Avezzano. Tutto è bene quel che finisce bene. E vissero felici e contenti. L’amore vince sempre sull’odio. Potrebbe iniziare così il racconto di una lunga traversata nel deserto che alla fine ha visto il sindaco Giovanni Di Pangrazio trionfare sul consiglio comunale, reso ormai un monocolore.
Il sipario si era alzato a luglio quando i sei consiglieri di maggioranza, due dell’Udc, Emilio Cipollone e Stefano Chichiarelli, e quattro di “Per Avezzano”, Mario Babbo, Crescenzo Presutti, Gianfranco Gallese e Leonardo Rosa, avevano chiesto di azzerare la giunta dopo che per due anni non avevano fatto altro che “ratificare gli atti amministrativi che la giunta poneva in essere per assolvere alle scadenze amministrative”.
Va detto che gli stessi consiglieri avevano posto anche le normali richieste di merito in accompagnamento alle questioni prettamente politiche.
Inizia il tira e molla. Di Pangrazio prende tempo, si gode il mare di Francavilla, l’estate, e coglie l’occasione per far fuori dalla giunta lo statiano Gino Di Cicco. Intanto le voci si rincorrono. Prima Crescenzo Presutti in procinto di entrare in giunta, poi addirittura si ipotizza l’ingresso di Lino Cipolloni o Antonio Di Fabio (Ncd) in stile governo Renzi.
Arriva settembre, le vacanze finiscono, ma Di Pangrazio continua a prendere tempo e si sa che nella politica i tempi contano. E così il gruppo dei prodi dissidenti perde il pentito consigliere Rosa. Intanto il sindaco tecnico continua a far cuocere i consiglieri che tornano a chiedere l’azzeramento della giunta e addirittura la rimozione di Domenico Di Berardino dallo scranno di Presidente del Consiglio Comunale. È risaputo che Di Berardino è un fedelissimo del sindaco e tale atto di lesa maestà ha fatto temere il peggio per qualche momento. Nubi nere si addensavano su palazzo di città al punto che addirittura i consiglieri di Partecipazione popolare, Alessandro Barbonetti, Alberto Lamorgese e Vincenzo Pissino Gallese, transfughi del centrodestra folgorati sulla via di Damasco, hanno fatto un comunicato stampa a favore di Domenico Di Berardino.
Di Pangrazio, si racconta fosse furente, e nonostante ciò, continuava a liquidare i 5 consiglieri come traditori che alla fine sarebbero rientrati nei ranghi. La battaglia era divenuta psicologica.
E quale modo migliore di vincerla se non interpretandola alla maniera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del celebre romanzo il Gattopardo? Bisogna cambiare tutto affinché non si finisca con il non cambiare nulla. E allora basta cambiare un paio di deleghe a Gabriele Angelini, a Luca Angelini e Patrizia Petricola, lasciando Ferdinando Boccia e Francesco Paciotti al proprio posto, riducendo le deleghe di Roberto Verdecchia e il gioco è fatto. Ai dissidenti basta il piccolo premio di consolazione dell’assessorato all’Ambiente in capo a Roberto Guanciale.
Poco importa se i 5 consiglieri avevano definito l’operato della giunta fallimentare. Gli stessi avevano parlato anche di “crescente malumore dei cittadini”, e di una giunta che “in oltre due anni e mezzo, non ha lasciato segni evidenti di attività politico amministrativa”. Un giudizio che si potrebbe definire duro… ma non a tal punto che non si possa mitigare con un assessorato. Verrebbe da chiedere ai consiglieri come, a loro avviso, possa ritenersi possibile un’inversione di tendenza con il solo cambiamento di un sesto della giunta.
Ma è risaputo. In politica 2+2 non è sempre 4, e magari ci si potrebbe sentir rispondere che il neo assessore Guanciale è un genio della macchina amministrativa.
E allora auguri alla nuova giunta e chapeau al machiavellico Di Pangrazio che attraverso la strategia politica ha rimesso nei ranghi i consiglieri eletti grazie al suo trionfo elettorale.
(w.t.)