Avezzano. Per loro l’accusa era di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e secondo gli inquirenti le 18 persone marsicane finite nell’inchiesta organizzavano false assunzioni promettendo ai cittadini stranieri di restare in Italia. Nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup del Tribunale dell’Aquila Romano Gargarella, il procedimento della Procura dell’Aquila è stato però trasferito ad Avezzano per incompetenza territoriale. Sono passati otto mesi dalla conclusione delle indagini preliminari, in cui il sostituto David Mancini aveva chiesto il rinvio a giudizio per tutti i marsicani, arriva il colpo di scena. Ora è stata sollevata un’eccezione dai difensori Antonio Pascale, Roberto Verdecchia, Antonio Pascale, Franco Colucci, Andrea Tinarelli, Leonardo Casciere, Anselmo Del Fiacco, Mauro Ceci e Rita Barbara. A maggio le richieste di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere, erano state richieste nei confronti di Paolo Di Carlo, 62 anni, e Costantino Lucarelli (57) intermediari di Avezzano, Sonia Iacoboni (38), sempre di Avezzano, responsabile di un’agenzia di servizi che utilizzando deleghe notarili si occupava dei trasferimenti dei clandestini, Luciano Iacovitti (62) di Tagliacozzo, Kasem Abul (37) e Kar Chandar (31), originari del Bangladesh ma residenti ad Avezzano, che si occupavano di fornire i “clienti dall’estero”. Erano stati arrestati invece con l’accusa di favoreggiamento e per aver fatto false attestazioni di assunzione gli imprenditori avezzanesi Benedetto Di Maggio (38), Mario Chicarelli (72) e Antonello Ferreri (27). Minori misure cautelari erano toccate a Kamal Uddin Mollah Md di Roma, Roberto Tommaso, di Capistrello, Valentino Principe, di Collelongo, Paola Conti, di Avezzano, Raffaella Antonangeli, di Pescina, Ruggero Pierantozzi, di Roma, Germano Milano, di Avezzano, Galliano Bedetta di Ascoli Piceno, Anna Maria Monti di Fermo. Secondo le accuse, il gruppo permetteva il soggiorno di immigrati facendo risultare false occupazioni lavorative. In molti casi gli immigrati, soprattutto marocchini e del Nordafrica, arrivavano a pagare somme fino a 9.000 euro a imprenditori italiani.