Avezzano. Il vescovo dei Marsi Giovanni Massaro lascia un messaggio in occasione della Pasqua imminente.
”Cristo nostra gioia è risorto”. È questo il saluto pasquale caro all’Oriente cristiano; è l’annuncio della nostra salvezza; è la professione della nostra fede.
In realtà, segnati però, dalle nostre amarezze e dalle paure, rischiamo di tenere il fuoco della più bella notizia sotto la cenere di una profonda tristezza.
Anche i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35) sono delusi e adirati. Hanno assistito al processo, all’agonia, alla morte e alla sepoltura di Gesù. La croce per loro è uno scandalo, è la fine di tutti i loro sogni. Non riescono ad attribuire un significato alla morte di Gesù. Chi sono questi due discepoli? Conosciamo solo il nome di uno dei due: Cleopa.
Da tempo è stata presentata in qualche pubblicazione un’ipotesi che non è da disprezzare secondo la quale i due discepoli sarebbero una coppia: un uomo e una donna. Sta di fatto che dobbiamo comunque arrenderci a non conoscere il nome di chi accompagna Cleopa: il testo, semplicemente, non lo dice. Non lo dice perché il secondo discepolo potrebbe essere tranquillamente ciascuno di noi.
Come i discepoli di Emmaus anche noi siamo in cammino, chiamati a confessare in primo luogo i nostri peccati, le nostre delusioni, le nostre amarezze, le nostre nostalgie. Anche noi nel cammino della vita abbiamo sperimentato e sperimentiamo gli stessi sentimenti dei discepoli di Emmaus: l’incomprensibilità della perdita di una persona cara o di una malattia, la delusione provata da una persona amica, il tradimento di un familiare, la paura di una guerra che si sta allargando sempre più, la pesantezza di una situazione lavorativa, le incomprensioni nelle relazioni, la fatica nel perdonare e nell’accogliere il perdono, la perdita di speranza di fronte al futuro, la delusione per un Chiesa dalla quale ci si aspettava di più.
Come possiamo vivere la Pasqua immersi nelle nostre delusioni e amarezze? Non è forse vero che anche noi, come i discepoli di Emmaus, rischiamo di rimanere prigionieri delle nostre tristezze?
«Ma Gesù disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”» (v. 17). È una domanda che esprime interesse, attenzione e cura. Gesù si affianca ai due discepoli senza imporre il proprio passo, senza rimproverarli. Semplicemente ascolta prendendo sul serio le loro delusioni e cercando di capire che cosa c’è dentro. E poi «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (v. 27). Ciò che consente di far tornare ad ardere il cuore dei discepoli è la parola di Dio che riattiva la familiarità con lui.
Ma gli occhi dei discepoli si aprirono e lo riconobbero solo dopo che Gesù prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo dona (v. 30).
Sono fermamente convinto che occorra crescere nella fede per esperienza prima ancora che per conoscenza. Ciò che la Chiesa sa, è già sempre presente dentro ciò che la Chiesa fa. Da qui l’importanza di una autentica pratica liturgica. È nell’ascolto della parola di Dio e nei sacramenti, in particolare l’eucaristia, che noi sperimentiamo che Gesù cammina con noi. Le delusioni ci saranno sempre, ma non ci getteranno nello sconforto perché Cristo risorto rimane accanto a noi. Il bambino si addormenta sereno quando sa che la mamma è vicina a lui. Ciò che da pace al bambino è la certezza che la mamma è rimasta lì accanto al suo bambino.
E allora, come i discepoli di Emmaus, non ci resta che gridare: «Resta con noi, Signore!», e sarà Pasqua anche per noi. Tanti cari auguri!” conclude.