Avezzano. E’ una rivoluzione ineluttabile, oltre che una sfida che il mondo industriale, le istituzioni e sindacati stanno accogliendo di buon grado. Ma ci sono dei campanelli di allarme che non vanno sottovalutati se non si vuole perdere un’occasione di crescita e sviluppo.
È quanto emerso ieri, giovedì 9 maggio, nel corso della tavola rotonda“Industria 4.0: dalla tecnologia alle persone, un’occasione da non perdere” organizzata dalla Uilm L’Aquila Teramo a Palazzo Torlonia ad Avezzano, che ha visto la partecipazione di oltre centocinquanta perone. Tra i presenti nel pubblico anche Rita Innocenzi (Cgil Abruzzo Molise), Paolo Sangermano (Cisl Abruzzo Molise), Paolo Chiocca (Fiamm), Roberto Monfredini (Euroconic), Francesco De Bartolomeis (Confindustria L’Aquila) e il consigliere regionale Giorgio Fedele.
Ad aprire i lavori, coordinati dal giornalista Piergiorgio Greco, i saluti di Gabriele De Angelis, sindaco di Avezzano, Fabrizio Truono, segretario generale Cst Uil Adriatica Gran Sasso, e Angelo Gallotti, segretario provinciale Uilm L’Aquila Teramo. Nel corso del suo intervento Fabrizio Famà, manager hr di Lfoundry, ha detto che “la rivoluzione 4.0 è naturale evoluzione della digitalizzazione e successiva convergenza di tecnologie che abbiamo avuto negli ultimi sessant’anni, da quando Kilby creò il primo circuito integrato.
È fondamentale che continuiamo a progredire nelle nuove tecnologie, in quanto mezzo che mettiamo al servizio dell’uomo e che cambia la nostra vita, anche quotidiana. Il dibattito non può essere solo tecnico-scientifico, ma deve coinvolgere la società nel suo insieme, con senso di responsabilità verso chi verrà dopo”.
Le istituzioni, da parte loro, non si stanno tirando indietro. Stefano Fricano, funzionario economico del Ministero dello Sviluppo Economico, ha illustrato i principali risultati ottenuti dal Piano Nazionale Industria 4.0, che stanzia una mole complessiva di 40 miliardi di euro, la sua evoluzione nel tempo a partire dal 2018 fino ad arrivare alle modifiche della legge di bilancio 2019: “Ci sono gap da colmare in termini di competenze, infrastrutture, qualità degli investimenti, istituti tecnici superiori, competitività. Per questo, il piano è stato ricalibrato, con un‘attenzione particolare alle competenze 4.0, a quelle manageriali in ottica 4.0 e alle piccole e medie imprese.
Tutti gli interventi vanno in questa direzione”. Da parte sua, anche Confindustria non sta a guardare. Lino Olivastri, coordinatore Digital Innovation Hub Abruzzo, ha spiegato le finalità di questa iniziativa: “Si tratta di una sorta di “porta di accesso” al mondo di Industria 4.0 per supportare la trasformazione digitale del sistema produttivo, stimolare la domanda di innovazione delle imprese, e rafforzare conoscenza sull’argomento. Le iniziative formative, di rete e di buone pratiche che supportiamo e promuoviamo vanno proprio in questa direzione”.
Il tutto in un sistema produttivo, quello abruzzese, che la sfida l’ha accolta, come ha spiegato Raffaele Trivilino, direttore Polo Innovazione Automotive: “Questo comparto occupa 30 mila addetti, fattura 8 miliardi di euro e rappresenta il 55 per cento dell’export abruzzese. Per sostenerne l’evoluzione, abbiamo implementato sistemi formativi e progetti capaci di far emergere le nuove professionalità e competenze richieste da Impresa 4.0, mettendo in rete imprese, università, scuola e migliori esperienze, stakeholder”.
Nel corso dell’intervento finale, Rocco Palombella, segretario nazionale Uilm, ha spiegato che “il tema che noi ci dobbiamo porre non è capire se siamo a favore o contro questa quarta rivoluzione industriale. Il vero tema è: quanto del sistema industriale italiano è agganciato e ha le carte in regola per poter affrontare le sfide di un mercato che ormai è globale? Una domanda non retorica se pensiamo che le caratteristiche del sistema italiano sono quelle di un sistema fatto per lo più da aziende di piccole dimensioni, spesso impossibilitate a fare investimenti e formazione”.
La ricetta per il leader dei metalmeccanici della Uil si basa su tre pilastri: “Un modello scolastico che guardi al futuro del sistema industriale, che resta prevalentemente manifatturiero; la formazione continua, sempre più dedicata alla riqualificazione professionale; la necessità di pensare a una riduzione dell’orario di lavoro che deve però partire dall’Europa, in quanto ormai il mercato del lavoro va considerato a livello europeo e mondiale”.