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La storia delle croce scolpita nella roccia del Monte Velino, simbolo di speranza

Redazione Attualità di Redazione Attualità
27 Gennaio 2021
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Massa d’Albe. E’ uno dei simboli di speranza in questi giorni. In tanti hanno postato le foto di quella croce affidandogli simbolicamente le sorti di  Tonino, Valeria, Gianmarco e Gian Mauro. Ma in quanti sanno la sua storia? L’ha raccontata Ercole Wild di Montagne Selvagge. Accompagnatore di montagna e conoscitore del territorio ha avuto modo di parlare la sua storia parlando con persone di Magliano de’ Marsi e Rosciolo de’ Marsi.

 

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“Eccomi qui a raccontarvi la storia di Edgard Leibfried, seminarista del Pontificio Collegio Germanico – Ungarico di Roma, nato a Vianden in Lussemburgo il 31 marzo del 1926 e morto sul Monte Velino il 26 novembre del 1947. Sono riuscito a scoprire la sua storia parlando con le persone di Magliano dei Marsi e Rosciolo dei Marsi: tutto quello che vi scrivo mi è stato raccontato, ma è passato tanto tempo da quel giorno e alcuni ricordi possono risultare sbiaditi”, ha scritto Ercole nel suo racconto

 

“era il mattino del 26 novembre 1947, quando un’allegra comitiva di “Frati Rusci”, chiamati cosi perché indossavano un talare (l’abito dei preti) di colore rosso, decisero di scalare il Monte Velino. Il gruppo era formato da una decina di persone che erano venuti in questi posti per passare alcuni giorni di vacanza e pernottavano a Magliano dei Marsi, presso il casale di Don Domenico di Cola.

Quel mattino il meteo era buono, una bella giornata di novembre, si alzarono presto e si incamminarono verso il paese di Rosciolo per poi prendere di “petto” la montagna per le allora direttissime che passavano nel Vallone della Chiave e nel Vallone dell’Orso. Si presume siano giunti in vetta verso le tredici, ma, purtroppo, come accade in montagna, specialmente sulle alte vette, il tempo può cambiare repentinamente.  Nel 1947 non c’era la tecnologia che c’è adesso per controllare il meteo: sicuramente si accorsero dell’arrivo delle nuvole durante l’ascesa e, una volta arrivati in vetta, si resero conto che il meteo stava peggiorando.

Scesero un po’ velocemente per il Vallone della Chiave, ma il maltempo ormai li aveva sorpresi, procedevano arrancando. Durante la discesa uno di loro perse il contatto con il gruppo, forse per stanchezza, forse per un malore. Ormai era notte quando il gruppo si trovò alle pendici del Monte Velino, ma mancava uno di loro: Edgard Leibfried.

Il mattino seguente furono organizzate squadre di ricerca, i genitori accorsero subito da Vianden in Lussemburgo, in tanti perlustrarono la zona e gran parte della montagna, la famiglia dava anche un compenso di 500 lire al giorno per queste ricerche, ma nulla, non ci furono esiti positivi, il maltempo continuava ad imperversare su tutta la zona; acqua, vento, bufere. Nonostante le squadre di soccorso si fossero impegnate fino allo stremo delle forze, la coltre di neve molto spessa non restituì il corpo del seminarista. Le ricerche vennero sospese e arrivò l’inverno. Né i famigliari, né i paesani si arresero.

A metà di dicembre del 1947 ci fu uno scambio di telegrammi tra la famiglia Leibfried e il comune di Magliano dei Marsi per far riattivare subito le ricerche servendosi di ogni mezzo alpinistico necessario. Il sindaco gli rispose che: “erano state fatte molteplice ricerche, però, imperversando quasi sempre il maltempo e presentando il terreno anfrattuosità e coperto di neve, le ricerche hanno dato esito negativo”, aggiungendo che “ulteriori ricerche, purtroppo, non erano consentite poiché nella zona della dispersione era caduta molta neve e che potranno essere riprese solo a primavera”.

Intanto arrivò la primavera. Il sole cominciò a scaldare la roccia del Velino, la neve pian piano si scioglieva, il canto degli uccelli accompagnava gli uomini nel quotidiano e durante i lavori: una stagione bellissima dove tutto rinasce per splendere. Era il 26 maggio del 1948. Due pastori, Iannucci e Tiberi, si trovavano sulla montagna con le loro pecore. Ad un tratto videro alcune pecore al pascolo spaventarsi e rimanere immobili, impaurite da qualcosa. Si avvicinarono e trovarono il giovane Edgard.

Il corpo era disteso, coricato su un lato e appoggiato sul braccio destro con diversi punti del corpo scarniti. Per terra una scatola di cerini Minerva consumati, sicuramente usati per un estremo tentativo di scaldarsi. Venne avvisata la famiglia e il padre, una volta arrivato a Magliano dei Marsi, si fece accompagnare sul posto del ritrovamento: tra il Vallone della Chiave e il Vallone dell’Orso, a circa 1800 m, mentre i due pastori ricevettero un sostanzioso compenso in denaro.

La famiglia incaricò un artista di Rosciolo dei Marsi, Domenico Tiberi, di scolpire sul luogo del ritrovamento, una grande croce nella roccia a perenne ricordo. Insieme al figlio Giuseppe e ad un operaio, con l’aiuto di asini per trasportare il materiale fin sopra il vallone, lavorarono per diversi giorni, anche dormendo sul posto, per portare a compimento questa grande opera. Adesso in quel posto non si passa più, ci sono altri sentieri per salire sul Velino, ma una croce scolpita nella roccia ricorda il giovane Edgard.

Chissà cosa avrà pensato ogni volta che accendeva un cerino e ogni volta che si spengeva… Ora il suo corpo riposa altrove, ma a me piace pensare che il suo spirito sia stato accolto dal Monte Velino per farlo divenire eterno, libero di esplorare la natura selvaggia, imbrigliando i venti e la neve che tanto gli furono funesti”.

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