Pescasseroli. Jessica Pratt sbarca all’Opera Nazionale di Tirana per il suo ruolo d’elezione. La prima il 12 dicembre, alle ore 19, con il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli e il secondo cast affidato alla bacchetta del Maestro Vaktang Gabidzashvili, alla testa dell’Orchestra e del coro del teatro, per la regia di Ada Gurra.
Dal 12 al 16 dicembre, il sipario del teatro dell’Opera Nazionale di Tirana, guidato dal sovrintendente Abigeila Voshtina e dal suo direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli, si solleverà sull’ultimo titolo dell’anno in cartellone: Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti. “Abbiamo voluto chiudere la stagione lirica – ha dichiarato il sovrintendente del TKOB Abigeila Voshtina – con uno dei titoli di maggior lustro dell’intero panorama melodrammatico. Un titolo che ci porta a riflettere sulla condizione di una donna vittima ed eroina, in un periodo di ‘vacatio’ come il Natale, quando il tempo storico si arresta, determinando una frattura dei vari livelli separati quotidianamente, per cui il passato convive con il presente.
L’incontro, lo scambio, la memoria, la riflessione diventano l’essenza di questa festa. Nel caso di Lucia, infatti, la compassione richiama echi solidali di manzoniana memoria, con quell’affidamento al divino mai esaurito. La passione, infatti, non è la cecità di lasciarsi prendere da un’urgenza, ma pathire, cioè vivere profondamente e dare spessore alla storia, ponendo un freno al frenetico correre, per riflettere su noi stessi, poiché l’uomo è libero e vive in quanto trascende, con il proprio pensiero, la stessa vita immediatamente vissuta. È un titolo che mancava da ben sedici anni dalla programmazione e che, tra l’altro, porrà accanto alla grandissima Jessica Pratt le giovani voci belcantiste del nostro teatro, in un fecondo confronto”.
“Molti sono gli attributi di qualità di questo capolavoro – ha continuato il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, il quale, nonostante un infortunio alla spalla, dividerà il podio con il suo assistente Vaktang Gabidzashvili – a partire dall’alata pronuncia melodica, senza dimenticare il ruolo narrativo che acquisisce l’orchestra, con una forza evocativa superiore a quanto non avvenisse in Bellini. Donizetti, infatti, individua felicemente il preciso rapporto tra idea tematica e timbro musicale, dall’ingresso iniziale di Lucia, affidato all’arpa, al drammatico sposalizio con gli interventi dei legni, con l’oboe che sottolinea l’incontro con il fratello Enrico, e su tutti il flauto che annuncia la morte nella scena della follia. Un legame bruciante tra disegno tematico e frase verbale che solo un’interprete come Jessica Pratt, Lucia d’elezione, che debutta sul nostro palcoscenico, riesce a evidenziare e impreziosire. Essa resta la prima premonizione dell’opera verdiana degli anni del trionfo, quando il potere evocativo del libretto diventerà mito”.
Lucia di Lammermoor – ha affermato la regista Ada Gurra – “ha una trama profondamente intrisa di emozioni incontrollabili e tensioni che vanno oltre quella che potrebbe sembrare una semplice tragedia romantica. È una storia di potere e sofferenza, in cui Lucia, una giovane donna intrappolata in un conflitto interno ed esterno, diventa simbolo della lotta tra le passioni umane e le forze selvagge che sono fuori dal suo controllo.
Quando cerchiamo di comprendere questa storia, dobbiamo esaminare tutto ciò che è legato al mondo di Lucia: un mondo distrutto dalla violenza, ma anche pervaso da una solitudine profonda e senza speranza. Lucia è un personaggio che, a prima vista, potrebbe sembrare una vittima innocente dei giochi di potere e delle trame degli altri. Ma, per me, non è una donna folle che agisce senza pensare, ma un individuo che è pieno di emozioni sane e umane.
Una ragazza che vive con tutte le sue passioni, una donna che sperimenta l’amore nel modo più profondo, come un’esperienza pura e potente. È pronta a vivere ogni emozione fino in fondo e per questo accetta il dolore e la passione senza alcun sostegno. In un mondo in cui tutti intorno a lei sono coinvolti in una corsa selvaggia per il potere e il controllo, Lucia è una figura che mostra una solitudine profonda, che non riesce più a sopportare. L’unica che sembra prendersi cura di lei è un fantasma che lei ravvisa, un simbolo di tristezza profonda che la sopraffà e la tiene isolata dalla realtà, che appare nel primo atto ed è parte della sua subconscia. Questo fantasma, di cui lei parla, non è semplicemente un’entità invisibile, ma un segno del suo dolore e della sua solitudine profonda.
È sola in un mondo pieno di violenza, incertezze e manipolazioni esterne. Ma ciò che è più importante è che tutti i personaggi di quest’opera sono, in un certo senso, ‘vissuti’. Sono distrutti dalle guerre e dalle conseguenze di un mondo violento. Lucia, Enrico ed Edgardo sono tre ‘bambini’ perduti, sconvolti dal dolore e dall’incertezza di un mondo che li ha lasciati senza alcuna possibilità di avere una vita felice. Sono pieni di dolore e disperazione, cercando di sopravvivere in un mondo oscuro e pericoloso. In questo senso, la storia di Lucia di Lammermoor è un riflesso della nostra realtà odierna, dove la distruzione emotiva e psicologica è una conseguenza del disfacimento della società e delle relazioni di potere. Come oggi, il desiderio eccessivo di potere porta a una deformazione dell’anima che può manifestarsi come causa della follia. La nostra storia è piena di individui che si sono arresi al potere. In questo senso, Lucia di Lammermoor rimane ancora attuale e contemporanea.”
