Celano. È emerso “l’asservimento dell’indagato al sistema clientelare facente capo a Piccone e la sua indispensabilità per portare avanti alcune pratiche”.
E ancora: “Si tratta dunque di un modello che si è perpetuato nel tempo, ben oltre lo spettro temporale fotografato dalle indagini, frutto di una gestione dell’amministrazione personalistica e accentratrice, facente capo direttamente a Filippo Piccone e realizzatasi in concreto attraverso la collusione con gli altri importanti esponenti della maggioranza indagati, con i dirigenti comunali, con molti imprenditori locali. Il tutto in un clima omertoso e incline ad assecondare pienamente i desiderata di Piccone, da cui è scaturita una spirale di reati contro la PA, che si sono succeduti con ritmo incalzante nei pochi mesi di monitoraggio senza soluzione di continuità e senza un’effettiva dissociazione da parte di nessuno degli indagati”.
Sono alcuni passaggi che si leggono nelle motivazioni che il collegio del Riesame ha pubblicato in questi giorni, con cui è stata revocata la misura cautelare degli arresti domiciliari a Giampiero Attili, ex segretario comunale di Celano, finito insieme ad amministratori, dirigenti comunali e imprenditori, nell’inchiesta “Acqua fresca”, condotta dalla procura della Repubblica di Avezzano, che tratta reati contro la pubblica amministrazione.
Sulla posizione dell’ex segretario comunale Attili, che rimane sottoposto alla misura dell’interdizione per sei mesi, le motivazioni del Riesame parlano di gravi indizi di colpevolezza perché, in sostanza, si atteneva, se pur suo malgrado, alle indicazioni dell’amministrazione.
Ma ciò, per i giudici, non basta a giustificare l’arresto (Attili era finito ai domiciliari), in quanto “pur se nel Comune di Celano era diffusa la prassi di falsificare le delibere e le determinazioni, i ripetuti accessi dei carabinieri nel 2018 sembrano aver assicurato le fonti di prova necessarie, insieme alle intercettazioni, a sostenere le accuse”.
Documentazioni acquisite e intercettazioni, sempre secondo i giudici, sono quindi sufficienti a dimostrare le accuse, non c’è bisogno di una misura cautelare ai domiciliari.Infatti, pur se nel Comune di Celano era invalsa la prassi di falsificare le delibere e le determinazioni, i ripetuti accessi dei Carabinieri nel 2018 sembrano aver assicurato le fonti di prova necessarie, unitamente alle intercettazioni, a sostenere le accuse. Occorre poi considerare il rilevante tempo trascorso tra i fatti oggetto di contestazione e l’applicazione delle misure cautelari. Sul punto la motivazione dell’ordinanza impugnata appare elusiva, non si comprende per quale ragione documenti fino a ieri nella piena disponibilità degli indagati debbano essere soppressi o falsificati proprio oggi, dato che lo svolgimento delle indagini era noto a tutti gli indagati, come emerge dalle intercettazioni. Anzi, a ben vedere, spesso sono stati proprio i falsi ad attirare l’attenzione degli inquirenti conducendoli sulla strada per individuare altri reati nella gestione della macchina amministrativa. E ciò essenzialmente perché delle falsificazioni rimangono pur sempre tracce documentali, che non si è riusciti a sopprimere neanche tra un accesso e l’altro degli operanti di PG nel palazzo comunale. Tanto premesso, ritiene invece questo Tribunale pienamente sussistenti le esigenze cautelari connesse al pericolo attuale e concreto di reiterazione di reati della stessa specie.
Per quanto riguarda Attili, il Riesame alleggerisce in parte la sua posizione affermando che “occorre valutarla in termini meno severi rispetto ad altri dipendenti pubblici, perché egli non si è reso protagonista di turbative in incanti pubblici e, dunque, di reati idonei a mettere in pericolo la concorrenza e il patrimonio pubblico”.
Per tali ragioni il collegio ha deciso di applicare nei suoi confronti solo la misura interdittiva per sei mesi e non i domiciliari.