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Intensa cerimonia al Bellisario, il generale Fazio: il valore di stare con i giovani

Daniele Imperiale di Daniele Imperiale
7 Gennaio 2016
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 P_20160107_110425_pAvezzano. Si è svolta oggi nella mattinata odierna , presso il liceo artistico V.Bellisario, la cerimonia di consegna della bandiera donata all’istituto dall’Unuci, seguita dall’alzabandiera con la partecipazione di autorità civili e religiose, del sindaco della città di Avezzano, Di Pangrazio, il Generale Vero Fazio, il parroco Don Giuseppe in rappresentanza del Vescovo, la preside del liceo artistico Rossella Rodorigo, il professore Gianluca Tarquinio, la professoressa Angela Rubini, e il professore Ilio Leonio seguiti dall’intensa partecipazione del corpo docenti e degli studenti. La conferenza è stata aperta dal Generale Vero Fazio la cui frase iniziale, introdotta per esporre la sua gioia nel parlare e spiegare la storia tanto importante d’Italia, identificata da una  bandiera e un inno, a giovani studenti, fu: ” Quando mi trovo in compagnia della gioventù mi sembra di tornare indietro nel tempo, mi sento nuovamente giovane a mia volta.” Inizia così il grande cammino, partendo dalle origini, che ci ha fatto percorrere la storia della bandiera italiana, scoprendo così la verità su una realtà a volte molto travagliata. La definizione di bandiera , che è possibile trovare su un qualsiasi vocabolario è pressoché questa: è un drappo di forma rettangolare sorretto da un’asta. Vi sono una serie di colori che la caratterizzano, che possono essere seguiti anche da simboli; ma ciò non basta. La bandiera è una sintesi dei valori propri di una nazione; essa comprende il sacrificio del popolo per la sua patria, la gioia che una nazione può conferire attraverso le sue caratteristiche, l’orgoglio per il proprio paese e il rispetto e la stima dei grandi personaggi che hanno contribuito ad espandere la “grandezza morale” della nazione. Sin dai tempi antichi l’uomo ha sempre cercato di identificare la sua appartenenza ad un territorio attraverso simboli e simbologie. L’utilizzo della bandiera ha quindi radici molto più profonde di ciò che si possa pensare, dato che già le prime tribù erano solite utilizzare stemmi per distinguersi, passando così per le popolazioni celtiche fino ad arrivare all’impero romano; sembra sia stato lo stesso Romolo ad issare su di un bastone un mazzo di grano; ma  con l’arrivo del medioevo vi fu un radicale cambiamento, grazie all’uso della serigrafia che consentì di dipingere sulle bandiere, ottenendo disegni sempre più precisi e puliti. Giungendo al 600 la bandiera diviene simbolo dinastico, ossia rappresentava le famiglie che si occupavano di guidare il paese. Ma la vera svolta si ebbe nel 700, poiché a seguito delle varie rivoluzioni gli americani furono i primi a realizzare la loro bandiera, di forma rettangolare entro la quale, in alto a sinistra era presente un quadrato blu contenente 13 stelle che rappresentavano i 13 stati d’America; successivamente anche le altre nazioni, su esempio degli americani realizzarono il loro simbolo di rappresentanza,come possiamo osservare nell’opera di Delacroix “La libertà guida la Francia” dove la donna posta al centro dell’opera tiene in alto la bandiera tricolore francese. Analizzando la nostra bandiera non possiamo non chiederci da cosa sia dovuta la scelta dei tre colori. Dobbiamo ciò a due giovani rivoluzionari: Zamboni e De Rolandis, studenti di giurisprudenza che presi dagli ideali della rivoluzione francese decisero di organizzare una rivolta, durante la quali i partecipanti dovevano identificarsi con una coccarda costituita proprio dal verde, dal bianco e dal rosso. Tale sommossa  però non ebbe buon esito, in quanto non solo fu soppressa ma i due ragazzi furono processati. Questa coccarda fu quindi il primo segno concreto che diede inizio al nostro tricolore. Da questo evento storico caratterizzante, possiamo analizzare un altro dato, che in primo luogo può sembrare vano, ma che invece rivela un importante verità spesso travisata. ” Non siamo delle scimmie, noi non abbiamo copiato nulla dalla Francia.” Questa è la frase che svela tanti misteri sorti intorno alla presunta copia della bandiera francese, realizzata dagli italiani per la propria; ciò viene affermato da Zamboni e De Rolandis durante il processo, quando  giudice li accusò non solo di rifarsi agli ideali della rivoluzione francese, ma osservando la fattezza della coccarda furono incolpati di averne copiato anche il simbolo di rappresentanza. Sulla scelta dei colori permangono ancora diverse ipotesi: per quando riguarda il verde si pensa sia dovuto ad uno scritto di Zamboni nel quale egli afferma di avere speranza, è possiamo ben capire come ciò porti alla scelta di tale colore: verde speranza altri invece sostengono faccia riferimento alla massoneria il cui colore sembra essere appunto il verde. Mentre il rosso e il bianco sembra siano dovuti dagli stemmi rappresentanti la città di Bologna ed Asti alle quali appartenevano i due giovani rivoluzionari, i quali contenevano neanche loro grafica le medesime cromie. Dopo aver parlato e discusso cosi a lungo, chiarendo molti dubbi, il generale Vero Fazio ha lasciato la parola al musicologo e professore Gianluca Tarquinio il quale con grande chiarezza ci ha esposto e spiegato il verso significato dell’inno italiano, informando del fatto che in realtà la nostra nazione non ha affatto un inno ufficiale, che il “Canto degli italiani”, titolo del nostro inno, testo scritto da Mameli e musica da Novaro non è affatto il nostro simbolo, la nostra canzone poiché nessuno ancora decide di ufficializzarlo. È stato sostituito tante volte, con la “Marcia Reale” scritta da Giuseppe Gabetti, con “La leggenda del Piave”, l’inno fascista “Giovinezza” per poi tornare al nostro amato canto degli italiani che ha conquistato sin da subito il popolo, il quale lo ha fatto suo, della nazione. Canto che incoraggia gli italiani a non mollare mai e mai abbassare la testa; portare avanti con fierezza i valori che questo paese purtroppo troppe volte dimentica e lascia vendere facendo entrare a casa propria chi dell’amor di patria non ne fa cibo morale, ma soltanto oggetto di scambio per i propri interessi. Così si è conclusa la conferenza; lasciandoci sorpresi del fatto che in realtà  un qualcosa di cosi sentito e nostro non sia affatto nostro, ma con altrettanta fermezza nell’affermare che chi considera la nostra nazione una prostituta, dovrebbe ricredersi. Essere ospitali, crederci, crede negli altri e cercare confronto e conforto nelle diversità non significa essere “una donna dai facili costumi” o concedersi. Dovremmo invece prendere da ciò in grande insegnamento di vita: amare e credere, provare emozioni non è affatto essere deboli e la nostra nazione ci insegna ciò.
(Morena De Luca)

 

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