“Sono molto felice di debuttare in questo splendido teatro – ha asserito il soprano anglo-australiano Jessica Pratt – popolato e sostenuto da figure d’eccezione, e di dar voce al personaggio che maggiormente amo. Una produzione della quale avevo già fatto parte a Tel Aviv, ma che qui si trasforma in altro, in particolare musicalmente, grazie ai dettagli e ai preziosismi della partitura, valorizzati dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli.”
Quando si pensa a Lucia, vengono in mente i suoi centottantanove anni: tanti per una fanciulla debole di nervi, dai lunghi capelli biondi, forse già incanutiti dallo stress di un uxoricidio. Insieme a Ofelia, è la più pallida, vacillante amatrice che il teatro musicale abbia saputo darci prima del nostro secolo, prima che l’impotenza d’amare diventasse mistero e terrore. Cosa ci sarà in queste visioni diafane del primo romanticismo, in queste larvali fanciulle che hanno fame di tomba? Sono il frutto di una idealizzazione, o, piuttosto, sofferenze derivate da una pretesa idealizzazione? Per Donizetti non è forse il caso di scomodare il simbolo, di pensare alla Beatrice dantesca, all’aura tellurica, mortifera, nella quale soltanto si manifestava la sua passata bellezza? Forse sono soltanto dolcissime proiezioni di voluttà inappagate, “ingenui deliri”.
Comunque, il pianto di Lucia, che verrà interpretata dalla star Jessica Pratt, la quale si alternerà con Ramona Tullumani e Ulpiana Aliaj, ha qualcosa di così sconsolato, ingenuo e assurdo a un tempo, che anche lo spettatore di oggi si sente quasi colpevole, e non trova parole per riscattarsi. Il riscatto, però, Lucia se lo prende da sé, offrendo uno spettacolo scenico e vocale di altissimo divismo.
Celebre ruolo per soprano d’agilità, o leggero o di coloratura, fornisce una lezione di virtuosismo acrobatico, ma non trascura la scansione del testo, la malinconia e l’insistente abbandono sugli accenti, che forniscono la biografia, i dati anagrafici di una vocalità altrimenti incorporea. Vocalità che, peraltro, si pone in contrasto con il realismo e la drammaticità degli altri ruoli: ecco Edgardo, a cui darà voce il tenore Raffaele Abete, passo decisivo verso l’affermazione di un canto tenorile ispirato alla virilità, nelle sue varianti e oscillazioni, da eroico a tenero, da appassionato a elegiaco, protagonista di un finale che sembra oscurare perfino il ricordo della divina.
Ed ecco il fratello di lei, Lord Enrico Ashton, ruolo affidato al baritono Armando Likaj e, per il secondo cast, a Artur Vera, una caratterizzazione anch’essa importante, perché compensa la forza selvaggia con l’eleganza degli ornamenti, a definire un personaggio che vuole esprimersi per intero a causa del rango. Fra loro, alcuni preludi strumentali di rara efficacia e concisione, un coro sempre sano, plastico, nell’ottusità come nella generosità, che sarà preparato da Dritan Lumshi. A completare il cast, Bledar Domi e Solen Alla che si alterneranno nel ruolo di Raimondo, Matias Xheli sarà Arturo, il Normanno di Erlind Zeraliu e Amelda Papa e Marina Kurti nel ruolo di Alisa.
I nodi drammatici dell’opera, le punte emergenti, sono il duetto soave dei due fidanzati segreti “Verranno a te sull’aure”, il violento scontro durante la festa nuziale, la scena della pazzia e il finale con il suicidio di Edgardo. Fra tutte, la pazzia della protagonista esercita il maggior fascino, segnato dalla lucida intensità di un delirio che commuove e sgomenta. Ricordi del passato, lirismo affettuoso, frammentismo sconnesso di immagini che non reggono all’incombere della tragedia, e la gara col flauto, dai riflessi dionisiaci, fino allo straniamento assoluto, sotto la spinta di un virtuosismo che ascolta se stesso, come in un gioco ormai slegato dalla realtà, sono altri esempi di come si possa unire un grosso impegno vocale, quasi a sé stante, con la più alta vocazione tragica.
Il tutto è preceduto dalla scena del contratto nuziale, in cui Edgardo lancia la famosa invettiva contro la donna amata, “Maledetto sia l’istante”, un momento che segna qualcosa di unico nella storia del melodramma, sia per la concitazione serrata e le sospensioni improvvise degli incalzanti episodi, sia per la successione perfetta degli assalti vocali, a cominciare dal sestetto “Chi mi frena in tal momento?”. La recitazione e la furia di Edgardo (che faranno scuola!) sono così violente, accorate, nevrotiche fino alla distruzione, da spingere Lucia alle conseguenze estreme. Ucciderà il marito, ma in questo confronto col suo grande amore è lei stessa già morta.