Il panettone, come la pizza, è un simbolo del made-in-Italy apprezzato in tutto il mondo. Come ogni anno, in questo periodo, torna sotto i riflettori e fioccano ovunque articoli, classifiche, recensioni sui migliori rappresentanti della categoria. La nostra idea, in partenza, era stata quella di provare a stilare una piccola guida sui panettoni artigianali abruzzesi. Alla fine, insieme ad un gruppo di esperti, ci siamo ritrovati a discutere di tradizione e creatività in quel bellissimo spazio espositivo che è MeFuGo, il Mercato Futuristico del Gusto nato dentro l’ex palaghiaccio di Avezzano, dove la nota ditta Sabatini Beverage&Food sta investendo per dare anche alla Marsica un luogo dove il cibo e le bevande non siano solo merce, ma riacquistino, in varie forme, il proprio valore culturale.
La guida non riusciremo a farla, per due motivi principali: la difficoltà a reperire prodotti realmente di livello nella nostra regione (se esiste una “scuola” campana del panettone, lo stesso non può dirsi per l’Abruzzo e in più i nostri pasticceri, sul fronte della comunicazione, non sono certo “proattivi” come i colleghi di altre zone) e il Black Friday, che ha mandato in tilt i corrieri causando ritardi e annullamenti di consegne. Ecco, allora, che da una difficoltà è nata una bellissima esperienza, più ricca e coinvolgente di quanto potesse prevedere il piano iniziale.
In fondo all’articolo chi vuole può guardare un estratto video dei passaggi più significativi.
Intanto cosa abbiamo fatto? Dopo aver diviso i panettoni ricevuti in categorie omogenee – classico, cioccolato e creativo – abbiamo degustato alla cieca circa 20 campioni (quelli arrivati in tempo, di cui potete vedere le foto dentro l’articolo e link a sito o pagina Facebook alla fine), analizzandone le caratteristiche sensoriali e discutendone le qualità. L’idea iniziale, un po’ banale, di fare una graduatoria, ha lasciato subito spazio ad una più approfondita e coinvolgente discussione. Tanti gli spunti emersi, che è difficile sintetizzare in poche righe.
Le questioni che hanno acceso di più il dibattito sono state: ma il “vero” panettone è solo quello che si rifà alla ricetta classica? è giusto chiamare panettoni quelle infinite varianti che, giocando su accostamenti di ingredienti e sapori creativi, del dolce originale conservano a malapena la forma? e come far capire al consumatore la differenza tra prodotti industriali e prodotti artigianali?
Per capirlo, partiamo dalla definizione. A stabilirla è un Decreto Ministeriale che recita:<<[…] la denominazione «panettone» è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico, di struttura soffice ad alveolatura allungata e aroma tipico di lievitazione a pasta acida. L’impasto del panettone deve contenere i seguenti ingredienti: farina di frumento; zucchero; uova di gallina di categoria «A» o tuorlo d’uovo, o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo, burro, in quantità non inferiore al 16%, uvetta e scorze di agrumi canditi, in quantità non inferiore al 20%, lievito naturale costituito da pasta acida, sale. E’ consentito aggiungere solo uno o più tra questi ingredienti: latte e derivati; miele, malto, burro di cacao, zuccheri, lievito fino al limite dell’1%, aromi naturali, emulsionanti, conservanti (acido sorbico e sorbato di potassio)>>.
