori in Italia nonostante l’azienda voli in borsa e nei mercati di tutto il mondo. “Micron dichiara 419 esuberi ingiustificati sul territorio italiano presentando un conto salatissimo ai dipendenti ed alla collettività”, hanno spiegato i lavoratori e gli Rsu, “la multinazionale americana risulta in ottima salute con un fatturato di 4 miliardi di dollari ed un utile di poco meno di 900 milioni generato solo negli ultimi 3 mesi. L’ azienda produttrice di memorie, forse meglio conosciuta dal pubblico attraverso i marchi Lexar e Crucial, gode ed ha goduto di finanziamenti pubblici nonché del valido supporto di professionisti locali altamente specializzati. Ancora una volta si chiede un sacrificio enorme ad un territorio estremamente penalizzato! L’azienda scarica sulla collettività le sue scelte strategiche noncurante dei contributi sia economici che professionali ricevuti nel corso degli anni. Esuberi ingiustificati di figure ad alta professionalità e con una lunghissima esperienza lavorativa che continuano a sostenere una elevata mole di lavoro, colpiti nella loro dignità a causa della violenza e della veemenza con cui l’azienda ha dichiarato la sua posizione. Infatti, al momento, l’azienda continua ad essere inamovibile sulle procedure di licenziamento già depositate, nonostante il governo stesso, in più occasioni ed in tavoli di discussioni ufficiali, abbia proposto soluzioni alternative mostrandosi contrario ai licenziamenti. E’ utile ricordare che quest’ultima azione, definita di “ristrutturazione”, è stata preceduta, ad Avezzano, dalla cassa integrazione e circa un’anno fa dalla cessione di una parte significativa dei dipendenti (circa 1600) dello stabilimento Micron alla compagnia franco-tedesca LFoundry. micron-128gb-16nm-nand-01_t.jpg.pagespeed.ce.LWHdpkOzolQuindi ancora “un tributo di sangue” richiesto alla collettività, teso probabilmente a rimpinguare le tasche di speculatori senza scrupoli oltreoceano, che hanno visto triplicare il valore delle proprie azioni nell’arco di circa un anno, raggiungendo quota $23. Dunque, continua il depauperamento del sito di Avezzano. “Che fare?” Certo è veramente difficile capire come, con una compagnia che gode di una tale condizione finanziaria, con dipendenti oberati di lavoro ma dichiarati esuberi, sia necessario spostare interi gruppi in altre nazioni europee. Ancora più difficile comprendere perché non sia possibile continuare a mantenere i posti di lavoro qui ad Avezzano, considerato che si tratta di funzioni che non richiedono la localizzazione territoriale. Il dubbio che, dunque, si insinua è che la reale e malcelata intenzione della multinazionale americana sia quella di smantellare tutte le proprie sedi in Italia. (Ndr) – Se il gruppo ha intenzione di tagliare la corda per approdare su altre sponde più convenienti, il minimo che possa e debba fare, è dirlo a chiare lettere. Una grande azienda ha prima di tutto il dovere della lealtà. Nessuno fa i conti in tasca a nessuno, né si può negare che oggi operare e produrre in Italia non sia la massima aspirazione e convenienza di un’azienda. Il paese è insicuro, ciarliero, disorganizzato e politicamente inaffidabile. Costiamo molto, rendiamo poco e spremiamo alla grande chi investe e chi lavora. Certe volte si ha l’impressione che volersi insediare per lavorare in Italia sia un’onta, una sorta di oltraggio. Sta alla politica, tuttavia, pretendere ed estorcere in alcuni casi risposte definitive e serie. Il Governo deve farsi carico di questo problema. Se ne sia consapevole, e se lo siano i politici abruzzesi, cominciando dalla Regione, non sappiamo dirlo, né lo sa nessuno”.

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