Avezzano. Padre Domenico, al secolo Emidio Petracca, nacque a Cese, una piccola frazione di Avezzano, il 27 marzo del 1905. Il 14 gennaio del 1915, un giorno prima del terribile terremoto che cambiò per sempre le sorti della Marsica, il piccolo Emidio avvisò i suoi compagni di classe che all’indomani ci sarebbe stato un fortissimo terremoto, che avrebbe distrutto l’intera città.
Ovviamente nessuno credette alle parole del bambino, tant’è vero che il giorno successivo tutti andarono in chiesa, come facevano ogni giorno, prima di recarsi a lavorare nei campi. Invece, come ben sappiamo, quel giorno si scatenò il secondo sisma più devastante della storia d’Italia, che in pochi secondi spazzò via oltre 30.000 vite umane. Anche lui, come molti, rimase sepolto vivo sotto le macerie, ma al contrario di tante persone, comprese le due sorelline più piccole che perirono in quella terribile catastrofe, venne ritrovato sano e salvo fuori dalla chiesa.
Quando i sopravvissuti domandarono al piccolo Emidio chi lo avesse messo in salvo, egli rispose “un uomo con la barba e i capelli lunghi”. Peccato però che nessuno in paese, tra le poche decine di anime sopravvissute, corrispondesse alla descrizione fatta dal bambino. Ma il piccolo Emidio ne era convinto e continuava a descrivere sempre nello stesso modo colui che l’aveva liberato dalle travi e portato in salvo: un uomo con la barba e i capelli lunghi.
Nel 1921 padre Domenico entrò nel collegio serafico dei cappuccini a Vasto, nel 1922 iniziò il noviziato per diventare frate cappuccino, in seguito studiò filosofia all’Aquila e concluse gli studi teologici a Sulmona, per poi essere ordinato sacerdote nel 1931. Oltre ad essere cappellano militare venne trasferito in diversi conventi, tra cui Avezzano, Luco dei Marsi, Campli e Caramanico. Finché un giorno, nel 1966, venne trasferito nel santuario del Volto Santo di Manoppello, ristrutturato da pochi anni. Quando il frate si trovò al cospetto del sacro velo, di cui fino a quel giorno ignorava l’esistenza, con voce rotta dall’emozione, balbettò “è questo l’uomo che mi ha salvato dalle macerie 50 anni fa”. Da allora in avanti non ci fu un solo giorno in cui padre Domenico non si inginocchiò davanti al Volto Santo, di cui divenne un araldo.
Padre Pio, con cui padre Domenico si era incontrato nel 1940, nutriva una profonda stima per il frate abruzzese. A tutti quelli che, dall’Abruzzo scendevano fino a San Giovanni Rotondo, diceva “Cosa venite a fare fin qui se voi avete padre Domenico?”.
Padre Domenico da Cese era un uomo semplice, ma ripeteva sempre che lui, prima di morire, doveva assolutamente vedere la sacra sindone dal vivo. Il frate non solo la riteneva autentica, ma anche sovrapponibile al Volto Santo di Manoppello, proprio come in seguito confermarono anche altri studi. Riteneva inoltre che entrambe le sacre reliquie venissero dal sepolcro di Gesù. Nel 1978, finalmente, padre Domenico si recò a Torino per vedere l’ostensione della Sindone e coronare il sogno di una vita. Dopo aver visto la reliquia uscì dal museo e venne investito da un’auto, subendo gravi ferite che lo costrinsero per qualche giorno in ospedale. Padre Domenico ebbe sempre parole gentili per il ragazzo che lo investì poi, qualche giorno dopo, prima di morire disse “questo sacrificio è per la sindone di Torino”.
Morì il 17 settembre del 1978, giorno in cui l’ordine francescano celebra la festa delle stimmate di san Francesco, piaghe di cui anche lo stesso padre Pio fu testimone vivo. Oggi padre Domenico riposa nel piccolo cimitero di Cese, una piccola frazione di Avezzano, che custodisce le spoglie di un sant’uomo conosciuto e venerato anche all’estero, ma purtroppo ancora sconosciuto alla maggior parte dei suoi concittadini.