Avezzano. La Fiom-Cgil, in vista dell’incontro atteso al ministero dello Sviluppo economico, da sempre ritenuto punto nevralgico della vertenza LFoundry, ma che “uno sciagurato accordo di CDS ha concorso a procrastinare oltre ogni ragionevole limite temporale”, pone all’attenzione dei lavoratori dei punti cruciali e dei dubbi riguardanti il futuro dell’azienda.
“Innanzitutto ci si chiede”, si legge in una nota a firma del comitato degli iscritti Fiom-Cgil di LFoundry e della provincia dell’Aquila, “quanto sia concreta la possibilità che possa stare in piedi nei tempi e nei modi delineati dall’azienda in occasione delle riunioni con i lavoratori, giammai con rappresentanze sindacali e organizzazioni sindacali, il piano di trasformazione e inclusione in IDM (Integrated Device Manufacturer) della LFoundry. Una IDM è strutturata per gestire l’intera filiera”, sottolineano, “dalla progettazione alla realizzazione del prodotto finito alla sua vendita, non si parla più di soli semilavorati (foundry). Dunque una trasformazione non da poco per la realtà avezzanese, che richiede ingenti investimenti di cui, però, non si ravvede traccia nelle parole pronunciate dall’azienda”.
“L’intenzione dell’azienda di affiancare alla attuale produzione dei sensori di immagine Cis”, precisano in un secondo punto, “quella di importanti quantità di dispositivi di potenza, da un lato introduce un tipo di produzione di gran lunga meno complesso dei sensori di immagine e dunque meno profittevole e oltretutto all’interno di un mercato che vede la presenza di insidiosi concorrenti asiatici, dall’altro vede un inevitabile rischio di contaminazione che potrebbe interferire con gli standard di qualità delle prevalenti produzioni di sensori di immagine: con quali conseguenze sul rapporto commerciale con il principale cliente?”.
“A fronte di un’operazione di vendita assolutamente priva di trasparenza”, proseguono, “nonostante il ricorso a risorse pubbliche sia in termini di ammortizzatori sociali, sia, negli anni passati, attingendo a finanziamenti pubblici ad esempio per la realizzazione della centrale di cogenerazione o per l’acquisto di costose macchine, oggi già rivendute dopo non essere mai state utilizzate, è in condizioni l’azienda di garantire nel tempo la tenuta occupazionale e tecnologica dello stabilimento e di scongiurare il rischio di una delocalizzazione delle produzioni, quando non ci sarà più il CDS a narcotizzare la situazione? “.
“Avendo l’azienda scelto di evitare ogni confronto a livello locale sia con le rappresentanze sindacali che con le organizzazioni sindacali”, concludono le associazioni, “l’impegno che assume la Fiom è quello di chiedere conto di questi punti in sede istituzionale e richiamare il ministero dello Sviluppo Economico a quel ruolo di garanzia che lo Stato gli attribuisce”.