Pescasseroli. Doppio cast a Tirana sul palcoscenico del Teatrit Kombëtar të Operas, Baletit dhe Ansamblit Popullor guidato dalla violinista Abigeila Voshtina, per i 120 anni della Madama Butterfly di Giacomo Puccini, evento di una stagione interamente dedicata al centenario del compositore.
Un debutto speciale, quello di Anna Pirozzi, che ha inteso lanciare la sfida ad un ruolo che ha nella minuziosità del pittoresco, nella leggerezza e nei preziosismi musicali, unitamente a temi carichi di simbolismi tragici, morte e maledizione, le caratteristiche del primo atto, con una scrittura orchestrale in continua ascesa, che eleva l’intensità emotiva dell’opera a livelli mai raggiunti, punteggiata dall’incedere delle arie verso un picco emotivo: il tipico inizio esitante, le frasi frammentate che precedono il crescendo verso una fiamma inestinguibile, in uno stato pathico che sa di amore e morte, la voce che ha da intraprendere una lunga ascesa, per librarsi e porre l’anima a nudo. Butterfly ha da trasformarsi da bambina a donna dinanzi agli occhi del pubblico, dimostrando di avere la capacità di autodeterminazione, quando rifiuta la proposta di matrimonio del principe Yamadori, fino a scegliere l’estremo sacrifizio per salvare il proprio onore, assicurando un futuro senza ombre al proprio figlio. La linea d’ombra, attraverso una felice intuizione registica di Manu Lalli, è stata costruita sull’attesa, la veglia, la musica dell’intermezzo.
Ci si arriva attraverso l’idea base della Lalli che accosta Butterfly, la casa, l’amore, alla natura, svelando un giardino lussureggiante, con piante, alberi e fiori naturali, finanche le lucciole, popolato dalle amiche geishe di Butterfly e da lei stessa, non lontane dalle fanciulle-fiore tra il Wagner del Parsifal e da quel Proust della versione ultima della Recherche, ove le fanciulle-fiore non compaiono, ma tutta la grande scena Charlus-Jupien che “apre” Sodoma e Gomorra fa riferimento al mistero della fecondazione dei fiori. Il ritorno della realtà e il ritorno dell’io, lascia dietro sé debolezze e sogni, come un sole che al crepuscolo definisce meglio i contorni, disegni vasti, ironici e dolenti, scolpente mediante una scrittura colma di strazio e di gelo, in orchestra, l’intera bellezza e potenza delle due forze che in un contrappunto costante guidano le vicende degli esseri: il dolore e l’oblio, che lasceranno campo alla morte, essendo venuto meno proprio il desiderio, che è parte e forma della potenza stessa della Natura, dell’energia eternamente rinnovantesi della rinascita. Le fanciulle-fiore sono bendate di nero, sono ormai cieche e non possono che “venir-meno” a causa dell’abbandono, dell’assenza, della cura, dello sposo. “Troppa luce è di fuor, e troppa primavera” intima Butterfly a Suzuki. Il finale pensato per il teatro all’aperto di Torre del Lago, con il coro disposto come nella tragedia greca, che giudica e denuncia, non solo violenza e sopraffazione contro le donne, contro diverse etnie, ma anche ogni focolaio di guerra, schiavitù e occupazione, guardando Pinkerton che vede come noi tutti lo Jigai, sotto una luce bianca, senza ombre, un gesto che tra le note riecheggia sin dall’inizio dell’opera, eliminando, così, ogni velo, ogni paravento, che fin lì aveva fatto procedere la regia per negazione, sottrazione, allusione, anticipo, rimando. L’orchestra del teatro di Tirana, in particolare riguardo la sezione degli archi, con fiati belli nei loro suoni a solo, ma senza preziosismi di amalgama in assieme, fa il doppio alla “casetta che obbedisce a bacchetta”, quando sul podio sale Jacopo Sipari di Pescasseroli, il quale è riuscito ad entrare in empatia con due Butterfly ben diverse per voce, interpretazione scenica, gestualità: Anna Pirozzi ed Eva Golemi. Soltanto chi ha fatto propria l’opera in ogni sua singola nota e indicazione può riuscire in un’impresa, che non è certo quella di adattarsi al volere e al sentire della due protagoniste, ma di portare entrambe a fondersi al proprio snodo interpretativo e comunicativo. Il soggetto di fuga a quattro voci che apre l’opera è risultato meccanismo ben oleato alla prima, giusta sintesi dell’intera opera, mentre nella replica ha preso un po’ la mano al direttore, quasi a schizzare quel fumetto che era nelle intenzioni del compositore nei due atti originali, poi rivisti, quella casa a soffietto funzionale, pratica, che Butterfly crede di controllare, ma dalla quale sarà poi sopraffatta completamente.
