Pescasseroli. Sarà la “Tosca”, di Giacomo Puccini su libretto ad inaugurare in questo week-end venerdì 13 e domenica 15 il cartellone lirico del Teatro Marrucino di Chieti. Una prima a quattro mani, affidata alla regista Manu Lalli che “rileggerà” le note di regia dello stesso autore inserite nel libretto, quindi filologicamente rispettosa dell’ambientazione con colori, luci e i movimenti scenici che sottolineeranno la modernità dell’opera e della musica.
Una produzione che grazie alla rinnovata collaborazione per le scene e i costumi con la Fondazione Festival Puccini, della triade Ficacci, Moretti e Pizzi, sarà poi ripresa in estate a Torre del Lago.“Siamo estremamente orgogliosi della volontà del Direttivo della Fondazione di proseguire l’intesa anche per questo anno 2023” commenta il Direttore Artistico M° Giuliano Mazzoccante “Ospitare nel nostro Teatro il debutto di un’Opera così complessa e articolata, con nomi di assoluto rilievo, è per noi un enorme onore”.
Sul podio alla testa dell’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, presieduta da Bruno Cairoti e diretta artisticamente dal M°Ettore Pellegrino, salirà il M° Jacopo Sipari di Pescasseroli, da nuovo direttore principale di questa formazione, e delle masse corali preparate dai maestri Christian Starinieri e Paola Ciolino rispettivamente del Teatro Marrucino e le Voci Bianche del Conservatorio Luisa d’Annunzio di Pescara.
“Mi ritengo un direttore pucciniano – ha dichiarato il Maestro Sipari – e portare Tosca, che rappresenta la scintilla del mio amore per la musica, sotto l’egida del Festival Puccini di Torre del Lago, alla testa della mia orchestra e nel teatro più bello e prestigioso d’Abruzzo, con un cast di artisti straordinari è per me una grande emozione. Lavorare con la regia di Manu Lalli che ha sottolineato l’essenza della Tosca, che è un’opera di sentimenti, emozioni, che con questa regia potrebbe essere seguita anche senza musica, grazie alla sua sapienza scenica, luci e colori a tinte forti. Menzione per l’orchestra che da sinfonica, poco avvezza, alla buca, si è trasformata in una splendida, fresca ed entusiasta formazione lirica, sottolineando ogni sfumatura, ogni contrasto, in grande sintonia con le linee di regia”.
Calcolatore astuto, Puccini, ha una leggerezza acrobatica nel trapasso veloce dall’osservazione innocente alla partecipazione tragica. Si tratta di considerare che in Puccini la scena rappresenta quasi certamente la cripta di un’esistenza borghese ben al di sotto del mito. Tosca, a cui darà voce Valentina Boi, alle soglie del nuovo secolo, non poteva essere più indicativa di quel momento storico ed estetico. Ciò che colpisce sono i “luoghi”, simboli dei personaggi, la scrivania per Scarpia (Carlos Almaguer), la Madonna per Tosca, la cappella Attavanti per l’Angelotti (Gaetano Merone), cavalletto e pennelli per Cavaradossi (Max Jota) e i tempi dell’opera, poche ore, per descrivere come l’occhio di una macchina da presa, una Roma di inarrivabile fascino. A completare il cast Paolo Gatti (il Sagrestano), Tommaso Mangifesta (Spoletta), Davide Filipponi (Sciarrone), Stefano Gennari (il carceriere) e la giovanissima Artemisia Dimalio che darà voce al pastorello. Puccini non dimentica mai di essere come un pittore davanti al cavalletto e dipinge la natura con tutta la libertà e l’entusiasmo del primo incontro. Il fatto in sé non interesserebbe molto, se non fossero in gioco i rapporti tra i personaggi. Personaggi che sembrano volersi imporre ad ogni costo, strappando e calpestando tutto quanto li circonda.
