Celano. “Nel Comune di Celano era invalsa la prassi di falsificare le delibere e le determinazioni”. “Delle falsificazioni rimangono pur sempre tracce documentali, che non si è riusciti a sopprimere neanche tra un accesso e un altro degli operanti di polizia giudiziaria all’interno del Comune di Celano”.
E ancora: “Devono ritenersi talmente radicate le condotte illecite dei sopra citati essenziali gangli politici e amministrativi del comune celanese da essere insuscettibili di interruzioni neanche a fronte degli interventi della polizia giudiziaria e della consapevolezza di essere sottoposti ad indagine. Proprio Piccone sembra uno dei più consapevoli della situazione, tanto che nella riunione del 29.11.2018 informa Attili, Aratari e Caferra della possibilità di essere intercettati”.
E poi: “Si tratta dunque di un modello che si è perpetrato nel tempo, ben oltre lo spettro temporale fotografato dalle indagini, frutto della gestione dell’amministrazione personalistica e accentratrice, facente capo direttamente a Filippo Piccone e realizzatasi in concreto attraverso la collusione con gli altri importanti esponenti della maggioranza indagati, con i dirigenti comunali, con i molti imprenditori locali. Il tutto in un clima incline ad assecondare pienamente i ‘desiderata’ di Piccone dando luogo a una spirale di reati contro la pubblica amministrazione che si sono succeduti con ritmo incalzante, nei pochi mesi di monitoraggio”.
Sono alcuni dei punti delle motivazioni che hanno portato il Tribunale del Riesame dell’Aquila a disporre il divieto di dimora a Celano per Filippo Piccone, vicesindaco di Celano, dimissionario.
C’è il rischio che possano commettere di nuovo gli stessi reati. E quindi sia lui, sia Settimio Santilli, sindaco ancora formalmente in carica, rimangono “esiliati” da Celano.
I giudici del Riesame sulla posizione di Piccone stigmatizzano anche il fatto che riceva nel suo ufficio, quello aperto ai tempi in cui era senatore della Repubblica, in via Cittadelle a Celano, i dirigenti comunali.
Per una parte delle accuse, il tribunale dell’Aquila ha stabilito che non doveva essere emessa alcuna misura restrittiva, ma per la maggior parte dei capi a loro carico ha confermato le accuse.
Smontata l’accusa di induzione indebita
Per quanto riguarda l’accusa a Piccone di induzione indebita a dare o promettere utilità nei confronti di una stagista, secondo il Riesame, il reato non emergerebbe “essendo stata la donna a cercare Piccone”, e non viceversa, “in corrispondenza delle scadenze contrattuali”.
Peraltro, sempre secondo i giudici del Riesame, negli episodi contestati Piccone prende subito l’impegno di sistemare la situazione contrattuale della stagista e solo dopo cerca degli approcci sessuali con la donna.
Quindi mancherebbe l’elemento dell’induzione da parte di Piccone. Per il Riesame, anche per quanto riguarda la causa di istigazione alla corruzione, si tratterebbe piuttosto di “un’offerta futura di aiuto priva tuttavia di quei caratteri di attualità e concretezza nello scambio di favori necessari per configurare il reato ipotizzato”.
I punti caduti con il Riesame
È esclusa l’accusa di peculato in relazione alla vicenda della consulenza per i lavori di demolizione della scuola Tommaso da Celano. Non emergerebbero indizi idonei a sostenere l’accusa di turbativa relativa alla procedura per i lavori alla stessa scuola.
Così come non sussistono i gravi indizi per i reati di turbativa riguardo alla manutenzione dei campi sportivi. Salta anche il capo d’accusa di turbativa per la progettazione di una scuola, di un parco e di un parcheggio nelle zone Aia, Don Minozzi e Dietro Castello.
Più solide, invece, secondo il Tribunale del riesame, le imputazioni per tutti gli altri capi d’accusa, tanto che i giudici, nonostante le dimissioni irrevocabili dell’indagato, temono che ci possa essere una reiterazione del reato.
La posizione del “dominus” di Celano
Piccone nelle intercettazioni definiva i celanesi “quadrupedi”: “Non ho paura. Me li sbatto!”
Piccone, spiegano dal Riesame, “non si è fermato neanche davanti ai ripetuti accessi della polizia giudiziaria negli uffici comunali e ha continuato a ordinare falsificazioni e a gestire in piena autonomia gare pubbliche. Ha dimostrato di non sapersi allontanare realmente dal sistema di potere che aveva creato e che ruotava attorno a lui. Inoltre ha dimostrato”, sempre stando alle motivazioni, “di svolgere il ruolo di dominus dell’amministrazione pur non essendo sindaco né assessore e ciò perché la sua rete clientelare di contatti e influenze è talmente vasta da consentirgli di dirigere a suo piacimento gli uffici pur non avendone formalmente titolo”.
La posizione di Settimio Santilli
Anche per quanto riguarda il sindaco Santilli, attualmente sospeso ma ancora formalmente in carica, per quattro capi d’accusa i giudici del Riesame hanno evidenziato che non sono stati messi in luce “elementi concreti da cui desumere il ruolo concorsuale svolto da Santilli”.
In alcuni casi gli indizi in relazione alla partecipazione del sindaco “non possono qualificarsi in termini di gravità”. Sussistono invece i gravi indizi di colpevolezza in relazione a tutti gli altri “capi di imputazione provvisoria”.
Secondo il Riesame, la misura che prevede il divieto di dimora a Celano del sindaco “è idonea a contenere il rischio di reiterazione di reati della stessa specie perché impone l’allontanamento dell’indagato dal contesto amministrativo e sociale in cui sono maturati tutti i reati contestati”.
Piccone e Santilli sono entrambi difesi dall’avvocato Antonio Milo.