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Il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli dirige Tosca a Tirana

Alessandra Ciciotti di Alessandra Ciciotti
5 Novembre 2024
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Pescasseroli. Dal 6 al 10 di novembre il massimo capolavoro di Giacomo Puccini sarà in scena sul palcoscenico dell’Opera di Tirana per la regia di Manu Lalli e la scenografia del Festival Puccini. Sul podio, tra le stelle della lirica Krassimira Stoyanova, Saimir Pirgu, Carlos Almaguer, Eva Golemi e Amadi Lagha, il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, per l’ultimo segmento delle celebrazioni del centenario della scomparsa del genio toscano

Sua Maestà Tosca, le due grandi vittime del suo fascino che si esprimono soltanto quando la diva le lascia cantare, un suo spasimante, il barone Scarpia e il suo amante , Mario Cavaradossi, circa sessanta leitmotive, ma uno su tutti, lo Scarpia Akkorde, usati da Giacomo Puccini con ispirata spregiudicatezza, tranne quando istruisce quel “recitar cantando” di tale trascinante vibrazione da convincere all’ascolto ogni uditorio, schizzando quell’avvelenato erotismo di Tosca, la dannata sciagura che è il vivere, che non sarà più segreta per nessuno, chiuderà dal 6 al 10 di novembre, sul palcoscenico del teatro dell’Opera di Tirana, l’ultimo segmento che andrà a segnare la conclusione della ferace collaborazione con la Fondazione Puccini, e la massima istituzione musicale d’Albania, in occasione del centenario della scomparsa del genio toscano. “Una produzione, questa – ha dichiarato la sovrintendente Abigeila Voshtina –  che ha richiesto una combinazione di fede condivisa sia artistica che umana, oltre ad una riflessione creativa sulla scelta dei titoli, di questa speciale sezione della stagione lirica che abbiamo nominato “Echi Pucciniani”, con cui abbiamo tentato  di catturare l’essenza dell’influenza del compositore sulla musica a venire, impreziosito dalla collaborazione con il Teatro di Torre del Lago, che ha ampliato la nostra comunità musicale e artistica, portando tutti noi a riflettere su eredità, gratitudine e sul  potere eterno della musica”. Due cast stellari per questa produzione, che si alterneranno 6 e 7 e 8 e 10 novembre, alle ore 19, più uno speciale per il matinée di sabato 9, previsto per le ore 12, a cominciare dalla coppia principe composta dal soprano bulgaro Krassimira Stoyanova nel ruolo del titolo e dal tenore albanese Saimir Pirgu, che darà voce al Cavaliere Mario Cavaradossi, che torna a cantare in patria dopo ben tredici anni, con loro un Barone Scarpia d’elezione, il baritono mexicano Carlos Almaguer, che canterà in tutte le repliche. L’altra coppia d’assi, sarà composta da Eva Golemi e Amadi Lagha, mentre per il 9, vedremo in scena nella sezione opera per le famiglie Dorina Selimaj e Denis Skura. I vari cast saranno completati da Bledar Domi, che vestirà i panni di Cesare Angelotti, Artur Vera schizzerà la figura del Sagrestano, Spoletta sarà interpretato da Erlind Zeraliu e Matias Xheli, Sciarrone sarà Genc Vozga, un carceriere Erion Sheri e il pastorello avrà la voce di Rovena Xhelili. Alla testa dell’orchestra e delle masse corali del teatro, preparate da Dritan Lumshi e Sonila Baboçi, ci sarà lo stesso direttore artistico dell’opera Jacopo Sipari di Pescasseroli, bacchetta pucciniana per eccellenza “Dal primo momento che ho iniziato a dirigere Puccini – ha rivelato il Maestro – ho sempre avuto una attrazione quasi selvaggia per questo capolavoro, forse perché, fondamentalmente, tutti viviamo una forte attrazione per il male e io, come tutti, non ne sono certo immune. Non è un caso che uno dei film per ragazzi più celebri degli ultimi anni si intitola “Cattivissimo me”. il gioco: Scarpia e Tosca, il Male e il Bene personificati. Scarpia è l’icona vivente della totale indifferenza di fronte al dolore. E’ marmoreo e vuole solamente appagare le sue laide voglie, costi quel che costi! Lei non è da meno ma è una grande cantante e il ruolo che interpreta non può abbandonarla mai: solo davanti a tanta sofferenza Tosca torna bambina, Donna, simbolo della parte bella dell’animo umano. E come tutti gli uomini dinanzi all’estremo dolore compiono il male che nel caso di Tosca diventa anche Teatro: Scarpia, gridando al soccorso, muore in un ultimo spasimo lasciando ancora una volta alla “diva” l’ultima battuta “E avanti a lui tremava tutta Roma!” L’opera poteva finire qua. Tutto è svelato: Cavaradossi non può salvarsi e Tosca dovrà morire pure lei”. Sabato per le famiglie sarà tutto più semplice e i bambini che vorranno incontrare questo meraviglioso genere, saranno “iniziati” dal giovane direttore georgiano, ma triestino d’adozione, Vakhtang Gabidzashvili. Regia classica perManu Lalli giocata sull’emozione dei colori: “Tre atti, tre personaggi, tre colorazioni, la mia idea di regia – ha svelato la regista – Il rosso cardinale per la rappresentazione dello sfarzo del potere della chiesa, il nero per il potere aggressivo della Polizia borbonica di Roma, il bianco a testimonianza del potere abbacinante della morte. Tutto questo condito di personaggi che sono divenuti nel tempo quasi le icone rappresentative di tutta l’opera. Personaggi immensi, totali, senza incertezze, senza ripensamenti, totalmente avvinti dal potere che domina i loro caratteri. La crudeltà e il sadismo di Scarpia, la travolgente passione e la gelosia di Tosca, l’irrefrenabile desiderio di giustizia e lo spirito indomito di Cavaradossi”.

