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Il pesce di Giona e i serpenti della Dea Angitia: la cristianizzazione della Marsica, tra nuovi e antichi dèi

Francesco Proia di Francesco Proia
24 Novembre 2025
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Luco dei Marsi. La storia di Giona, che viene inghiottito da un pesce, ha sempre affascinato l’immaginario collettivo. Ma c’è un aspetto secondario di questo racconto biblico, che in realtà così secondario non è, soprattutto per noi Marsi, figli della Dea Angitia.

Nel racconto Dio ordina a Giona di recarsi a Ninive, la capitale del grande impero assiro, dove Giona avrebbe dovuto ordinare ai Niniviti di pentirsi, in modo da sfuggire al giudizio di Dio. Giona, un bigotto convinto, non desiderava vedere Ninive pentirsi, ma anzi voleva che la città bruciasse come già accaduto a Sodoma. E così, anziché obbedire a Dio, salpò per il mare. Ma durante il viaggio Dio gli manda una tempesta, e quando Giona viene finisce in acqua viene inghiottito da un pesce. Trascorre tre giorni nel ventre del pesce, prima di essere vomitato a riva, dove finalmente si reca a Ninive e chiede il loro pentimento. E qui c’è il punto saliente della storia, almeno per quanto ci interessa: gli abitanti di Ninive, inspiegabilmente, ascoltarono Giona, e si pentirono dei loro peccati davanti a Dio. A questo punto una domanda sorge spontanea, come mai la grande città di Ninive avrebbe dovuto ascoltare questo profeta ebreo, a loro completamente sconosciuto?
La risposta è nella parte più celebre e tramandata del racconto biblico: Giona viene inghiottito e poi risputato da un grande pesce. A prima vista questo sembrerebbe un dettaglio prettamente narrativo, ma come ricordato da vari studiosi la scelta di un pesce è tutt’altro che casuale. Gli Assiri, a cui era indirizzato il messaggio di Dio tramite Giona, veneravano divinità che spesso avevano iconografie ittiomorfe, ovvero dèi mezzi uomini e mezzi pesci, ma anche figure acquatiche legate alla sapienza, alla fertilità e al destino. Il Dio d’Israele, pertanto, si serve di un simbolo familiare agli Assiri, già presente nel loro pantheon religioso, per trasformarlo in un segno della sua potenza. In altre parole, il racconto “parla la stessa lingua” religiosa del popolo destinatario, ma ne ribalta il significato. Il pesce degli Assiri diventa il pesce che obbedisce a YHWH.
Qualcosa di molto simile deve essere accaduto anche nella Marsica, nel caso della dea italica Angizia e del successivo culto cristiano di San Domenico a Cocullo. Angizia era la dea dei serpenti, delle erbe, delle guarigioni e dei veleni. Una divinità locale potentissima, venerata in buona parte del centro Italia, e profondamente radicata nella cultura dei Marsi. Il serpente non era solo un animale, ma anche un codice religioso, meglio ancora un simbolo identitario. E il cristianesimo, nel momento in cui iniziò a diffondersi sul territorio, attuò una scelta simile: si guardò bene dal cancellare il simbolo venerato dai Marsi, dagli italici, ma scelse di riutilizzarlo, inglobandolo in una nuova narrazione. E infatti il santo cristiano, San Domenico, assunse proprio le funzioni che appartenevano ad Angizia, come proteggere dai morsi dei serpenti, guarire dal dolore, e dominare ciò che ci spaventa. Tutti aspetti che vengono esaltati nella festa dei serpari, che ancora oggi conserva intatto il nucleo rituale del passato. Il serpente di Angizia diventa il serpente di San Domenico, ma ora obbedisce al Dio cristiano.
E qui va fatta un’ulteriore precisazione, molto importante, ipotizzata per la prima volta dall’antropologa culturale Manuela Sirikith Ciaccia, che risponde a un’altra domanda: come mai il culto non rimase a Luco dei Marsi, ma venne spostato a Cocullo ? L’antropologa celanese ha fornito una valida spiegazione, sostenendo che all’epoca era una prassi abbastanza consolidata spostare il culto ai confini più lontani del territorio d’appartenenza, e infatti Cocullo è al confine tra Marsi e Peligni, in modo da evitare nella popolazione un rigetto di questo “trapianto religioso”.
Insomma in entrambi i casi, sia per il pesce di Giona che per i serpenti di Cocullo, il meccanismo è lo stesso: il nuovo culto non si impone sulla scena, non distrugge l’immaginario religioso preesistente, bensì lo riusa. Prende ciò che il popolo già conosce bene, che teme o venera, e lo trasforma in un veicolo per annunciare un nuovo messaggio. In questo modo si scongiura una rottura e si mantiene una certa continuità, ovviamente reinterpretata, e anche se il significato cambia, quantomeno il simbolo resta. Come il pesce era la porta d’ingresso per parlare agli Assiri, così il serpente è stato la porta d’ingresso per cristianizzare la Marsica.
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