Avezzano. Ha scoperto di avere l’epatite C dopo 38 anni da una trasfusione di sangue infetta ma gli era stato negato l’indennizzo, chiesto al ministero della Salute, dal giudice di primo grado a causa della mancata tempestività del ricorso amministrativo. Non è stata dello stesso parere, però, la Corte d’Appello dell’Aquila che ha riformato la sentenza di primo grado a favore dell’uomo, originario della Valle Roveto, sostenendo che “non vi erano elementi per ritenere che il ricorrente possa avere avuto conoscenza del danno subito prima del 2004”, quando a seguito di analisi, gli era stata riscontrata l’irreversibilità della malattia. Questi i fatti: nel 1966 l’uomo si era sottoposto ad una trasfusione di sangue presso l’ospedale San Matteo di Pavia. Nel 1992, poi, in seguito ad un esame ecografico, gli erano stati riscontrati segni di epatopatia e per tale ragione gli era stata prescritta “un’eventuale biopsia” senza cure specifiche. ”Evidentemente – sostengono i giudici nella sentenza – le conoscenze scientifiche dell’epoca riguardante l’epatite C” (il virus è stato scoperto nel 1989) “avrebbero potuto diagnosticare solo la positività al virus, ma non lo stadio della malattia e per tanto i medici non avrebbero potuto accertare la conclamazione del virus effettuando la semplice ecografia epatobiliare”. Per questo motivo, la Corte, accogliendo le tesi del legale Silvia Tiburzi, ha riformato la sentenza di primo grado condannando il ministero della Salute al pagamento dell’indennizzo stabilito dalla legge 210 del 1992, degli arretrati, circa 70.000 euro e al rimborso delle spese di giustizia.