Avezzano. Ti scrivo “apertamente” in relazione all’ annotazione di “demagogia” da Te apertamente data al mio intervento in Consiglio regionale sul tema della riforma/soppressione dei Tribunali cosiddetti minori. Non sono un “conduttore di popolo”, secondo il senso etimologico del termine, e non credo di peccare in faziosità o inutili verbosità, secondo altri e più attuali significati dati alla parola demagogia. Normalmente non intervengo su tematiche che non conosco sufficientemente (… e confesso che sono molte) cercando , piuttosto, di ascoltare le argomentazioni di esponenti politici più esperti e capaci di me, ed imparare da loro. Ma Tu, caro Presidente, hai voluto riprendermi su una questione dell’Amministrazione giudiziaria, che è stata per trentadue anni il mio mondo e la mia attività. In ragione di ciò tentavo di sintetizzare – in cinque impossibili minuti – poche questioni di fondo ed un paio di criteri ermeneutici in virtù dei quali la politica regionale può e deve occuparsi della “vertenza Tribunali” senza inutili dietrologie localistiche (volte a salvare questo presidio a discapito dell’altro) o mascherate defezioni dovute all’esclusiva competenza statuale nella quale sarebbe ricompresa la materia. Ho avuto modo di occuparmi del sistema giudiziario, sotto il profilo amministrativo, fin dal tempo dell’Assemblea nazionale di Bologna del 1986, che contribuì non poco a promuovere la riforma del processo penale e, nei successivi anni ’90, le parziali modifiche della procedura civile,la rimodulazione delle giurisdizioni, fino alla soppressione – ahimè – della figura del Pretore, dopo 2500 anni di “onorato servizio”. Revisioni che, comunque, sembrano non aver dato al sistema giustizia quell’efficienza da tutti auspicata e attesa! Perché la crisi della giustizia dipende, anzitutto, dalle riforme sostanziali e procedurali che l’attraversano, dall’opinabilità di quelle operate- inattuali, inattuate o inattuabili- certamente aggravate dalla carenza degli organici e da una cattiva organizzazione, pure innegabili. Ma se oggi l’Italia è collocata al 157° posto mondiale, quanto a tutela giudiziaria, ciò non dipende da questioni logistico/territoriali, ed il problema non lo si può affrontare con la forbice ragionieristica del taglio-chiudo e risparmio. Nella giustizia RISPARMIO non equivale a EFFICIENZA- L’efficienza sta nella natura stessa della giustizia che è erogazione del servizio nelle sue sedi e attraverso le sue istituzioni. Ridurre gli uffici giudiziari (tout court) è oggi soltanto un espediente per nascondere i veri nodi strutturali da sciogliere per reagire ad una giustizia lenta e macchinosa, inefficace e, pertanto, iniqua,in conflitto con la sua stessa intrinseca natura. La scelta metodologica di voler inserire la razionalizzazione del sistema giudiziario nell’urgenza di una “manovra finanziaria”( Decreto 138/2011) costituisce l’indicatore più evidente dei veri motivi che muovono gli ispiratori e gli attori dell’operazione “sopprimo i piccoli Tribunali” perché costano troppo. C’è da dire che il primo sostanzioso costo della giustizia è già sopportato dai cittadini e dalle imprese che si rivolgono ai tribunali, contribuendo di tasca propria a sostenere il servizio che richiedono! Ma se anche tagliare e chiudere volesse tradursi nell’acquisizione di un’economia di risparmio per taluno degli indicatori di spesa, può essere considerata scelta eticamente giustificabile ad allontanare dalle città un presidio di legalità e un simbolo di sicurezza, qual è un tribunale? Può essere monetizzato il valore di richiamo ad una civiltà giuridica, realmente rappresentato da una sede giudiziaria? E si può ipotizzare la presenza dell’ufficio del Giudice di pace (criticabile quanto si vuole, ma, comunque, organo dell’ordine giudiziario vigente) subordinandola alla capacità di un’Amministrazione comunale di sopportarne le spese per i locali, il personale ed i mezzi strumentali? Delocalizzare strutture e servizi significa perpetrare un’ulteriore vessazione ai danni dei cittadini, originata da incuria politica e inedia amministrativa risalenti nel tempo : la centralizzazione del sistema giudiziario trasformerebbe progressivamente i cittadini in sudditi, anche segnando distanze sempre crescenti tra gli abbienti –che potranno permettersi di adire il giudice “lontano”- e i meno abbienti che saranno indotti a riporre nel cassetto richieste legittime, in una fatale soccombenza di fatto. Quale senso di città e di cittadinanza manifestano i sostenitori di una tale deprecata manovra ? Città significa identificazione di uno spazio comune contrassegnato da ospedale, tribunale, scuole, centri aggregativi, parrocchie…….. ( in proposito : la Chiesa – nella sua forma istituzionale, la più radicata nei secoli- anche in tempi di crisi non chiude santuari e cappelle per concentrarsi sulle cattedrali, ma moltiplica e mobilita gli operatori pastorali). Quei luoghi sono l’aggregazione sociale, le vitalità funzionali della comunità cittadina : chiudere quelle strutture è intaccare irreversibilmente le città, che poi dovranno essere recuperate, surrettiziamente, con altre forme da rifinanziare: altre infrastrutture, altri servizi di supplenza, altri centri di recupero…. con costi aggiuntivi che contraddicono le scelte fatte per economizzare e risparmiare! Di qui il compito di negoziazione istituzionale – impossibile ad altri enti locali, provinciali o comunali, e inattuabile da parte di organi e organismi nazionali – posto in capo alla Regione nel rappresentare le esigenze di omogeneità e peculiarità dei comprensori e dei territori : valorizzare la salvaguardia di quelle circoscrizioni giudiziarie – non sedi provinciali- che servono già adeguatamente le popolazioni interessate;
a) promuovere, con criteri di maggior rispetto delle caratteristiche socio-economiche locali, una mappatura dei circondari che, pur non coincidendo necessariamente con le estensioni provinciali, potrebbero rivestire più consone dimensioni e sopportare un carico proporzionato di affari giudiziari, attualmente disequilibrato in difetto o in eccesso;
b) indicare, in alternativa ai tagli annunciati e in perfetta osservanza delle norme che disciplinano la materia, misure riguardanti il personale giudiziario, intese a ottimizzare e valorizzare le professioni amministrative (con le leve della mobilità interna e intercompartimentale di livello regionale) cogestendo unitamente agli uffici ministeriali e distrettuali eventuali esuberi o riducendo carenze croniche, in un quadro costantemente monitorato e sottoposto alla misura dell’adeguatezza del servizio erogato;
c) contribuire alla formazione di uno o più organismi di partecipazione istituzionale (magistratuale, amministrativa, politica e sociale) per il consolidamento ulteriore degli attuali presidi giudiziari in una regione, come l’Abruzzo, che non ha le caratteristiche geoculturali del Piemonte o dell’Emilia, e non è più l’”oasi felice” ,fino al secolo scorso in più occasioni decantata, come dimostrano le statistiche dei provvedimenti giudiziari tesi a combattere la criminalità organizzata infiltratasi o in espansione nei territori sia montani che costieri. Sono piccole, scarne, quasi banali indicazioni che – accanto a molte altre considerazioni- dovrebbero essere oggetto di elaborazione di una rete composta dai Capi degli Uffici Giudiziari, dalle Dirigenze amministrative, dai vari rappresentanti dei Consigli degli Ordini forensi e delle Camere penali, della Facoltà universitarie di Scienze giuridiche, dalle categorie socio-economiche maggiormente rilevanti. La Regione Abruzzo potrebbe avere il ruolo di collante e coordinamento di un piano unitario e propositivo di geografia giuridica distrettuale. Sono pochi i mesi a disposizione indicati dal decreto legislativo. La posta in gioco è alta e non è una questione di contabilità finanziaria! Da sempre si “contratta “ la spesa della giustizia e la si “contrae” ulteriormente. Contrarre il Servizio-Giustizia significa ridurre la democrazia dei diritti, disconoscere l’assolvimento della IURIS-DICTIO,con tutte le conseguenze di regressione sociale, civile e culturale. Volevo dirtelo, Gianni, senza alcun sentimento demagogico, e augurarti Buon lavoro.