Anna Pirozzi, voce imponente, ampia e umbratile, nel I atto possiamo rimproverarle un solo neo, canta e ne fa sfoggio, spiegando al vento il suo splendido strumento, soverchiando l’orchestra e ipnotizzando anche il direttore al quale piace far “uscire” il suono della sua formazione, notazione, questa, che diviene poi un punto più che positivo e in ascesa nel secondo atto, passando per l’aria principe “Un bel dì vedremo!” con l’esplosione su di un morir, che esplode di desiderio e amore, fino al finale, quel “Tu piccolo Iddio”, sette tu, sette spade, come una Madonna, ultimo bagliore in un cielo di morte. Eva Golemi è la perfetta Butterfly di “Vogliatemi bene di un bene piccolino”, giocata nella leggerezza dei movimenti codificati della geisha che implora amore da Pinkerton, stando praticamente dietro il vetro della verità, poiché lei che ha sempre “venduto” amore, ora ne è vittima. La gioca per intero al contrario della Pirozzi con filati sugli acuti, assecondati in pianissimo dall’orchestra. Tra i due Pinkerton che sono stati posti a fianco delle due Butterfly, ovvero Klodjan Kaçani per il primo cast, che al debutto ha dimostrato qualche indecisione, alla sua sortita, e Zi Zhao Guo per il secondo, che è entrato bene, ma solo scenicamente, nel personaggio scanzonato e irridente dei costumi orientali, entrambi pur dotati di squillo e luminosità, non sono stati affatto convincenti per volume. Su entrambi i cast ha dominato in assoluto il baritono Armando Likaj il quale ha prestato le sue lodevoli risorse allo Sharpless della prima, uno stilista vocale dalla pronuncia scultorea, impotente portatore di pietas sin dalla sua apparizione, calandosi in un personaggio di estrema raffinatezza, mentre cambi di registro e non certo fluida emissione abbiamo riscontrato nell’altro console, Solen Alla. Due rare voci le Suzuki Ivana Hoxha e Valentina Pernozzoli, quest’ultima un talento campano, alla corte della Donata D’annunzio Lombardi, sono riuscite ad amalgamarsi con le voci e l’interpretazione delle due protagoniste. A completare il cast i due Goro, venuti fuori dal coro, quali Roel Liupa e per il secondo cast Andi Istrefi, ancora voci verdi, mentre due i nomi anche per lo zio Bonzo, Genc Vozga e Bledar Domi, bene in ruolo e ancora, il principe Yamadori Erlind Zeraliu, mentre Kate Pinkerton è stata Simona Kerafili, Erion Sheri, quale commissario imperiale, Ogert Islami l’ufficiale di registro e i due Dolore, Drin Pulashi, Etual Uruçi, quindi, la cugina, Elda Koçibelli, la Madre, Majlinda Laska, la Zia, Sofika Kola e Yakusidé, Metin Jupe. Standing ovation per tutti soprattutto dai celebrati critici in sala un Michele Dall’Ongaro, già premio Puccini, letteralmente incantato e Sabino Lenoci, direttore de’ L’Opera, intervenuto assieme al regista Davide Garattini. Nella replica celebrativa dei centoventi anni del successo pieno della Madama Butterfly il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli è stato insignito, unitamente alla sovrintendente Abigeila Voshtina del titolo di Ambasciatore di Puccini nel Mondo dal direttivo dell’ Associazione del festival Pucciniano. “Sono molto onorato di aver ricevuto – ha rivelato commosso il Maestro Sipari – questo prestigioso riconoscimento, insieme ad Abigeila Voshtina, perché sono nato nel teatro all’aperto di Torre del Lago, proprio con questa opera e stasera l’ho diretta con grandi voci e ad agosto torno al festival Puccini per i centoventi anni del volo di questa partitura. Ho da ringraziare il vicepresidente Paolo Spadaccini e il direttore generale Franco Moretti che da sempre mi sostengono e supportano in ogni mia proposta”.