Marsica. Non sono pochi gli autori che in duemila anni di storia hanno cantato le gesta dei nostri antenati, di eventi avvenuti nella Marsica o descritto il meraviglioso lago del Fucino. Virgilio, il più grande poeta dell’antichità, ci racconta che le acque non erano fangose e afflitte dalla malaria come ipotizzano in tanti, bensì che fossero così trasparenti da apparire “vitree” – “Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda, te liquidi flevere lacus…”. Alexandre Dumas, invece, si esprime in toni entusiastici parlando della grandiosa opera di prosciugamento “Vedete bene che valeva la pena deviare di poche miglia il cammino per ammirare un’opera che l’antichità, se avesse saputo compierla, avrebbe chiamato l’ottava meraviglia del mondo”. I Marsi passarono alla storia come popolo di guerrieri, ma anche di stregoni e guaritori. Publio Ovidio Nasone, il grande poeta nato a Sulmona, nella sua “Ars amatoria” ci ricorda proprio queste peculiarità quando dice che in amore non possono nulla né i filtri di Medea, né le nenie dei Marsi coi loro magici suoni “Medeides herbae mixtaque cum magicis nenia Marsa sonis”. Anche Sant’Agostino, filosofo, vescovo e teologo, meglio conosciuto come il doctor gratiae della chiesa cattolica, utilizza i Marsi, bravissimi a fare “incanti” per tirar fuori i serpenti dalle loro tane, come metro di paragone “La somiglianza è con i Marsi, che fanno l’incanto per cavare l’aspide delle caverne tenebrose alla luce, e il serpe che ama le tenebre per non sentire l’incanto, che vede, che lo forza, pone l’una orecchia a terra per non sentire, e l’altra si copre con la coda”. Boccaccio, invece, nel suo Decamerone ricorda la Dea Angizia, terza delle altre due sorelle Medea e Circe, come “colei che incanta i serpenti e guarisce dai loro morsi tramite le erbe e le formule magiche”. In ambito militare, poi, non ci si può dimenticare dell’inespugnabile Alba Fucens, dove venne confinato più di un illustre prigioniero. È il caso di Gabriele D’Annunzio, che nei suoi “romanzi”, riporta: “Ma, come si spensero entro le mura ciclopiche di Alba de’ Marsi il re numida Siface e l’ultimo dei re macedoni Perseo crudele, il tragico erede di Demetrio Aurispa si spegne qui ne’ suoi brandelli di porpora straniero ed esule e prigione”. Diversi gli autori, più o meno recenti, che cantano le gesta dei Marsi in battaglie fondamentali per l’espansione dell’impero romano. Una delle più celebrate è sicuramente la guerra contro i Parti. Giosuè Carducci, nella sua poesia “Alla vittoria”, ne ricorda le gesta e associa persino i militi marsi alla parola vittoria: “Scuotesti, vergin divina, l’auspice – ala su gli elmi chini de i pèltasti, – poggiasti il ginocchio a lo scudo, – aspettanti con l’aste protese? o pur volasti davanti l’aquile, – davanti i flutti de’ marsi militi, – co ‘l miro fulgor respingendo – gli annitrenti cavalli de i Parti?”. Più anticamente anche Flacco, il celebre poeta romano, ricorda come proprio a seguito dell’epica battaglia tra i guerrieri Marsi e Galli, Parti, Traci e Daci, questi “ancora nascondono nel cuore il terrore dei Marsi”. Dello stesso avviso anche Polibio che scrisse “Il guerriero della Dacia è preso dal terrore al cospetto del milite Marso”. Silio Italico riportò persino che “Furono i guerrieri Marsi, indomiti ed impavidi, a portare Roma a dominare il mondo”; Tito Livio, uno dei più autorevoli storici di Roma, non fu da meno sostenendo che “Solo la lealtà dei Marsi a Roma consentì ad essa di sopravvivere”. Insomma la tenacia di questi guerrieri colpì così tanto l’immaginario dell’epoca che in numerosi saggi storici venne riportato che “per far fronte ad un guerriero Marso, servissero almeno quattro legionari romani”. Il che la diceva lunga visto che, sotto Giulio Cesare, si raccontava che un soldato romano valesse almeno dieci barbari. Marco Tullio Cicerone, una delle figure più rilevanti di tutta l’antichità romana, che aveva prestato servizio militare a Caput Castrum (l’attuale Capistrello), raccontò “Per immortalare la gloria di quegli uomini così valorosi, di quei fortissimi, il Senato e il Popolo romano, costruirono un monumento imperituro con incise lettere divine, come eterni testimoni del loro valore”. Inoltre nelle sue “Filippiche” descrisse così la Martia, la IV Legione composta prevalentemente da guerrieri Marsi e italici: “Fedelissima, valorosissima, invitta. Forza d’animo, la robustezza fisica, scaltrezza e la disciplina sono le doti del milite Marso”. Dello stesso avviso sembravano Plinio il Vecchio “La IV legione comprende i militi più forti d’Italia: i Marsi” e Publio Virgilio Marone, un altro poeta romano “L’Italia ha partorito una vigorosa stirpe di eroi: i Marsi”. Ma il detto più noto è sicuramente quello di Appiano di Alessandria; il celebre storico e filosofo sosteneva che in tutto il mondo antico ogni cittadino romano o schiavo dell’Impero fosse consapevole che: “Nec sine Marsis nec contra Marsos trivmphari posse” ovvero “Non si può vincere né senza i Marsi né contro di essi”. @francescoproia