Pescina. In questi giorni è disponibile la ristampa di un interessante racconto di Sherlock Holmes, intitolato “La pietra di Mazarino”. Nell’episodio il celebre detective londinese riesce nella difficile impresa di recuperare il grand Mazarin, ma pochi sanno che la storia di questo diamante, il più grande del mondo, ha qualche legame anche nella Marsica, in special modo a Pescina.
Cos’è il “grand Mazarin”? E’ un diamante rosa di 19,07 carati, estratto nelle miniere indiane di Golconda, che per lungo tempo fece parte del tesoro della corona. La pietra, con un alto grado di trasparenza e una tinta di un rosa molto particolare, è stata testimone di 350 anni di storia europea. Fu donata al Re Sole dal Cardinale Mazzarino nel 1661, come dono di nozze, ma il “Grand Mazarin” è stato anche il più mondano dei diamanti: risplendeva sui lussuosi abiti lussuosi da grande soirée, sulle chiome abbigliate di imperatrici, regine e principesse, come Maria Teresa d’Austria, Maria Leczinska, Maria Antonietta, le imperatrici Joséphine, Maria Luisa e Eugenia, rispettivamente come dono di Napoleone e Napoleone III. Nel 1870, dopo la caduta dell’Impero, le pietre delle corone reali furono vendute. Nel 1887 la pietra di Mazarino venne battuta all’asta, poi fu esposta al Louvre nel 1962, finché nel 2017 è stata battuta da Christie’s per la cifra record di quasi 14 milioni di euro.
Il diamante deve il suo nome al cardinale Jules Raymond Mazarin, nome francesizzato di Giulio Raimondo Mazzarino, nato a Pescina nel 1602. Mazzarino fu un grande statista, primo ministro di Luigi XIV (alcuni sostengono che fosse il padre del re), dopo la cui morte divenne reggente di Francia. Ma il cardinale fu anche un personaggio nella trilogia de “i tre moschettieri” di Alexandre Dumas, autore che come molti altri inglesi dell’ottocento per il suo “grand tour” scelse la Marsica, che descrisse con dovizia di particolari nel suo “La marsica et il Fucino”. Dumas rimase talmente colpito dalla Marsica che prese spunto dai personaggi e dalle cantine del Fucino, per farli rivivere nelle cupe ambientazioni dei suoi romanzi: “Mentre una schidionata di pernici girava davanti al fuoco, e ai due angoli di un grande camino bollivano su due fornelli due casseruole da cui esalava un odorino misto di fricassea e di brodetto di pesce che rallegrava il cuore”. Insomma tra spade, spiedini di pernici e vino, i tre moschettieri sembrano più dei personaggi di cantina che non di taverne francesi. Ma Dumas rimase ancor più impressionato dal Fucino e dall’opera di prosciugamento, che in una bellissima e celebre frase definì l’ottava meraviglia del mondo “Vedete bene che valeva la pena deviare di poche miglia il cammino per ammirare un’opera che l’antichità, se avesse saputo compierla, avrebbe chiamato l’ottava meraviglia del mondo”.