Celano. Qualche mese fa è uscito il suo libro: “Mio fratello: Tutta una vita con Peppino”. È un romanzo. “Lì racconto cosa è stata la mia vita accanto a mio fratello”, Peppino Impastato.
Giovanni Impastato è a Celano, siede in mezzo a un gruppo di giovani, sotto i tralicci di un piccolo vigneto, che fanno da contorno al ristorante Madonna delle Vigne. Prima di spostarsi per l’intervista stacca un piccolo fiore di gelsomino e lo odora. Anche questa è bellezza.
Siamo a pochi passi dall’imponente Castello di Celano, in provincia dell’Aquila. Questa sera aprirà il dibattito con il pubblico in occasione del Cineforum organizzato da un gruppo di ragazzi del posto. Sono i giovani di Unione Popolare. Alla domanda perché ospitare a Celano, il fratello di Peppino Impastato, il giornalista ucciso dalla mafia, in Sicilia, 43 anni fa, risponde una delle ragazze più giovani.
“Abbiamo scelto il film che racconta la vita di Peppino Impastato per sensibilizzare i nostri coetanei a temi importanti. Lui è un esempio di vita e di coraggio”: Lucia Di Vito ha 23 anni, è nipote di un partigiano.
Questa sera, al locale “Full 90”, alle 21, sarà proiettato il film “I cento passi”, di Marco Tullio Giordana.
Giovanni Impastato si guarda intorno: poco più in là c’è una pianta di ulivo, poco più giù, si apre la Piana del Fucino. È affascinato dal locale e mentre fa una carezza ad Alessandro, il figlio piccolo dei ristoratori che lo omaggia con l’assaggio di prodotti tipici locali, con ammirazione, guardando in direzione dei proprietari, dice: “Sono questi i piccoli artigiani, i piccoli imprenditori che fanno bella e grande l’Italia. Quelli che si mettono lì e lavorano, in famiglia, fanno tutto da soli e fanno cose buone. È questa l’Italia che ci piace”.
Poco più in là ha lasciato il taccuino poggiato su due quotidiani. Uno locale e uno nazionale.
Il suo accento è colorato dal caldo sole della Sicilia. Quella terra madre che lo ha privato degli affetti più cari, rubati dalla violenza della mafia. Quando i ragazzi che lo hanno voluto a Celano gli chiedono se gli è piaciuto il film, dice che è “un’opera d’arte”. “Non è un capolavoro, i capolavori sono altre cose. Ma è un’opera d’arte”.
Perché, spiega, ogni film ha bisogno dei suoi tempi. E il film di Giordana è come se fosse stato “un contenitore” dentro al quale poi lui e sua madre, negli anni, hanno potuto inserire tante cose. Prima di entrare nel vivo dell’intervista anticipa qualcosa di quello che dirà questa sera. “La mafia è cambiata”, spiega mentre i giovani lo guardano continuando a nutrire aspettative nei suoi racconti. “Non è più quella che ha ucciso mio padre, mio fratello”, continua, “oggi la mafia è diventata borghesia. È quella che bisogna riconoscere, perché la mafia non vuole essere l’anti-Stato, la mafia vuole infiltrarsi nello Stato”.
Il resto arriverà alle 21, con la proiezione del film e poi con il dibattito.
Cosa si sente di dire oggi ai giovani, ai tanti giovani che spesso si sentono rassegnati e che sembra abbiano perso la voglia di combattere?
Sono un inguaribile ottimista e quindi continuo a pensare che noi ce la possiamo fare. Il messaggio che io do ai giovani è quello di crederci fino in fondo, di guardarsi intorno per capire quello che sta succedendo. Non è difficile farlo. Questo è esattamente il messaggio di Peppino Impastato, quello che portava avanti nelle sue battaglie ecologiche, quando portava avanti le battaglie di denuncia contro il sistema, contro la mafia, contro il potere amministrativo. Ai giovani bisogna far capire che devono vivere e stare a contatto con il proprio territorio.
Le battaglie vanno portate avanti dal basso, quelle sono le grandi battaglie di civiltà e di democrazia: capire, vedere quello che fa un’amministrazione comunale. Capire… E ancora vedere se ci sono delle collusioni all’interno di un sistema politico. Tutto si può fare. Peppino lo faceva spesso usando la fotografia, suo grande strumento di denuncia. Usava immagini forti, andava avanti con le mostre fotografiche. Usava immagini che erano efficaci.
