Capistrello. Quando il teatro si concepisce come forma di comunicazione che non è solo mettere in scena un soggetto ma vivere l’idea stessa di rappresentazione come esperienza assoluta dell’essere che diventa personaggio e viceversa, allora avviene la magia come quella che si è manifestata mercoledì sera fra i vicoli e le piazzette del borgo antico di Capistrello.
Decine e decine di persone in giro per i viottoli scoscesi della parte del paese che abbraccia il monte Arezzo a inseguire gli attori del Lanciavicchio interpreti del mito del grande lago scomparso, il Fucino. Dopo l’introduzione allo spettacolo, avvenuta a Piazza Lusi, punto di inizio e di arrivo di questo teatro in movimento, il pubblico è stato suddiviso in piccoli gruppi.
Ognuno dei gruppi così composti, hanno seguito gli attori nelle stanze del tempo, dove in rispettoso silenzio hanno potuto immergersi in una dimensione quasi onirica planando nel remoto passato di quando non esistevano le terre emerse ma il Fucino era uno specchio di acqua, un piccolo mare fra le montagne.
Cinque stanze del tempo per altrettante scenografie, che si aprono alla vista dello spettatore come matrioske, ognuna con una storia a sé ma legata alle altre dal filo rosso dei secoli che separano i sogni di grandezza dell’imperatore Claudio che osò sfidare il Dio del grande lago, dagli sfarzi del Principe Alessandro Torlonia nello splendore decadente della Roma papalina dell’800.
Lo spettacolo inizia con tutto il pubblico raccolto in religioso silenzio di fronte a un telo bianco, poi, divisi in gruppi meno numerosi, gli spettatori iniziano il viaggio nel tempo. Ogni gruppo segue la sua traiettoria, che si perde fra i vicoli, le piazzette e gli scorci sospesi fra le stelle e le parole che narrano i luoghi del passato e gli stati d’animo degli uomini.
Perché si tratta soprattutto di un viaggio attraverso emozioni che scuotono l’anima. Un viaggio che esplora le ingiustizie e i soprusi perpetrati dai ricchi verso i poveri nell’eterna lotta fra il bene e il male. Ricchi uomini d’affari che bramano altra ricchezza e la povera gente, gli operai, i minatori, i cavatori di pietre, i cafoni, insomma gli ultimi che vengono dopo il niente, sfruttati e abusati.
Un pellegrinaggio attraverso il tempo e antichi viottoli, in cui il pubblico finisce per diventare parte della rappresentazione al punto che finzione e realtà si mescolano senza soluzione di continuità. La scena è realtà e la realtà diventa scena in un ribaltamento di prospettiva dove il parterre scompare lasciando il posto all’immaginazione, vera protagonista della serata.
Palpabile a fine serata la soddisfazione dell’Associazione Amici dell’Emissario, il cui Presidente, Alfonsi Antonello, ha ringraziato il numeroso pubblico per aver voluto partecipare allo spettacolo, già in programma lo scorso anno, ma che per via del maltempo, non fu possibile mettere in scena.