Tirana. Sarà una raffinata ed elegante festa, da salotto in casa Valéry, il galà che offrirà il soprano Ermonela Jaho, reduce da una stellare Madama Butterfly in Francia, al pubblico del Teatro dell’Opera di Tirana. Domenica, 4 agosto, alle ore 20, riflettori accesi su una delle icone dell’arte musicale d’Albania, Ermonela Jaho, la quale si presenterà alla platea con il tenore Charles Castronovo, sostenuta dalla grande orchestra sinfonica dei Teatri Kombetar i Operas, Baletit dhe Ansamblit Popullor, agli ordini del Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, il quale in veste di direttore artistico dell’Opera, insieme al sovrintendente, la violinista Abigeila Voshtina è riuscito a riportare la divina, dove il suo sogno è iniziato, nel luogo dove ha scelto di essere quel che oggi è.
“Una grande emozione – ha dichiarato il Maestro Jacopo Sipari – poter far musica con l’ambasciatrice indiscussa della musica, non solo albanese, andando ben oltre pagine di comune ascolto e aver così conquistato la fiducia di Ermonela Jaho per far musica insieme a lei e Charles Castronovo, affrontando quel repertorio che li ha lanciati nel gotha della lirica”. “Sono fiera di aver realizzato una stagione in cui brillano punte di diamanti albanesi, con la Jaho, Saimir Pirgu e Gezim Myshketa – ha continuato Abigeila Voshtina – Ermonela è per me una sorella spirituale, tra l’altro siamo nate lo stesso giorno, la quale mi ha insegnato a considerare i cantanti in modo diverso sia musicalmente che umanamente. E’ una Signora che ritorna nel suo teatro dopo ben dieci anni, e che ha sempre regalato al suo popolo tutto ciò che possiede, ovvero la sapienza, cosa rara oggi. Programma raffinato, elegante ed inusuale che la rispecchia e che verrà ad eseguire col grande tenore Charles Castronovo che si incastona in un’estate di turismo internazionale e che spero sia preludio ad una sua partecipazione ad un’opera nella prossima stagione”.
Il programma comprende pagine di raro ascolto, in una prima parte dedicata per intero alla musica francese, tra Georges Bizet, Jules Massenet e Camille Saint Saens, per introdurre il progetto discografico di debutto della Jaho, “Anima Rara”, in distribuzione per l’etichetta “Opera Rara”, che ha quale mission registrare, eseguire e promuovere il patrimonio operistico perduto del XIX secolo e dei primi anni del Novecento. La serata inizierà con il colpo di piatti dell’Ouverture della Carmen di Georges Bizet “Uno straordinario baccano da circo”: così definiva Nietzsche l’inizio del preludio al primo atto di “Carmen” – il cosiddetto tema della corrida, col suo irrompere, creato dal nulla, in un fortissimo capace di intimare perentoriamente all’ascoltatore, ancora titubante, che non può più permettersi, cominciato il rito, di volgere altrove la propria attenzione, il tema di Escamillo – quello dei couplets del secondo atto – col contrasto così sorprendente tra il legato degli strumenti a corda e lo staccato degli ottoni, e ancora, il Destino di Carmen, la morte…., con la sua espressione di disperazione e di fatalità ineluttabile, contro la quale è inutile ogni tentativo di resistenza a segnare il doppio percorso sul quale si muoverà il lavoro: l’atmosfera brillante e la tragicità incombente. Aria di sortita della Ermonela Jaho, sarà “Je suis seule….Dis moi que je suis belle …” che apre il secondo atto della Thais di Jules Massenet. E’ la celebre Air du miroir di Thaïs, nella forma classica tripartita, con caratteristiche particolari: il movimento particolare della melodia, che sale impennandosi all’acuto per poi ricadere subito dopo, l’irregolarità delle frasi, i continui cambiamenti espressivi, i ricami vocali, ma soprattutto l’andamento della sezione centrale prima concitata, quando Thaïs dialoga con il nulla, poi statica e quasi sussurrata, nel momento in cui ella invoca Venere, su un accompagnamento quasi impercettibile di viole e violoncelli, appena fiorito dal flauto. Echi di brani precedentemente ascoltati, come la ripresa della Chanson de Magali e di “Si j’avais un jour”, contraddistinguono la parte inziale del quarto atto di Sapho sempre di Massenet che si conclude con alcune delle pagine più intensamente liriche della produzione del compositore francese, tra cui spicca il cantabile “Ces gens que je connais… Pendant un an je fus ta femme” pieno di sentimento, che la Jaho eseguirà con la sua abituale capacità di modulare e sfumare il suono, dove il canto è raffinato nelle sospirose note filate, ma anche intriso di un pathos interiore che rende lo sviluppo della melodia massenetiana, che vive non solo nel bel suono ma anche delriflesso dell’anima. Seguirà dal secondo quadro del terzo atto della Manon di Massenet il duetto nel parlatorio di Sant-Sulpice, luogo chiuso e intimo “N’est-ce plus ma main” che è l’apice di questa scena che rende il clima di contrasto la mescolanza di sacro e profano, il