Recuperare l’identità di un territorio non è solo un esercizio culturale, ma un atto necessario per ricostruire il senso di appartenenza di una comunità. Oggi più che mai, in un mondo che tende all’omologazione e all’appiattimento culturale, è fondamentale riscoprire il valore dei saperi antichi, delle pratiche autentiche, delle materie prime locali. Da questa urgenza nasce un progetto inedito che intreccia biodiversità, memoria e sapori. Protagonista un ingrediente tanto inaspettato quanto ricco di significato simbolico: i germogli di foglie di faggio. Un intero menù ispirato a questo dono del bosco — declinato in pane, pizza, pasta, zuppe e persino cocktail, grazie al talento di creativi bartender locali — diventa il pretesto per riattivare una narrazione condivisa, profonda e coerente. Una cucina che non insegue le mode, ma restituisce dignità a un sapere sopito.
Ideatore e anima di questa iniziativa è Mario Iacomini, originario di Roccacerro, una frazione del comune di Tagliacozzo. Questo minuscolo borgo di montagna è in questi giorni sotto i riflettori grazie all’arrivo in quota di una delle tappe del Giro d’Italia, prevista per il 16 maggio.
“Il nostro è un processo che lavora sull’identità profonda del popolo roccatano”, spiega Iacomini mentre mi fa assaggiare alcune delle sue originali ricette ispirate alla faggeta di Marsia, “e di come questa identità sia stata cancellata, del venire meno della cultura nel suo complesso, di una società, di una collettività, in un presente che è assenza di ragioni e di rispetto.”
L’occasione del Giro d’Italia è diventata per lui un’opportunità per riportare l’attenzione non solo sull’evento sportivo, ma sul patrimonio naturalistico e agro-culturale della zona, rilanciando il valore autentico del territorio.
Al centro di questa visione c’è la faggeta di Marsia, una delle più grandi d’Europa, un luogo magico nel cuore dei Monti Simbruini. Si tratta di una “faggeta primordiale”, sviluppatasi dopo l’ultima glaciazione grazie alla straordinaria adattabilità del faggio. Iacomini su quelle montagne ci è cresciuto, figlio di una comunità di boscaioli e piccoli allevatori che con il bosco avevano un rapporto simbiotico. Naturale, quindi, partire da lì con una raccolta — simbolica e reale — di elementi preziosi come i germogli di faggio e l’aglio orsino. Doni della terra utilizzati per creare piatti che raccontano una storia antica con un linguaggio moderno e creativo: zuppe, creme, pani, pizze e perfino cocktail. Preparazioni che saranno proposte per pochi giorni e solo in questo periodo dell’anno — “non per l’arrivo del Giro, ma perché il germoglio di faggio esce adesso ed ha vita breve”, ci tengono a sottolineare Iacomini e i suoi soci Vincenzo Nuccitelli e Giuseppe Verrecchia — nei menù di Osteria Futuro, a Scurcola Marsicana.

Secondo Iacomini, “il bosco è un sistema tra i più evoluti in natura, che va raccontato e celebrato anche attraverso il suo aspetto agro-silvo-pastorale: il mondo della raccolta, del recupero, della cucina sostenibile. Questa non è solo una cornice culinaria, ma un atto con un valore identitario fortissimo. L’uso in cucina dei germogli di faggio, come di altri elementi raccolti nel bosco, si lega alla profonda identità del popolo roccatano e della comunità locale. Rappresenta un modo per riconnettersi a un passato glorioso e a una coerenza spesso dimenticata nella vita moderna.”
In un’epoca segnata dall’assenza di ragioni e di rispetto, lavorare su una cultura culinaria legata al bosco significa lavorare sull’identità più autentica di una collettività. Significa riscoprire e valorizzare una forma di appartenenza al territorio che si esprime anche attraverso i sapori della terra. I germogli di faggio, protagonisti di piatti che spaziano dalla zuppa alla pasta, dal pane alla pizza, diventano così non soltanto ingredienti, ma simboli tangibili di un legame ancestrale con la faggeta, custodi di una storia e di una cultura che meritano di essere raccontate e preservate.