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L’opera, rappresentata per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, è il frutto di una fortunata intersezione tra la ricerca di uno stile musicale di grande impatto espressivo, a tratti espressionista nella scelte armoniche e nella ferocia ritmica di alcune pagine sincopate, e l’adozione di testo teatrale aureolato da un successo senza precedenti, grazie anche all’interpretazione della voix d’or, la ‘divina’ Sarah Bernhardt, concepito in modo da piacere al grosso pubblico degli anni Ottanta-Novanta e destare al contempo gli entusiasmi di un Verdi ultraottantenne. Malgrado l’ottimo esito della prima rappresentazione e di quelle che immediatamente seguirono (in due anni quarantatré, e non solo in Italia), Tosca disorientò una parte della critica forse proprio per le eccedenze espressioniste che, secondo alcuni critici, declinano il naturalismo nella direzione del grand-guignol, un genere teatrale che porta alle estreme conseguenze la formula della tranche de vieinscenando torture, delitti e gli aspetti più truci della vita: quasi una proiezione di un vissuto interiore oscuro e inaccettabile, che in pochi decenni le due guerre mondiali avrebbero riversato nella realtà esterna con immane violenza. Dio è per l’uomo un interlocutore assente, o forse impotente. Il Te Deum, proclamato da un gregge timoroso in balia di un potere politico che sfrutta l’anelito religioso dell’uomo per autoalimentarsi, perde ogni slancio visionario, si svuota della vitale esigenza di un riscatto, fino ad assumere tratti demoniaci in una processione in cui non c’è posto per le legittime speranze dell’uomo. Due sono gli elementi che declinano in Tosca il controverso rapporto con questo Dio assente: la teomachia, la lotta con Dio che si combatte nelle trincee della vita giorno dopo giorno, e la teodicea, la questione del male, della sua origine e del suo senso. Nella celebre romanza “Vissi d’arte” tali motivi si intrecciano in una preghiera che denuncia davanti alla Vergine lo “scandalo” dell’ingiustizia. Gli eventi del mondo rendono l’uomo captivus, prigioniero di una spirale in cui il male genera altro male – come suggerisce l’insistenza del tritono in diversi punti dell’opera – e l’unico destino possibile è l’eclissi di Dio, richiamata non solo dalla cieca passione di Scarpia esplosa alla fine del primo atto (“Tosca, mi fai dimenticare Iddio!”), ma anche dalla disperazione nella morte: il “Muori dannato!” di Tosca risuona inflessibile e oscuro, mentre Scarpia annega nel suo stesso sangue; il grido di Cavaradossi “E muoio disperato!” palesa la convinzione atea di chi non ammette una speranza al di là delle stritolanti contingenze del mondo;  la morte stessa di Tosca (“O Scarpia, avanti a Dio!”) ha il sapore di una sfida titanica, non solo nei confronti di Scarpia, ma contro Dio stesso, quel Dio assente nella sua radicale alterità rispetto alle passioni – e alla passione – del mondo.

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