Gliene viene ora in mente una in particolare?
Sì, mi viene in mente quando si piazzava sotto la casa del sindaco mostrando le foto, che utilizzava come strumento di denuncia, di testimonianza. Chiamava in causa il sindaco, lui si affacciava e gli faceva vedere che in nelle foto c’era pure la sua villa, quella del vicesindaco e di altri amministratori. E lo incalzava: “È vero signor sindaco?”
Quelle sono le denunce forti, che bisogna continuare a fare. Non a caso, a distanza di tanto tempo, quello che faceva Peppino tanti anni fa, ora l’abbiamo visto fare a una giovane ecologista. Oggi ha 18 anni, qualche anno fa ne aveva 16. L’abbiamo vista piazzarsi sotto al palazzo del potere svedese per protestare per proteggere l’ambiente e il clima.
L’efficacia di quel tipo di lotte che portava avanti Peppino, è ancora viva. Quelle manifestazioni oggi ancora hanno un’attualità impressionante sia nei metodi che nei contenuti. Quello che io sento di dire ai giovani è di rimanere sempre attenti, di non cadere mai nell’indifferenza, che è sempre qualcosa di negativo.
Antonio Gramsci odiava “gli indifferenti”. Dobbiamo stare attenti a non superare la soglia dell’indifferenza che ci fa entrare nella fase di rassegnazione. Perché se si entra in quella fase non se ne esce più.
Io vivo esperienze diverse, vado in giro e ascolto molti giovani. Parlo con loro e vedo tantissime persone rassegnate. Sono quelle persone rassegnate che mi fanno tanta paura perché non hanno bisogno della verità.
Ed è quando non si ha più bisogno della verità che non si fa altro che spalancare le porte alla mafia, al fascismo, alla criminalità organizzata e a tutta una serie di cose negative che possono bloccare la nostra crescita dal punto di vista democratico e dal punto di vista umano. I giovani devono stare molto attenti: non devono morire sui libri, non devono morire di impegno ma debbono guardarsi intorno per capire quello che sta succedendo.
Perché oggi è a rischio la nostra democrazia e dobbiamo impegnarci per salvare quel poco che ne é rimasto.
Suo fratello era più un politico o un giornalista, una cosa esclude l’altra? Come si combinano le due personalità e professionalità, che hanno camminato di fianco per tutta la sua vita?
Peppino era un po’ un politico, perché dopo la morte dello zio, dopo gli anni ’60, non acquisisce solo una forte coscienza critica nei confronti della mafia ma acquisisce anche una forte coscienza politica e ideologica e diventa un militante della sinistra. Erano gli anni ’60, anni di lotta, di cambiamento, erano anni in cui si combatteva, si costruiva, erano anni di cambiamento e Peppino lo ha vissuto in pieno quel periodo.
Nello stesso tempo Peppino era un comunicatore, un giornalista, lui ha fondato “L’idea”. “L’idea” è un giornale che ha creato nel 1965, con articoli molto dirompenti, scomodi, che facevano anche dello scandalo, in quella realtà dominata dalla cultura mafiosa. Successivamente c’è stata la battaglia ecologica.
C’è stato un Peppino ecologista e anche un Peppino operatore culturale, perché era impegnato nel circolo “Musica e cultura” ed è riuscito ad inventarsi metodi nuovi a livello culturale, civile, sociale. Nella sua vita c’erano le battaglie ecologiche, la musica, le mostre fotografiche, il teatro, l’arte in genere. Per lui erano canali di comunicazione importanti per trasmettere messaggi molto validi e molto forti.
Poi è arrivata la Radio. Ha avuto la possibilità di aprire una radio privata come ce ne sono state tante in Italia, grazie a una legge che ha legalizzato le frequenze Fm, la Rai all’epoca trasmetteva in Am. Si potevano quindi aprire delle radio libere e quella di Peppino è stata una delle prime radio. Non solo attività culturali, perché lui trasmetteva buona musica: Bobby Dilan, i Rolling Stone, i Beatles, la Premiata Forneria Marconi, i Nomadi. Erano gli anni di quell’avvento culturale musicale. Non molto lontano nel tempo, nel 2019, è ricorso il 50esimo anniversario del raduno di Woodstock, dove fu consacrato il rock. Lì c’è stata una svolta importante a livello musicale e Peppino è stato protagonista di quegli anni, perché lui ha vissuto quelle esperienze, seppur non di persona, passandole in radio.
