L’Aquila. Con la delibera che respinge la mozione anti-nucleare in Abruzzo abbiamo perso un’altra occasione di progettualità politica coerente per Abruzzo, che tutta l’Europa conosce come Regione verde; connotazione di cui tutti, a parole, ci vantiamo. La cronaca politica, purtroppo, ci fornisce un altro messaggio distonico. Il Consiglio regionale ha respinto la mozione che impegnava il presidente Chiodi a seguire l’esempio di alcuni suoi colleghi governatori (e tra questi anche il presidente della Lombardia), nella strategia di salvaguardia delle peculiarità ambientalistico-territoriali della propria regione in vista di una collocazione delle centrali nucleari che il Governo italiano rincorre. Si chiedeva di riconoscere l’incompatibilità di quelle centrali con le specificità ambientali della nostra regione e quindi di scongiurare ogni ipotesi di localizzazione sul territorio abruzzese. Ma la discussione in seduta è sembrato un referendum tra politici sul nucleare si o no, dimenticando quasi che si ragionava delle centrali in Abruzzo. Ci sono almeno 6 buone ragioni per dire no al nucleare tout court: 1) il nucleare non è affatto sicuro: rimane una tecnologia a rischio di incidenti ; 2) dopo 50 anni, non si sa ancora dove mettere le scorie radioattive in modo da eliminare totalmente il rischio di contaminazione dall’ambiente circostante, quell’’ambiente che dovremmo custodire anche per le future generazioni, senza parlare della possibilità di esposizioni agli attacchi terroristici e dei costi che la progettazione e manutenzione dei siti di stoccaggio comportano; 3) non esiste il nucleare “sicuro e pulito” di quarta generazione, nonostante il Governo – questa volta si in modo propagandistico – si riferisca ai reattori di quarta generazione, previsti, nel migliore dei casi, per il 2030; 4) non è vero che solo col nucleare si può fermare il riscaldamento globale: per avere una riduzione di gas serra, infatti, bisognerebbe costruire una centrale nucleare ogni 10 giorni – 35 all’anno – per i prossimi 60 anni, talché, con 2.000 nuove centrali nucleari, si fornirebbe il 20% dell’energia totale; 5) inoltre, l’uranio, come il petrolio, scarseggia e dobbiamo importarlo: ci sono milioni di tonnellate di scorie (di cui ben 250.000 altamente radioattive) senza smaltimento definitivo, e in Italia, nel 2005, il Governo ha dovuto sborsare 674 milioni di euro alla Sogin che, non sa ancora dove sistemare le “ecoballe” radioattive; il plutonio, poi, resta altamente radioattivo per 200.000 anni; 6) infine, altro che “bassi costi”, il nucleare è fuori mercato: basti pensare che l’unico reattore in costruzione in Europa è in Finlandia, dove l’azienda privata è foraggiata dallo Stato (rectius lo Stato lo fa pagare ai contribuenti), e lo smaltimento delle scorie e smantellamento finale della centrale costa quasi come la costruzione. Senza considerare, peraltro, che i ritardi nella costruzione delle centrali sono una costante dell’industria nucleare, come dimostra lo stesso caso finlandese, dove l’entrata in funzione, ordinata nel 1996, è slittata dal 2009 al 2011 per un costo finale che, da 2,5 miliardi di euro è aumentato a 4 miliardi, cioè più di 4 volte di quanto previsto per una centrale a metano della stessa potenza!
Ma in Consiglio si doveva soltanto riflettere sui criteri che la stessa legge sull’introduzione del nucleare stabilisce per individuare i siti compatibili alla costruzione di centrali. E allora ecco la lista, alquanto lunga, dei criteri di cui tener conto: popolazione e fattori socio-economici, idrologia e risorse idriche, fattori meteorologici, biodiversità, geofisica e geologia, valore paesaggistico, valore architettonico-storico, accessibilità, sismo-tettonica, distanza da aree abitate e da infrastrutture di trasporto, strategicità dell’area per il sistema energetico e caratteristiche della rete elettrica, rischi potenziali indotti da attività umane nel territorio circostante. E l’Abruzzo, regione sismica e regione verde d’Europa non meritava forse una presa di coscienza della classe dirigente al suo più alto livello istituzionale di governo del territorio? Uno scatto di maturità politica scevra da contrapposizioni ideologiche e prese di posizioni preconcette? E, in fin dei conti, non meritava niente di più che un atto di amore e di onestà intellettuale, il quale conducesse perlomeno a una discussione sincera e aperta, in vista di una deliberazione che non contraddicesse e non si ponesse in contrasto con la sua morfologia e con la sua vocazione di terra da custodire, non da gettare in pasto ai “signori del nucleare”.