Qui si capisce subito una cosa: la base degli ingredienti è la stessa, sia per gli artigiani che per le grandi industrie. I primi fanno ovviamente la differenza selezionando quelli di maggior qualità, a partire dalle farine (che incidono praticamente zero sul prezzo finale ma possono cambiare di molto l’effetto finale) e dai lieviti (che sono rigorosamente del tipo lievito madre a pasta acida, meno “prevedibili” ma infinitamente più espressivi in termini di aromi e sapori), passando per i canditi, le uvette australiane, le bacche di vaniglia del Madagascar, il burro nordeuropeo, le uova da produzioni certificate, etc…
Anche dal punto di vista della tecnica di lavorazione non ci sono grandi scostamenti. C’è l’impasto a partire dal lievito (che anche per i migliori marchi dell’industria è spesso di tipo naturale), una doppia lievitazione, la cottura, il riposo “a testa in giù”, il raffreddamento. La differenza sostanziale è data dai tempi, che nell’industria sono “strizzati” al limite per consentire la produzione seriale in grandi numeri, e dal monitoraggio “informatizzato” delle varie fasi (temperature, umidità, acidità, etc), che resta invece affidato alla sensibilità ed esperienza del maestro pasticcere nel caso delle produzioni artigianali.
Economie di scala e costo degli ingredienti a parte, bisogna poi ricordare che nel caso dei grandi marchi il prezzo finale lo fa la grande distribuzione organizzata, che spesso usa proprio i panettoni come prodotto civetta per attirare più clienti, magari vendendolo sotto costo. Il bravo pasticcere, specie se affermato, ha giustamente ogni diritto di vedere remunerata la propria competenza e creatività, ed ecco spiegato come mai può esserci un rapporto anche di 10 a 1 tra i prezzi in circolazione. Questo dovrebbe spiegare al consumatore come si possa pagare un panettone 3 euro o 30 euro.
Un paragrafo a parte merita la conservazione. L’industria deve puntare a una vita sullo scaffale di qualche mese, mentre l’élite dei pasticcieri lavora sul fresco, con date di scadenza al massimo a 2 mesi. Nel primo caso si utilizzano i mono-digliceridi, conservanti naturali del tutto consentiti dalla legge e che quindi non vanno condannati. Ma è certo che a livello di profumi, aromi e sapore un panettone senza conservanti sfornato pochi giorni prima è tutta un’altra cosa!
Sulla questione classicità versus creatività si apre un mondo. Alla fine, il concetto più interessante (e che meriterebbe un articolo a parte) è quello del “panettone di terroir”.
“Terroir” è una parola francese molto usata nel mondo del vino. Non indica, come semplicemente si potrebbe intendere, un territorio e il terreno che lo contraddistingue. Con essa si intende un concetto più complesso, che a partire dalle caratteristiche chimico-fisiche della terra su cui cresce un vitigno, abbraccia poi anche le connotazioni climatiche che insistono su quella porzione di territorio, grande o piccola che sia, e infine, da ultimo, anche l’aspetto umano, inteso come storia, cultura, tradizione. Ecco, nel mondo del panettone sta succedendo la stessa cosa: i maestri della lievitazione si stanno sempre più guardando intorno, (ri)pescando ingredienti tipici delle loro zone di adozione, lavorandoli in maniera rispettosa e cercando di raccontare attraverso questo fantastico dolce natalizio la storia e la cultura di un territorio. In tal senso, ben venga ed evviva la creatività!
Hanno partecipato:
- Ernesto Di Renzo, docente di Antropologia del Gusto presso l’Università di Tor Vergata
- Franco Franciosi, chef del ristorante Mammaròssa di Avezzano
- Daniele Moroni, un passato nel mondo della pasticceria e poi fondatore della testata enogastronomica online Vinodabere.it
- Sandro Ferretti, pasticcere presidente di Qualità Abruzzo
- Giuseppe Santellocco, titolare del laboratorio/bar Tiratisù di Avezzano
- Franco Santini, critico enogastronomico amministratore del gruppo Live Communication
- Fabrizio Sabatini, padrone di casa, in rappresentanza di MeFuGo – Mercato Futuristico del Gusto
- Luca Frattesi, in rappresentanza della categoria di consumatori appassionati
Un ringraziamento di cuore a tutti coloro che ci hanno fatto pervenire in tempo i loro splendidi panettoni:
- Ferretti – Specialisti del Dessert
- Cantafavole della Bigoncia
- Dolcemente Bakery Cafè
- Panificio Di Michele dal 1968
- Ricci Fornai Italiani 1967
- Merlini