Musica, arte, teatro. Ma non solo, perché lui all’interno della radio scopre un’arma micidiale per combattere la mafia: l’ironia.
L’ironia per combattere la mafia?
Ha dato vita alla prima lotta alla mafia, prendendo in giro i mafiosi. E quella non è stata una proposta di poco conto. Quando un mafioso perde un progetto di speculazione, perché Peppino faceva degli attacchi diretti, il mafioso può recuperare. Quando il mafioso lo colpisci direttamente questi ti può dare l'”onore delle armi” ma quando però un mafioso viene preso in giro, deriso, la gente rideva alle loro spalle, il mafioso impazzisce e non può più recuperare. Ed è allora che perde i suoi consensi sociali, quando non può recuperare. Lì viene sconfitto. E quando hanno capito che Peppino li avrebbe sconfitti, lì lo hanno ucciso. Perché poi lui nel frattempo si era candidato nella lista di “Democrazia proletaria”.
Se suo fratello oggi fosse ancora vivo che uomo sarebbe?
Sarebbe un uomo che occuperebbe il suo tempo con l’impegno culturale, sicuramente avrebbe scritto qualcosa. Soprattutto avrebbe continuato il suo impegno per la difesa di quei movimenti che oggi si portano avanti in territori dove ci sono battaglie contro la sopraffazione e le ingerenze. Sarebbe a fianco dei No Muos, a Niscemi, dove gli americani hanno costruito le antenne paraboliche per fare la guerra nel Mediterraneo, sarebbe al fianco dei No Tav, che vengono espropriati dei loro territori, sarebbe al fianco degli antifascisti, che oggi sono impegnati in una battaglia difficile, sarebbe accanto ai No Global, contro la globalizzazione, sarebbe per il rispetto della Costituzione. Sarebbe un antifascista convinto. Ne sono pienamente convinto, perché conoscevo bene Peppino: non ci avrebbe lasciati soli.
Sarebbe anche molto preoccupato per l’attuale situazione politica, perché noi non siamo rappresentati da un soggetto politico. Io parlo come “Noi”, come “Sinistra Radicale”: non c’è un progetto politico che ci rappresenta. E questo è un guaio. Peppino ne soffrirebbe tantissimo.
Peppino Impastato ha mai avuto paura?
No, lo posso testimoniare. Non aveva paura. E non perché fosse una persona presuntuosa. Era forte della sua ideologia, era convinto delle sue idee. Era convinto che ce l’avrebbe fatta. Quando nostro padre è stato ucciso, che noi credevamo fosse stato un incidente stradale, la prima cosa che gli ho detto è di stare attento, di non continuare a portare avanti questo impegno, perché eravamo in pericolo. Perché indirettamente nostro padre ci proteggeva. E lui si arrabbiò moltissimo e mi disse che non aveva nessuna intenzione di lasciare le sue battaglie politiche. Lui aveva le idee chiare e mi sottolineò: “Nessuno deve dire che io facavo tutte queste cose perché avevo nostro padre che ci proteggeva”. Voleva dimostrare apertamente che lui non voleva la “protezione” di nostro padre che però era comunque una protezione indiretta perché poi nostro padre è stato ucciso. E alla fine lui ha cercato in qualche modo di salvare il figlio.
Mentre parla Giovanni Impastato ricorda spesso l’attualità delle vicende che racconta. Sono passati 43 anni da quando suo fratello è morto ma sembra tutto così attuale. Sulla maglia che indossa una delle immagine storiche del fratello, sotto il balcone con lo striscione di Radio Aut.
Prima di congedarsi e dare appuntamento a tutti a questa sera, dice: “Sono passati 43 anni da quando Peppino è morto. E dopo tutti questi anni, sono qui, a tanti chilometri da casa mia. Io sono ancora qui a parlare di Peppino Impastato. E questa è una sua vittoria. È una vittoria di tutti”.
Poi mi guarda fisso negli occhi e conclude: “Questa è una vittoria di tutti quei giornalisti esposti ogni giorno, di quei militanti politici che non hanno peso, di quelle persone che lottano nei territori e difendono le proprie terre, degli immigrati, di chi non si sente rappresentato. Peppino rappresenta tutti loro, a prescindere dall’ideologia politica. Peppino era comunista ma alla gente questo non interessa. Se era comunista alla gente sta bene pure. Lo ricordano perché lui era un onesto, un onesto intellettualmente”.