Mentre in sede romantica erano gli assoluti dominatori dei cosiddetti oggetti, ora sono proprio questi ultimi a muovere verso il personaggio e a pretendere da lui un rispetto adeguato. Il che equivale ad una soffocazione. La crudeltà e l’ansia di Scarpia, mostro corrotto ma sincero, uomo di mondo e fedele servitore dell’autorità; la tenerezza di Tosca, l’unica donna ammessa nell’opera, che ne occupa con prepotenza ogni spazio, in ogni momento, sempre da padrona assoluta, amante focosa ed imperiosa che non esita a smaniare in chiesa esibendosi in una violenta scena di gelosia, la stessa creatura che, come una pia fanciulla, s’inginocchia devotamente dinanzi alla Vergine e le offre dei fiori, è la stessa artista che si umilia come una donnicciola qualsiasi quando si prosterna disperata ai piedi dell’aguzzino, implorando pietà per il suo uomo, è la stessa creatura che, brandisce un coltellaccio da cucina e trucida selvaggiamente il boia che la vuole sua in cambio della salvezza dell’amante, è Tosca il deus ex machina dell’azione e lascia il partner sempre nell’ombra (Cavaradossi è seviziato ma è lei che soffre e recita la sua sofferenza, intonando quella pagina in sé molto efficace e musicalmente ben tornita, ma estranea all’economia del dramma che è “Vissi d’arte”), il pittore Cavaradossi, attaccato alla vita e al piacere con ingenuità poetica, non è che il signor tenore, al quale non gli è permesso che cantare due romanze “Recondita Armonia” e “Lucean le stelle”.
La cornice dei luoghi, mossa con estrema abilità fra una chiesa fastosa, una sala di palazzo con annessa stanza dei tormenti, e il carcere per i condannati a morte: è tutta qui la Tosca, schizzante una Roma tra fede e potere e il conflitto fra la voluttà e la carne martoriata, fra la sete vitale e l’oppressione, il tutto elevatesi a monumento sepolcrale. La bellezza e gli amori celebrano un forzato trionfo davanti al plotone di esecuzione. Tosca, ma soprattutto Scarpia, Vitellio Scarpia (personaggio ispirato ad un barone del Cilento soprannominato “Sciarpa”, alias di Gherardo Curci di Polla), figura chiave, secondo le ricerche storiche del regista Riccardo Canessa, più motivato da ragioni politiche e di ordine pubblico di cui dar direttamente conto ai Borboni – alla regina Maria Carolina – rispetto al ritratto più odioso e maniacale che emerge dal libretto.
È un poliziotto tutto d’un pezzo che Sardou chiama per nome una sola volta, quando firma il salvacondotto per la fuga dei due amanti e il suo farsi aguzzino è spesso nel ruolo e nelle circostanze più che nelle intenzioni personali. Il che non lo rende più simpatico, ma spiega molti dettagli dell’inchiesta di cui è responsabile davanti ai regnanti padroni di Roma. Incontriamo così Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d’Austria (sorella di Maria Antonietta) e moglie di Ferdinando IV di Napoli: è questa sia la corte da cui Scarpia, siciliano, verrà inviato a Roma, sia la città dove Cesare Angelotti si è già fatto tre anni di carcere per essere caduto in disgrazia di una ex fiamma, Emma Lyon, divenuta moglie dell’ambasciatore d’Inghilterra William Hamilton col nome di Lady Hamilton (più nota storicamente come l’amante dell’ammiraglio Orazio Nelson).
A Roma una testa calda, Mario Cavaradossi, figlio di padre italiano e madre francese, giunge per sistemare degli affari ma deciderà di rimanervi per una donna, la celebre cantante Floria Tosca, conosciuta al Teatro Argentina e già artista di successo alla Scala, al San Carlo, alla Fenice. E’ Scarpia a dare la crudele e sottile impronta all’opera aprendola prima ancora che si alzi il sipario, sua la sigla, i tre accordi, in cui giganteggia, nel corso dell’opera in un decorso armonico dove la dominante risolverà tradizionalmente sulla tonica, sua la chiave con cui Puccini apre la personale porta sul ‘900.