E’ uscito di casa intorno alle 11.
Con un ginocchio bloccato è andato a suonare al campanello di Aleksander Avdeev e ha atteso sotto casa sua, al numero 10 di via della Conciliazione.
Si è presentato in questo modo a casa dell’ambasciatore russo presso la Santa Sede. Gli ha chiesto di parlare con Putin per fermare i bombardamenti.
C’è ancora qualcuno, a differenza dei governanti Usa e Ue che non hanno trovato nulla di meglio da fare che inviare altre armi, convinto che il dialogo possa fermare le bombe.
Questo qualcuno è papa Francesco.
D’altronde qualcuno lo ha detto chiaramente ai settantadue discepoli che aveva appena scelto.
“In qualunque casa entriate, dite prima: Pace a questa casa! Se vi è lì un figlio di pace, la vostra pace riposerà su di lui, se no, ritornerà a voi”. Lc 10, 1-12
E’ molto chiaro Gesù.
Quando un cristiano va a bussare in una casa, sia quella di un ambasciatore, sia quella di un governante, non deve mettersi a predicare, ma deve dire una cosa sola: “pace“.
Deve dire “pace a questa casa!”, pace a questa terra.
Bergoglio questo ha fatto e, ciò è sicuro, continuerà a farlo, finché i missili non si fermeranno veramente. E’ ingenuo, ma ha la fede necessaria per esserlo e per sperare ancora.
“Andate! Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, non portate né borsa, né sacco, né sandali e lungo il cammino non fermatevi a salutare nessuno”. Lc 10, 3-4
Papa Francesco è salito sulla Cinquecento e, come un agnello, ha raggiunto la casa di Aleksander Avdeev, senza fermarsi a salutare i fedeli, senza portare niente con sé, claudicante, ma determinato.
Il mondo invece si è arresto alla guerra, ha smesso di provarci ancora. Non si è arreso a Putin, ma alla guerra sì.