Una volta uno psicoterapeuta in un’intervista mi disse: “La vita è un continuo rimodulare l’equilibro. Pensa al funambolo, che passo dopo passo deve centrare il suo corpo per non sbagliare e cadere giù”. Conosco persone che sembrano esserci nate con gli sci attaccati ai piedi, io non li ho mai amati particolarmente ma so cos’è l’equilibrio. Anche quello della vita, per cercare di non cadere giù.
I Piani di Pezza sono un altopiano. Si trovano nel territorio comunale di Rocca di Mezzo, in parte in quello di Ovindoli. In provincia dell’Aquila. I Piani di Pezza sono uno spazio incontaminato che odora di libertà. Uno di quei posti che piace a chi vive “di albe e tramonti”, in una dimensione da cui quando entri, è impossibile tornare indietro.
È un posto in cui cercare la pace d’estate e in cui respirare d’inverno. Ci vivono i cervi, i lupi, ci pascolano greggi di pecore e cavalli.
È uno di quei posti dove la corda della vita è lì che riesce a metterti in piano, sei solo tu e la natura, madre, che ti lascia entrare e che curiosa ti contempla mentre ti rasserena e ti riequilibra i passi, prima di ritornare alla vita di tutti i giorni, tra lavoro, telefonate, insomma: nel solito trambusto quotidiano.
I Piani di Pezza sono lontani dalle luci e dai rumori delle cittadine aquilane e marsicane, sono un luogo di ristoro della mente e dell’anima. Forse è per questo che lì i cellulari perdono linea e connessione. Al contrario sarebbe un’invasione davvero offensiva da parte dell’uomo. Quasi più grave di quelle che a oggi sembrano le ennesime incompiute “cattedrali nel deserto” lasciate all’ingresso della pianura, prima di entrare nell’altopiano vero e proprio.
Dovrebbero essere strutture ricettive. Chissà, magari un giorno, ne vedremo l’apertura.
Per arrivarci in auto si accede da una delle strade che escono da una rotatoria all’ingresso di Rocca di Mezzo. Ci sono cartelli chiari che indicano la via che spesso si ricopre di neve e che quindi non sempre è accessibile. Anche questo mi piace immaginarlo come un chiaro segnale della natura: “Ora lasciatemi sola con le mie meraviglie, tornate presto a trovarmi. Ma vi prego, non ora”.
D’estate è meta di turisti che praticano trekking, escursioni, skyrunning, camminate a cavallo e in mountain bike. Siamo nel Parco Naturale Regionale Sirente-Velino e basta visitare il sito istituzionale dell’Ente per sapere quali sentieri sono percorribili e quali no, a seconda del periodo dell’anno. Sul sito si trova un elenco delle guide a disposizione per praticare sport o anche solo per camminare e passeggiare in sicurezza. Da non sottovalutare mai nemmeno l’abbigliamento da tenere, chiaramente, soprattutto d’inverno.
D’inverno, i Piani di Pezza diventano meta degli appassionati di sci di fondo, sci escursionismo, sci alpinismo, splitboard e camminate con le ciaspole.
L’altopiano si estende per circa 5,5 chilometri in lunghezza e 3 in larghezza. Siamo in una quota compresa tra i 1.400 e i 1.550 metri. A nord ci sono le creste dei monti della stazione sciistica di Campo Felice e a ovest e a sud ci sono le cime appartenenti al massiccio del Monte Velino.
Da Capo di Pezza, nella parte terminale dell’altopiano, è possibile raggiungere il Rifugio Sebastiani. I sentieri che partono dalla piana sono numerosi, tutti nominati e segnati.
Noti per le temperature che scendono fino a meno 30 gradi, i Piani di Pezza hanno raggiunto anche record di freddo. Come quando il 15 febbraio del 2012 si è arrivati a meno 37,4. La temperatura più bassa raggiunta in epoche recenti, nell’Appennino.
“In Ucraina da piccola era lo sci lo sport che praticavamo un po’ tutti”, mi racconta la mia compagna di avventura. Siamo in un periodo di restrizioni negli spostamenti ma Lidia è del posto e io sto realizzando un servizio come giornalista. Arriviamo ai Piani di Pezza e scarichiamo dall’auto gli sci.
All’inizio la nebbia sembra toglierci il fiato. Dopo qualche minuto di esitazione decidiamo di provare a sciare. La visibilità è scarsissima ma vediamo spuntare praticamente dal nulla alcuni appassionati sciatori. C’è anche chi ha le ciaspole. L’andatura è molto veloce, sono esperti. È chiaro.
La direzione è quella che porta al bosco di Ovindoli. Mi viene in mente mia zia e la sua malattia che l’ha divorata, giorno dopo giorno, alla fine non lasciandole via di scampo. Finché ha potuto andava ai Piani di Pezza tutti i giorni, subito dopo pranzo. Era una cercatrice di luce e sapeva dove trovarla. Pochi giorni prima di morire mi disse con un filo di voce: “Vorrei uscire, fare una passeggiata, vorrei vedere la natura”.
Ogni volta che metto ai piedi un paio di scarponcini, ogni volta che entro in un bosco e ho qualche umana esitazione ripenso a quelle sue parole e ai suoi occhi, ai quali di luce ne era rimasta davvero pochissima. Da allora non mi sono più fermata: era un insegnamento, la vita va vissuta finché ci è stato dato di goderne e la natura è lì, sempre disponibile, a tutte le ore, gratis, senza pretendere nulla in cambio e senza alcuna tossicità. È pronta ad assorbire ogni negatività e a restituirti bellezza, meraviglia e serenità. I Piani di Pezza sono questo, d’estate e d’inverno.
La nebbia è fittissima. Tra qualche risata e pochissime chiacchiere c’è solo silenzio, tutt’intorno. Ci ritroviamo immerse in uno scenario qualche surreale. C’è solo il bianco: della neve, dell’aria, del cielo. Provo a “staccare il cervello per un attimo”. Trovo l’equilibro, prima su una gamba e poi sull’altra. Coordino i movimenti e riesco a prendere velocità. Le mani, all’inizio della pista battuta praticamente congelate, si scaldano. Sento un calore per tutto il corpo che mi fa stare bene.
Conosco bene i Piani di Pezza e per un attimo ripenso a quella volta che ebbi la fortuna di ascoltare il bramito dei cervi e di vederli corteggiarsi. Ricordo la prima volta che ci andai con mio fratello, una ventina di anni fa. Avevo messo la crema per il corpo alla ciliegia. Era piena estate e nel giro di una decina di minuti diventai l’attrazione del momento di mosche e tafani. Insomma, non fu una scelta proprio felice.
Poi penso alla pace di quell’anfiteatro naturale in cui c’è una croce che ricorda la messa celebrata proprio lì da Giovanni Paolo II. Era il Papa montanaro, lui sapeva bene dove andare a cercare Dio.
La nebbia rischia di farci perdere l’orientamento. Conosco il posto ma di certo non si può dire che sia io un’esperta. Dopo un’oretta di cammino Lidia mi guarda: “Ora torniamo indietro, ci torneremo quando il tempo sarà migliore”.
Riconoscere i propri limiti fa parte della ricerca dell’equilibrio. Da sempre vivo la mia vita come un funambolo, passo dopo passo. Tra paure, incertezze e ansie, sono comunque riuscita a non cadere mai giù. Penso alla ricerca della meraviglia degli occhi di Valeria, Gianmarco, Gian Mauro e Tonino e alla loro attesa, sotto alle pendici del Velino. Ora guardo il bianco, la neve, respiro e sento pace. Ed è così che capisco che è il momento di tornare indietro.
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