Avezzano. “Nell’affare Smic-LFoundry-Wuxi sembra proprio che gli unici a uscirne soddisfatti siano i due amministratori delegati della LFoundry, appunto il punto GG”. Così hanno esordito i responsabili di Fiom – Cgil subito dopo il closing che ha affidato nelle mani della start-up cinese il sito di Avezzano.
“Il 29 luglio è stato firmato il closing, atto conclusivo della vendita dello stabilimento SMIC-LFoundry di Avezzano alla Cinese Wuxi che ha rilevato il 100% del pacchetto azionario”, hanno continuato, “a cedere le quote sono stati la cinese SMIC (per il 70%) e l’Italo-Tedesca MIT (per il 30%). Non ce la sentiamo di esprimere soddisfazione per questa operazione, sospendiamo il giudizio sperando che a quella finanziaria segua una concreta e duratura operazione industriale, l’unica in grado di
garantire i livelli occupazionali dello stabilimento che, tra diretti e indotto, dà lavoro a circa 2000 addetti.
All’atto pratico sappiamo solo una cosa: tra pochi mesi sarà trascorso un anno da quando siamo entrati in regime di CDS con grande sofferenza di tutti, a partire dai ‘cuscinetti’ che sono stati tenuti a casa più a lungo anche a dispetto di una programmazione dovuta ma inesistente perché estemporanea, passando per quelli che hanno visto modificato il
proprio orario di lavoro con non pochi disagi “per garantire continuità” di una attività mal programmata, per finire con i lavoratori somministrati, a lungo sospesi dal lavoro e in tanti senza ammortizzatore sociale.
In questo stabilimento si stanno facendo sacrifici con grande dignità, ma troppo spesso si pensa che dignità e
stupidità siano sinonimi: noi la nostra parte la stiamo facendo ma gli altri? Ci riferiamo ai centri di ricerca in Germania e Bulgaria, ai colleghi in trasferta perenne e ai manager ‘volanti’: hanno contribuito anche loro come tutti noi? Perché, ricordiamolo, siamo noi la cassa della compagnia, in tutti i sensi. Questo è il vissuto dei 1450 dipendenti LFoundry e dei lavoratori dell’indotto che il 29 luglio non hanno esultato e che rimangono attoniti in attesa di una risposta a quella domanda che a tutti ronza in testa: “…sì, ma che faremo?”.
Tutto il resto sembra un reality che si svolge all’interno delle mura del posto di lavoro, che è croce e delizia di un intero territorio.
Non ci convince questo ‘stile’ secondo il quale dovrebbe essere assolutamente normale acquisire uno stabilimento e decidere solo dopo cosa produrvi; di solito si fa il contrario: si ha un progetto da realizzare e per farlo si investe nei beni e nei servizi che
consentiranno di raggiungere l’obiettivo. Ad oggi abbiamo sentito parlare solo di potenzialità: potremmo fare
questo oppure quello, potremmo entrare in questo e/o in quel mercato. E’ normale essere preoccupati per quello che sta accadendo e non si tratta della solita, inflazionata, resistenza al cambiamento. Il socio di maggioranza ha pensato bene di vendere le proprie quote appena i vincoli contrattuali glielo hanno consentito seppur in presenza di un contratto di fornitura preesistente con un cliente storico.
Alcuni investimenti importanti ed infruttuosi per la realizzazione di dispositivi mai andata in porto, la scelta del nuovo sistema informatico gestionale che stenta a funzionare stabilmente, i non investimenti della nuova proprietà (parliamo di soldi freschi, non di recupero da vendite di asset), l’assenza di tavoli istituzionali in particolare Mise e Regione più volte sollecitati sono tutti elementi reali, tangibili, in ragione dei quali si ha il pieno diritto a temere per il futuro delle 2000 famiglie coinvolte in questa operazione.Ma questo non vale per tutti, è qui allora che iniziamo a riflettere su due termini: leveraged buy-out e plusvalenza: il punto GG della LFoundry”.