Avezzano. “Quando perdi qualcuno che ami ottieni un angelo che già conosci…”, si legge sul manifesto che annuncia i funerali dei quattro escursionisti marsicani che hanno perso la vita sul Monte Velino.
La camera ardente verrà allestita all’interno della cattedrale di Avezzano. Il servizio funebre è a cura delle agenzie funebri Rossi, Bossi e Luciani.
L’accesso sarà disciplinato all’esterno e all’interno dalle forze dell’ordine affiancate dai volontari della Protezione Civile, oggi domenica 21, dalle 15 alle 20 e domani, lunedì 22, dalle 7 alle 13.
L’accesso ai funerali, che si svolgeranno domani, alle 15, all’interno della Cattedrale, sarà riservato ad un ristrettissimo numero di partecipanti, secondo quanto disciplinato dalla normativa vigente e dalle disposizioni ecclesiastiche, i quali interverranno con uno specifico pass rilasciato dal Comune di Avezzano.
Intanto un operatore che in questi giorni ha partecipato al riconoscimento dei corpi fa sapere:
“Affrontare la morte è difficile anche per chi lo fa di mestiere. Vorrei che si rendesse pubblico quando io ho visto fare dal personale dell’obitorio dell’ospedale di Avezzano. Mi sento di ringraziare queste persone per come si sono prese cura dei quattro escursionisti. Ho visto un pudore, le lacrime e un decoro nei confronti di queste persone che credo non dimenticherò mai”.
Su Monte Cervaro, lo staff della pizzeria Il Padrino, dove lavorava Gianmarco Degni, ha messo un cuore che guarda verso il Monte Velino, che ricorda i quattro escursionisti.
Altri ricordi
Da oggi è diverso guardar le tue cime, vecchio Velino imbiancato.
Da quando hai detto: voglio vedere che faccia ha la Morte,
e giù neve su neve.
O forse non tu, forse l’Eterno Signore delle cime,
ma Lui già sa di morte e di vita… Zitta non dire. Taci il mistero del nascere e morire, del vivere: camminiamo su creste di abisso, spesso ignari di tanto sgomento. Fugge il cuore distratto allo sguardo che cade nel vuoto. Amici, per noi, il nome vostro non si perda in terra di oblio.Cecilia Sartini
“24 gennaio 2021.
Camminavamo in fila, uno dietro l’altro.
Anche se quei luoghi ci erano, ormai, familiari, il più esperto di noi procedeva per primo e ci indicava la strada, segnava il percorso.
Saremmo affondati nella neve se non fosse stato per i ramponi. E così, passo dopo passo, dopo aver guadagnato la valle dalle pendici a Est dell’antico Sorvegliante della Marsica, ci ritrovammo all’ingresso di quella aspra, rude e bellissima strozzatura.
Il fiato bianco che, ritmico, usciva dalle nostre bocche si mescolava al candore della neve e del ghiaccio.
Non sentivamo fatica, abituati a percorsi più impegnativi, e andavamo avanti spediti.
Il silenzio era rotto solo dal crocchio e dal crepitio della neve sotto al peso dei nostri passi.
Eravamo partiti in orario e con quella cadenza saremmo rientrati, come da previsione, ancora in tempo per il pranzo.
Forse non era la miglior giornata per poter apprezzare la selvaggia nudità di quegli impervi, ma avevamo affrontato climi e temperature peggiori.
Così procedevamo con la leggerezza nel cuore, felici, come sempre, del nostro momento di libertà.
D’improvviso la quiete a cui i nostri orecchi si erano abituati è stata squarciata da un sordo e profondo fragore.
Il capocordata si è fermato e si è girato verso di noi con espressione spaurita. Ci siamo guardati con aria interrogativa e, alzando gli occhi alla nostra sinistra, ecco la risposta che ci piombava addosso, implacabile.
Non il tempo di accennare la fuga, non quello di raggiungere le mani tremanti dei compagni, non quello, da ultimo, di affidare una preghiera alla Signora della Neve… Fummo parte del bianco.
Per giorni, da allora, non avete smesso di cercare di riportarci a casa. Avete sperato, con vivida intensità, di poterci riabbracciare. Avete provato per lunghissime settimane a non annegare nella disperazione contrapponendo ad essa la forza dell’amore.
E così siete rimasti lì, incrollabili, al cospetto di questa montagna, a scrutare l’orizzonte nella speranza di veder materializzarsi le nostre figure mentre facevano ritorno a voi.
E così, intorno a voi, frotte di eroi si davano il cambio per salire su quella valle, quando ancora non faceva chiarore, a cercare tracce del nostro passaggio, per ridiscendere solo a sera.
Quanto sono state lunghe le ore che ci hanno separato da voi… quanto è stato insopportabile il peso di questa nostra lontananza.
Scusateci, dunque, se torniamo a casa solo ora. Perdonateci se tanta apprensione vi abbiamo fatto provare. Perdonate, se potete, quest’offesa che vi abbiamo fatto.
Ma sappiate che l’oltraggio più grande, il tiro più sinistro l’ha giocato il Velino a noi. Quella montagna ci ha traditi, noi che tanta fiducia le abbiamo invece regalato eleggendola a luogo del cuore.
Non avremmo voluto che andasse così.
Non avremmo voluto tenervi incastrati in un dolore vastissimo e insopprimibile.
Non avremmo voluto mai lasciarvi in questo modo.
E sappiate, amati, che infatti non vi lasciamo: saremo con voi ogni volta che un cristallo di neve si poserà sui fianchi del monte; ogni volta che il vento soffierà con fierezza a spazzare i fianchi del massiccio, noi saremo lì dove la vita, per ora, ci ha lasciati.”
Vicini alle vostre famiglie, ai vostri amici e a tutti i vostri cari:
ciao Valeria
ciao Gianmarco
ciao Gian Mauro
ciao Tonino
Alessandro Croce