misticismo con cui si apre che si alterna alla sensualità e alla passione dell’incontro tra i due innamorati, ove il grafico del risveglio dei sensi perviene alla sua insuperata acme. Stacco orchestrale con il celeberrimo Bacchanale del III atto dal Samson et Dalila di Camille Saint-Saens. Il successo di questa danza deriva soprattutto dal suo colore orientale, che Saint-Saëns, il maestro in questo genere secondo solo a Félicien David, è riuscito a imprimervi ispirato da melodie e ritmi tradizionali del Nord Africa, raccolti durante uno dei suoi viaggi in Egitto e Algeria. Nell’immaginario occidentale e coloniale della seconda metà del XIX secolo, la sensualità esotica di questa melopea faceva sensazione, sensualità rinforzata dai costumi e dalle coreografie delle danzatrici, che non mancarono di colpire i contemporanei. Ancora un omaggio a Massenet con Charles Castronovo che sarà il Rodrigo di Le Cid per elevare l’aria del III atto “O Souverain, o juge, o père” : una prima parte potente e, contemporaneamente, melodiosa, sensibile e struggente che diviene una fervente preghiera in cui la disperazione prende la forma di note armoniose e ammalianti. L’ardore sfocia in acuti sicuri e brillanti, stemperati in un diminuendo soave in “…libre de tous regrets humains!”. La seconda parte esplode nella magnificenza di un canto aperto, passionale che si risolve in un pianissimo sostenuto all’infinito in “Aurore du jour éternel…” fino ad un sottile sospiro che diventa carezza, mentre il finale è una vivida esplosione di luce. Castronovo sarà, quindi, Werther con “Pourquoi me réveiller”, aria fin troppo celebre, presunta traduzione, via Goethe, dai versi di Ossian, che rinsalda l’unità drammatica dell’opera, sottolineando le inibizioni espressive del personaggio, pur entro l’appassionata tensione lirica del suo canto, ma nelle battute finali l’ultima ripetizione poggia su una prolungata armonia di dominante come a ribadire una tragica decisione. La brillante impennata al la diesis acuto sull’ultima sillaba di “réveiller”, suonerà quale violenta epifania di morte. La seconda parte della serata verrà inaugurata dall’Intermezzo di Suor Angelica di Giacomo Puccini, un vero e proprio complesso speciale che aggiunge al finale sonorità arcane e luminose, una risposta beatificatrice alla disperazione di Angelica. L’orchestra si muove in punta di piedi entro un dramma fatto di sottili perfidie e di malinconia, sfoggiando una grande varietà di tenui impasti timbrici e dinamiche soffuse. Quindi, farà il suo ingresso Mario Cavaradossi con la compiuta e appassionata confessione di “E lucevan le stelle”, in cui scorrono nuove immagini sull’ancia nostalgica del clarinetto. La Jaho sarà, quindi, Adriana per regalare “Io son l’umile ancella”, aria caratterizzante l’opera di Francesco Cilea, che per la sua raccolta liricità e le sue sfumature elegiache lo avvicinano in qualche modo alla scuola francese. Testimone all’orchestra per l’Intermezzo di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, con i diversi movimenti dei temi contrastanti, i modi arcaici evocativi delle melodie, i temperamenti offerti dallo scivolìo cromatico, i colori chiari della natura, rispecchianti quelli della fatalità amorosa e gli oscuri pugni dei bassi che muovono il sangue, una pagina, questa, che si espande rinforzando, ondeggiando, come il vento e gli stessi sentimenti umani, che fluttuano per i loro ciechi labirinti. Seguirà quella rivelazione gentile e affettuosa che è l’addio di Turiddu alla madre, e nella quale c’è tanto cuore, tanto elemento e motivo da scuotere lo spettatore più freddo e gli stessi nemici dichiarati della melodia nostrana e della musica intesa come arte del sentimento. Il sogno di Ermonela ritorna, sarà per sempre Violetta, quella del III atto, dell’ “Addio del passato”, simbolo della caducità desolante de’ La Traviata e dell’immensa ispirazione di Verdi nell’ esprimere la solitudine femminile. Ancora una vetrina per l’orchestra con l’Intermezzo dai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, che nell’opera riapre per qualche istante una finestra sui toni languidi e immateriali del duetto d’amore, prima della tragedia. La Rondine con il duetto tra Ruggero e Magda “Ma come puoi lasciarmi”, chiuderà il programma ufficiale, per lasciare la porta socchiusa ai numerosi bis. Ruggero legge quel rorido consenso alle nozze della madre, che per Magda ha un suono funereo, poiché dovrà smettere di fingersi ciò che non è: pur piangendo se ne va tra le suppliche di Ruggero. Puccini la congeda con un tocco da grande maestro del Novecento, il secolo che ha amato i timbri puri, nel silenzio quattro note di campana, un la bemolle sopra il rigo del soprano, ormai fuori scena, precedono gli accordi tenui di chiusa. Puccini estrae i due timbri dei protagonisti dalla vasta e variegata orchestra, trasformando la voce in strumento purissimo.